Nico Cereghini: "Picco e quella squadra che era troppo seria"

Nico Cereghini: "Picco e quella squadra che era troppo seria"
Franco è ancora in gara a 55 anni, senza troppe ambizioni. Ma quando correva la Dakar da protagonista assoluto, la sua squadra era terribile: si doveva vincere | N. Cereghini
4 gennaio 2011


Ciao a tutti! Mentre si svolge la Dakar che non è più africana, mi piace tornare con la memoria alle edizioni che seguii di persona e ai piloti che a quei tempi ho conosciuto bene. Franco Picco, per esempio. Adesso è lì che disputa la sua 18esima volta, ancora in moto alla bella età di 55 anni, una passione che non si esaurisce mai. E mi piace ricordare che fu proprio lui a far conoscere il Rally africano in Italia. Fu per Picco che si mosse anche la televisione.

Era l’85, molto tempo fa. Lui esordiva alla Parigi-Dakar con la Yamaha TT 600, io iniziavo a collaborare con Italia 1. Rischiò di vincere, il vicentino che veniva dal cross, i giornali ne parlarono molto, fu terzo assoluto. E allora si mosse anche la nostra tv, dall’86 arrivammo lì anche noi: gli italiani erano diventati protagonisti. Franco Picco non avrebbe mai vinto la gara più importante -ha vinto invece due edizioni del Rally dei Faraoni (fatto 21 volte!)- eppure era fortissimo e disposto a soffrire. Perché non ha mai vinto? Perché nella sua squadra si sorrideva troppo poco.

Credo che ridere faccia bene, credo soprattutto nella leggerezza. Non bisogna prendersi troppo sul serio. Fare bene le cose, questo sì, mettercela tutta, certo. Ma senza dimenticarsi di sorridere. Soprattutto nelle corse di moto. Nel team Yamaha dell’importatore italiano, invece, facce tirate, sempre. C’era uno sponsor importante, c’era una grande organizzazione sulle piste e sugli aerei, i piloti erano ottimi; dunque, non è che si poteva: vincere si doveva. E ogni imprevisto, ogni piccolo ritardo, diventava un dramma.

Franco Picco ne soffriva. E non lo nascondeva. Andavo da loro a mangiare un piatto di spaghetti la sera (anche il cuoco era valido) e l’aria era così tesa che si tagliava col coltello. Beltramo mi diceva “vacci tu, a me passa l’appetito”. Ed è uno che ha sempre mangiato volentieri. Se Picco quel giorno non aveva vinto la speciale, trovavi un silenzio carico di tensione. Poi magari facevi un salto alla Honda Italia, o più avanti alla Cagiva per un grappino (dove ritrovavi Paolone), ed era tutto un altro mondo: battute, sfottò, risate a non finire. E, guarda caso, quelli vincevano molto di più.

Adesso Franco Picco corre con un altro obbiettivo: guidare un gruppetto di motociclisti, cinque piloti sulle WR450F, e far bene senza strafare. Però sono sicuro che se gli capiterà l’occasione darà tutto il gas che ha. Quelle nove edizioni della gara fatte da motociclista (altre 8 con auto e camion) gli sono rimaste sullo stomaco. Poteva vincere almeno un paio di Parigi-Dakar, se soltanto qualcuno intorno a lui avesse saputo ridere. Forza Picco, io tifo per te.

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