Nico Cereghini: “Quando le Guzzi cinguettavano”

Nico Cereghini: “Quando le Guzzi cinguettavano”
Come nascono i nomi delle moto? “Multistrada” è significativo, “Cosa” un po’ meno. Qualche volta basta una bella sigla, altre volte c’è tutto, sigla e nome. Un nome felice può determinare il successo di una moto? E a voi, cosa piace? | N. Cereghini
18 novembre 2014

Ciao a tutti! Prima o poi bisognerà fare un’indagine approfondita su come nascono i nomi delle moto. Voi direste che è semplicemente una decisione del marketing, invece mi è bastata una chiacchierata di dieci minuti con un pezzo grosso, uno che ha fatto la storia della Honda in Europa, per capire che la vicenda è molto più complessa. Il nome è importante, e tutti noi abbiamo le idee chiare: quel nome è perfetto per una moto e quell’altro fa pena; ma è facile dirlo a cose fatte, e molto più difficile inventare quello giusto al momento del lancio. Anche il nome può decretare il successo o l’insuccesso di una moto.
 

In Guzzi, una volta, a dettar legge sui nomi doveva essere un naturalista o più probabilmente un cacciatore. Sulle prealpi Orobiche si caccia parecchio. Iniziarono con gli uccelli – delle teorie di Freud dovevano sapere ben poco- e non la smisero finché si esaurì la lista delle speci in natura. Dall’Airone all’Albatro all’Astore e siamo solo alla lettera A. Nel ’39 comparve a sorpresa un mammifero, l’Alce, seguita dal motocarro Trialce e dal Superalce, poi il filone animalesco (e affini) si perse del tutto a favore delle piste prima (Le Mans, Monza, Imola) e del lago poi. Lario, Stelvio e Breva (che è il vento che si leva il pomeriggio) raccontano la geografia locale, poi toccò alla storia con la Norge, come Giuseppe Guzzi aveva ribattezzato nel ’28 la sua 500GT telaio elastico che portò avventurosamente a Capo Nord, e Griso come il “bravo” manzoniano di Don Rodrigo, una personcina che non esitò a derubare il padrone ammalato di peste, si beccò la malattia e morì fra atroci sofferenze. Curiosa scelta, quella di identificare una moto con un bandito, seppure letterario.
 

Che logica si segue per battezzare una moto? C’è una filosofia di marca? Fino a quando si può insistere sulla stessa strada senza stancare il motociclista?

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Anche Gilera è passata alla storia con un volatile: la Rondine era una 500 da corsa, quattro cilindri dotata di compressore, che volò a 274 chilometri orari sulla base dell’ora con Piero Taruffi. Un record mondiale, pensate, del 1937. Più famosi sono rimasti i nomi delle Gilera spaziali come Nettuno, Saturno e il motocarro Mercurio. Ma i pianeti finiscono ed è difficile tenere ferma la rotta sui nomi, così si passò ad Arcore e Giubileo per finire con le aride sigle: RV, K1, KK, RC, CX e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo per citare soltanto due casi nazionali, ma la materia è talmente vasta da meritare una vera inchiesta. Che logica si segue per battezzare una moto? C’è una filosofia di marca? Fino a quando si può insistere sulla stessa strada senza stancare il motociclista?


E intanto, per passare il tempo, possiamo raccontarci cosa piace a noi. Tanto per cominciare, meglio un bel nome o una bella sigla? Meglio tutte e due? Penso alla CBR 900RR Fireblade e -al di là dell’entusiasmo che trovo registrato in memoria, intatto dal ‘92, per la leggerezza e la grinta del primo modello con il cupolino sforacchiato- mi viene da dire che era bella la sigla quanto il nome. Poi però salto sulla Suzuki GSX-R 750 dell’85 e decido che la sigla era ed è tuttora bellissima e che la mancanza del nome non ha pesato affatto; anzi, l’ha resa più aggressiva. Si potrebbe concludere che ciò che conta è soltanto la qualità del prodotto, e andare a casa subito. Ma di sicuro il nome è importante: la Vespa o “il” Monster avrebbero avuto lo stesso successo se si fossero chiamati soltanto 125L o Donnola? Non credo. E lo scooter Suzuki Bara sarebbe piaciuto in Italia? 

Foto: Motorcyclist's Granite

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