Nico Cereghini racconta gli anni Ottanta. Terza puntata, le super sportive

Terzo appuntamento con i fantastici anni Ottanta. Un decennio ricco di idee e importante anche nelle competizioni. Questa puntata è dedicata alle sportive stradali: le prime replica, i primi telai di alluminio e la rincorsa alle prestazioni | N. Cereghini
19 giugno 2014

Anni Ottanta, terza puntata. Le stradali sportive. Non tutte, perché sono centinaia: almeno quelle che hanno rappresentato una svolta grossa.

Sedicenni fortunati

Quei fortunatissimi ragazzi che guidavano le più belle 125 della storia viste nella seconda puntata, si riempivano gli occhi con le immagini delle sportive grosse. Quasi tutte giapponesi e sempre più potenti, più belle e tecnologiche. Negli anni Ottanta arrivano i telai d’alluminio, le ruote anteriori da 16 pollici, i sistemi anti-affondamento della forcella - tutte soluzioni dei Gran Premi- e motori sempre più sofisticati e costosissimi. Un delirio, visto oggi, che ha provocato una forte crisi del mercato, ma intanto ha scaldato i cuori e fatto nascere formule inedite anche nello sport. Come il mondiale SBK, nato nel 1988, che notifica il passaggio dalle sportive all’americana- tipo la Kawasaki Z 1000 R “Lawson Replica” dei campionati AMA vinti nell’81 e nell’82- alla sportiva come la concepiamo oggi. E’ in quegli anni che i giapponesi cambiano marcia: non soltanto supermotori, ma finalmente anche assetti validi e belle ciclistiche.

La verdona di Eddie Lawson ha tuttora un gran fascino, ma la meccanica è praticamente di serie. Il capolavoro della Kawasaki, la moto che rovescia le carte, è la GPZ 900 R presentata a Milano nel novembre 1983. Non ha l’iniezione come la precedente 1100, ha quattro carburatori da 38, ma il motore è supercompatto e raffreddato a liquido, 908, sedici valvole da 115 cavalli. Andiamo a provarla a Laguna Seca e c’è il giovane Wayne Rainey campione AMA in carica: quel biondino è forte, noi siamo testardi, la prova diventa una gara e un paio di giornalisti francesi finiscono all’ospedale. La pista è severa e pericolosa. Scopriamo una ciclistica eccellente, finalmente rigorosa telaio a diamante in tubi d’acciaio, forcella Kayaba da 38, antidive regolabile, Uni-Trak con forcellone d’alluminio, ruota da 16 davanti e 18 dietro. Guidarla è una bellezza. E pensare che la Kawasaki non era così specializzata nella velocità. Non partecipava alla classe 500 con successo, aveva dominato a lungo nelle classi medie 250-350 con Ballington e poi con Mang, ma si stava sfilando anche lì. Si concentrava sulla produzione stradale, invece, e la sua 900 R fu un grandissimo successo, 210.000 pezzi venduti nel mondo!

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Honda RC30
Honda RC30

 

E la Honda?

La Honda dominava sul mercato e si stava organizzando per tornare vincente nei GP a cominciare dalla classe 500. Basta con il quattro tempi e con l’ambiziosa NR 500 a pistoni ovali, costata un occhio e a secco di successi. Nel 1982 appare la rivoluzionaria tre cilindri NR, leggera e guidabile, con Lucchinelli campione del mondo in carica, e Freddie Spencer portato qui dagli States. Il primo anno fecero fatica (2 successi e quattro pole per Spencer), dal secondo in poi fu la Honda la moto da battere e nell’84 arrivò anche la strapotente NSR quattro cilindri. Dell’85, lo sapete, è la storica doppietta di Fast Freddie, 250 e 500, l’impresa più ardita del decennio. Alla fine del quale la Honda avrebbe dominato in ogni classe come aveva fatto già all’esordio negli anni Sessanta.

E la Honda stupì il mondo anche con il prodotto. Ecco il V4: nell’81 l’insipida VF 750 S col cardano, l’anno dopo la VF 750 F più sportiva, a catena e con il cupolino. E’ a Parigi, 1985, che appare l’altra regina degli anni Ottanta, la VFR 750 F con il telaio d’alluminio a due travi diagonali e il nuovo motore, con la distribuzione bialbero comandata da una cascata di ingranaggi. 105 cavalli a 10.500 giri, un’erogazione fantastica, meno di 200 chili a secco, una gran bella guida per tutti, sportivi e turisti. Ruota da 16 davanti, pinze a doppio pistoncino e forcellone d’alluminio a due bracci; il monobraccio arriverà più avanti.

Già ci pareva fantascienza, e invece due anni dopo arriva la favolosa VFR-R RC 30, vera SBK per l’uso stradale, una meraviglia che avrebbe subito conquistato il neonato campionato mondiale SBK 1988 con l’ufficiale USA Fred Merkel, già tre volte campione AMA e subito capace di ripetersi nell’89, sempre con i colori del team Rumi. Che moto! Bielle in titanio, 112 cavalli, frizione antisaltellamento, ruote da 17 e 18, 185 chili.

