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Ciao a tutti! Vi ringrazio per le tante proposte sul tema delle regole future e possibili della MotoGP, molte sono interessanti ed originali, voglio fare un po’ d’ordine e poi tornare presto in argomento. Intanto passo ad altro, al di là anche di Jerez che è l’argomento del giorno. E parlo di passione che ci porta talvolta oltre, fino agli episodi più assurdi della nostra carriera. La mia è lunga, ormai. Ho fatto il naufrago solitario con un wind-surf al largo delle coste calabre, e non conta; ma ho naufragato anche con la moto e questo vale: completamente solo, a terra, con 230 chili di moto su una gamba. Tre ore disperate. Ve le racconto senza vantarmene, con la speranza che l’esperienza altrui possa servire.
Era il lontano maggio 1973. Dopo quattro mesi di gesso, finalmente ritrovo la mia gamba sinistra e la mia SF 750 Laverda rossa con il manubrio basso. Dove vado? A Monza, è chiaro: qualcuno girerà. Girano le MV con
Metto giù il piede sinistro per aiutarmi, la gamba cede e vado giù quasi da fermo. Ahi!
Ago e Read, resto un po’ alla Parabolica con altri motociclisti, poi decido di andare al curvone. Per arrivarci, occorre fare un viottolo in terra battuta, nel bosco interno alla curva Nord. E tra gli alberi c’è qualche radice, qualche buca, metto giù il piede sinistro per aiutarmi, la gamba cede e vado giù quasi da fermo. Ahi! Il problema è che non faccio in tempo a togliere la gamba, che è un po’ lenta; e il pantalone sinistro (a zampa d’elefante come usava) resta impigliato sotto la pedana. Sono illeso però prigioniero, e non passa nessuno. Prima impreco e mi dispero per un po’, ma non serve; poi mi ingegno: il piede destro per fortuna è libero e riesce ad infilarsi tra il terreno e il carter laterale. Facendo leva, come insegnava Archimede, forse posso cercare di sollevare la SF quel tanto che basta a disincagliare l’altro pantalone.
Non è come dirlo. La 750 Laverda era un macigno e io in cattiva forma. A guardarmi (ma non c’era nessuno nei paraggi, diversamente avrei avuto almeno un aiuto) sarò sembrato una specie di verme che si divincolava disperatamente nella polvere. Fatiche immani per sfilare ‘sta gamba, un millimetro alla volta, dopo innumerevoli tentativi; quindi il sollievo, ce la faccio, mi alzo; poi altri sforzi bestiali per tirare su la moto e poter ripartire.
Morale della storia? Troppe volte ho agito senza pensare alle conseguenze, per quella maledetta abitudine di dare l’esito per scontato: ci so fare, dunque faccio. Sarà capitato anche a voi, no? E però la sorte qualche volta ci fa lo sgambetto, tanto per vedere come ce la caviamo da soli, naufraghi con la moto. E allora è già bello poterlo raccontare.