Nico Cereghini: "Monza, Brambilla, la Guzzi V7 Sport"

Nico Cereghini: "Monza, Brambilla, la Guzzi V7 Sport"
Una giornata dedicata al grande Vittorio, campione delle moto e soprattutto delle auto. Piede pesante e cuore d’oro. E un ricordo riaffiora con la stessa “freschezza” di ieri | N. Cereghini
27 maggio 2014

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Ciao a tutti! Sabato ero a Monza, con centinaia di appassionati, a ricordare Vittorio Brambilla. L’occasione era particolare: il Comune gli ha dedicato il piazzale di Vedano al Lambro vicino all’ingresso del circuito, e l’associazione a lui dedicata ha chiamato i colleghi, gli amici di allora e anche quelli che non hanno mai conosciuto il famoso pilota degli anni Sessanta e Settanta ma ne hanno sentito parlare. C’erano la March di Formula 2 e l’Alfa 33 dei suoi trionfi, e poi la Guzzi dei record mondiali stabiliti con Patrignani, Tenconi, Mandracci, Bertarelli e Pagani sulla sopraelevata di Monza nell’ottobre del ’69. Vittorio, dopo qualche anno con le Parilla, le Aermacchi, le MV e la Paton, era diventato celebre per le corse con le quattro ruote; era un grande talento, amava le condizioni estreme e nel ’75 vinse anche un GP di Formula 1 in Austria sotto l’acqua. La coppa era lì, gigantesca. E’ stato piacevole chiacchierare con GiMax, Facetti, Giacomelli, Colombo e Maioli che hanno condiviso le sue stagioni di un mondo – quello delle auto - che conosco pochissimo.

Ironia della sorte, con tutti i rischi che si correvano allora, Vittorio Brambilla è morto d’infarto mentre stava tagliando l’erba in giardino. Era il 2001 e aveva solo 63 anni. Oltre al fratello maggiore Tino, di cui ho parlato pochi mesi fa in occasione dell’ottantesimo compleanno, è stato bello passare un pomeriggio con tutta la famiglia, sua moglie e i suoi tre figli, Carlo, Roberto e Donatella con cinque nipotini a fare la discendenza. L’affetto era palpabile, e mi sono tornati in mente fatti e misfatti di quegli anni Settanta.

Vittorio e Tino erano guzzisti nel profondo dell’anima, e il minore dei due aveva collaudato a lungo il prototipo di quella che sarebbe diventata la più leggendaria delle Guzzi moderne: la V7 Sport

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Vittorio e Tino erano guzzisti nel profondo dell’anima, e il minore dei due aveva collaudato a lungo il prototipo di quella che sarebbe diventata la più leggendaria delle Guzzi moderne: la V7 Sport. Nel settembre del ’71 aveva anche corso il Bol d’Or con Mandracci e la sua creatura, ed erano in testa quando il motore si ruppe alla decima ora. Ebbene, nel gennaio del ’72 Motociclismo mi affidò il primo esemplare per la prova, e allora corsi subito a girare tutto solo sulla pista Stradale, anche se faceva un freddo cane e alla prima di Lesmo, con un rivolo di ghiaccio che attraversava la pista, dovevo raddrizzare per un momento la moto.

Dopo cinque o sei giri mi vedo affiancare da Vittorio con la sua V7 personale. Qualcuno doveva averlo avvertito, Monza era casa sua e nessuno poteva girarci senza che lui lo venisse a sapere. Io avevo una tutina di pelle leggera leggera, lui il Barbour e il caschetto a scodella, due pazzi a girare a meno dieci per il gusto di lanciare la nuova moto e sentire le teste ticchettare in zona rossa. Lui, probabilmente, voleva anche verificare a che livello fosse la moto di serie, e comunque nessuno dei due era disposto a cedere. Siamo o non siamo dei veri motociclisti?

Dopo oltre mezz’ora però io mi arrendo, chiudo il gas all’uscita della parabolica e imbocco la corsia dei box; Vittorio mi segue, forse era anche lui allo stremo, parcheggia vicino a me, toglie il casco. Il suo commento è lapidario come il personaggio che interpretava, rude e bonario. “Freschinett!” si limita a dirmi strofinandosi le mani viola.

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