Nico Cereghini: “Monza, il bagnato e noi”

Nico Cereghini: “Monza, il bagnato e noi”
Da una domenica bislacca come quella della SBK possiamo imparare anche noi. Perché certi piloti sono così forti sull’acqua? E sulla strada ci possono insegnare qualcosa? | N. Cereghini
8 maggio 2012

Punti chiave


Ciao a tutti! Diventato strabico come gran parte di voi –tutta la domenica imprecando sul telecomando, per seguire contemporaneamente MotoGP e SBK, Estoril e Monza- eccomi qui a contemplare uno dei misteri più gloriosi del motociclismo. Anzi due. Il primo, il più urgente, sarebbe quello di indagare sull’elettronica di Hayden, dopo che un segnale esterno, forse una frequenza radio, ha mandato in tilt l’elettronica della sua Ducati. La moto non sapeva più dov’era, il gps è impazzito come la maionese, il povero Nicky si ritrovava con 250 cavalli quando ne chiedeva 150 e viceversa, roba da matti. Morale: Hayden (eroico) ha chiuso undicesimo a 1 minuto, e a me sembra di vederlo, quel fetente a bordo pista con la sua pistola elettronica puntata sul numero 69. E mi pare di sentirlo quando ricatterà le Case: un milione di euro ciascuna oppure vi blocco Stoner, Lorenzo e Rossi. Perché lo sappiamo, la crisi aguzza l’ingegno.

Ma prendersela con l’elettronica è come sparare sulla croce rossa. Allora lascio perdere e guardo Monza con i suoi dubbi, due curve bagnate con le slick oppure le gomme rain in crisi sull’asciutto, otto giri dell’unica gara, polemiche e fischi e tre inglesi che conquistano il podio. Sykes, Haslam, Laverty. Perché ci sono differenze così

Otto giri dell’unica gara, polemiche e fischi e tre inglesi che conquistano il podio

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nette, perché certi piloti sono così bravi sul bagnato ed altri molto meno? Ecco l’interrogativo che non trova risposte da quando esiste il motociclismo, l’asfalto, la pioggia. A me il bagnato è sempre piaciuto, eppure ne so troppo poco.

Una volta pensavo che ci volesse tanto coraggio, poi ho verificato che me ne serviva di più a spingere al limite sull’asciutto: mettere di traverso una 500 con le slick mi veniva difficile. Allora ho creduto che bastasse guidare rotondi e fluidi, ma poi ho visto fortissimi con l’acqua anche lo spigoloso Schwantz e il fisico Stoner. Infine ho puntato la mia attenzione sulla sensibilità, e lì ho capito qualcosa in più: i piloti più tecnici, quelli che sanno sempre esattamente cosa succede alla moto, hanno una sensibilità che li avvantaggia. È come se il loro sistema nervoso sia ricco di molti terminali in più, posizionati un po’ dappertutto sulla moto, anche tra gomme e asfalto. Dicono che Mike Hailwood, che non aveva mai smontato un motore, una volta sia entrato nel box con la sua Honda 250 sei cilindri e 24 valvole dicendo “c’è una valvola di scarico del cilindro quattro che mi pare puntata”. E pare che i meccanici abbiano poi confermato.

Questa sensibilità è una dote innata, probabilmente, ma allenarla si può
. Anche a noi, con la moto sulla strada, può servire metterci nella prospettiva del pilota professionista. E farci le sue stesse domande: se sento la gomma anteriore, se il motore mi porta fuori bene dalla curva, se l’assetto mi stressa le braccia o le caviglie, se la forcella rimbalza forse troppo. Migliorare possiamo anche noi.
 

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