Nico Cereghini: “Non ti avevo visto!”

Nico Cereghini: “Non ti avevo visto!”
E’ il ritornello che abbiamo sentito tante volte, quando ci tagliano la strada o non rispettano la nostra precedenza. Ho sempre pensato che fosse una falsa e stupida scusa, ma adesso…
13 febbraio 2018

Punti chiave

Ciao a tutti! Uso la moto quasi tutti i giorni e per fortuna - e tocco immediatamente ferro - è da qualche anno che non mi capita l’automobilista “distratto”, quello che “scusa, non ti avevo visto” e ha appena bruciato la precedenza oppure ha svoltato a sinistra senza lampeggiatori né niente. Ho ben chiare nella mia mente le relative immagini, la mia frenata d’emergenza e poi magari l’urto o il volo e la strizza, con i suoni della strisciata e qualche volta anche il dolore delle abrasioni o della frattura. Tutto materiale, credetemi, utile da archiviare al fine di raddoppiare la prudenza alla guida. E ho anche il ricordo preciso della mia riposta, quando ho potuto darla: “Imbecille, non mi hai visto perché neanche hai guardato”.


Insomma, ho sempre pensato che quel tipo di investitore guidasse proprio senza guardare, senza guardare davanti, di lato o negli specchi. Una guida noncurante degli altri veicoli sulla strada. E invece adesso scopro che forse, in qualche caso, aveva detto bene lui: che in realtà si era guardato attorno ma non mi aveva visto. Lo suggerisce uno studio pubblicato dalla rivista Human Factors qualche giorno fa sul fenomeno della “cecità da disattenzione”. Lo ha riportato anche il Corriere. La dottoressa australiana Kristen Pammer, autrice della ricerca e insegnante di psicologia all’università di Canberra, rileva che quando siamo alla guida di un’auto il cervello deve fare i conti con un enorme afflusso di informazioni sensoriali, e deve decidere quali sono importanti e quali no. Ebbene la frequenza degli incidenti in cui gli automobilisti “guardano ma non vedono” suggerisce che questo sistema di filtraggio delle informazioni non funzioni benissimo. La dottoressa e i colleghi hanno chiesto a 56 volontari di guardare delle foto di banali situazioni di traffico, scattate dalla prospettiva del guidatore dell’auto, e quindi decidere se quello che vedevano era “sicuro” o “pericoloso”. In alcune delle immagini erano stati inclusi anche oggetti inaspettati come un taxi o una moto, e i ricercatori hanno potuto constatare che le probabilità di non accorgersi della moto erano doppie di quelle del taxi. I motociclisti, è la conclusione, hanno una priorità molto bassa nel “radar” di chi guida l’automobile.


Sono cose, tornando alla premessa, di cui siamo consapevoli da tempo anche senza indagini scientifiche: una moto è meno visibile di un’auto, è anche più piccola, ha una sezione frontale che è la metà, è lapalissiano. Ma le ricerche servono proprio a dimostrare la fondatezza di una teoria e poi a suggerire proposte. Nel caso pubblicato, la dottoressa Pammer chiede che “si raccomandi agli automobilisti di guidare in modo più vigile, più attento e consapevole, in modo da renderli più propensi a vedere i motociclisti sulla strada” . Più o meno quello che chiediamo noi -con modi meno urbani- a quelli che ci tagliano la strada o non ci danno la precedenza.


In molti Paesi, per esempio in Francia, sono state pensate campagne specifiche nazionali rivolte agli automobilisti e ai camionisti: guardate negli specchi, occhio al motociclista. In Italia soltanto qualche sporadica iniziativa, anche dell’Ancma, che non ha dato grandi risultati. Noi circoliamo anche di giorno con gli anabbaglianti accesi, ma vi consiglio di dare qualche lampeggio in più con l’abbagliante e anche qualche colpo di clacson: prima di un sorpasso o in prossimità di un incrocio, quando abbiamo il dubbio di non essere visti davvero. E naturalmente indossare abiti molto vistosi aiuta, magari fluorescenti è anche meglio. Ma alla fine sarà sempre la velocità la discriminante finale. Rallentate forte quando c’è traffico e quando c’è un dubbio.

Non ti avevo visto
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