Ma il V4 costava tanto e allora il quattro in linea non è affatto accantonato: dalla CB 1100 R dei primi anni Ottanta, raffreddata ad aria e con gli ammortizzatori dietro, ecco nell’87 la nuova bellissima serie CBR, la 600 e la 1000, bialbero sedici valvole raffreddate a liquido, 75 cavalli per la piccola e 130 per la grande. La carenatura è completa e sigillata. Per il passaggio dell’aria ci sono feritoie in abbondanza. Telaio perimetrale d’acciaio e Pro-link al retrotreno.

 

Yamaha FZ750
Yamaha FZ750

 

Entusiasmo per Yamaha

Della Yamaha ci entusiasmavano le bicilindriche 2T, le RD che andavano forte e si guidavano così bene, in particolare la 350 che diventava ad acqua e poi trovava la valvola YPVS allo scarico e anche la carena. Che belli quei due tempi! Ti sentivi come Carlos Lavado, il venezuelano due volte campione del mondo della 250. La Yamaha era una competitiva anche in 500, con Roberts e Sheene che stavano chiudendo la carriera, poi con Lawson che con tre titoli su Yamaha è il mattatore del decennio, e Rainey che si sta affacciando.

Ma la risposta Yamaha alle concorrenti a quattro tempi è lenta: nell’83 la FJ 1100, gran moto e di successo, originale e piena di coppia, però vicina ai 230 chili e più adatta al turismo. Ha il telaio Lateral Frame Concept, le due ruote da 16, la sospensione Monocross regolabile dietro. E 125 cavalli a 9000 giri.

Più interessante la FZ 750 di due anni dopo, quella con 5 valvole per cilindro che promettevano miracoli. E finalmente, ma soltanto nell’86, ecco le vere bellezze Yamaha: prima la V-Max 1200 da 140 cavalli, la brucia-semafori che diventa leggenda, e poi a fine stagione la splendida FZR 1000 Genesis: telaio Deltabox scatolato d’alluminio ispirato al mondo GP, sospensioni evolute, due dischi da 320 davanti con le pinze a 4 pistoncini… I quattro cilindri in lega leggera sono inclinati di 45 gradi in avanti, le valvole sono 20, 5 per cilindro. Una bomba da 135 cavalli a 10.000 giri e da 250 all’ora. Agile, leggera, bellissima da guidare anche in pista.

 

Suzuki GSX-R 750
Suzuki GSX-R 750

 

Suzuki introduce le Replica

E poi la Suzuki, che prima tenta la carta dello styling e poi forza la mano e mette in strada una moto da corsa. Le due Katana hanno tecnologia da anni Settanta, telaio in tubi tondi, coppia di ammortizzatori e quattro cilindri raffreddati ad aria. Però la linea disegnata dall’inglese Jan Fellstrom colpisce al cuore come la spada dei samurai. Da noi arrivano 750 e 1100, la prima è più equilibrata e la seconda potente ma pesante.

E nell’84, a Colonia, la Suzuki ci lascia a bocca aperta con la sua Hyper Sport: la nuova GSX-R 750 non è una sportiva come le altre, il rapporto peso/potenza è vicinissimo al racing. Sono 100 cavalli e 178 chili a secco. Efficace raffreddamento misto aria/olio, magnesio per la testata, poi il telaio d’alluminio a sezione quadra, forcella Kayaba da 41 e monoammortizzatore Full Floater. Le prestazioni sono fantastiche, l’avantreno è un po’ sensibile, non è una moto per tutti, però è qui che la Suzuki torna davanti anche nelle competizioni.

Dall’82 la 500 non vinceva i titoli mondiali, con Franco Uncini dopo la sorpresa di Marco Lucchinelli nell’81; con questa base 750 la Suzuki domina l’ Endurance e il Bol d’Or, l’AMA e il mondiale TT F1. Nell’88 un certo Kevin Schwantz trionfa con la GSX-R 750 nella 200 Miglia di Daytona. Nell’86 arriva anche la versione 1100. E’ esagerata, ma anche la moto più esaltante sul mercato e non costa tanto.
Fin qui, i Giapponesi.

Se gli anni Settanta sono stati esaltanti, gli Ottanta sono esplosivi: si esplora ogni concetto di moto, anche il più estremo, le sportive superleggere, le Turbo e le meravigliose Repliche

Se gli anni Settanta sono stati esaltanti perché nasceva la moto moderna, gli Ottanta sono esplosivi: si esplora ogni concetto di moto, anche il più estremo, le sportive superleggere, ma anche – e ne parleremo in un altro capitolo- le Turbo e le meravigliose Repliche delle moto da corsa a due tempi. I costruttori giapponesi sono stati superaggressivi: hanno investito tanto anche sulla stampa. Non pensate ai regali o peggio. Però ci ospitavano come nababbi quando si andava in giro per il mondo a provare le novità. Ci hanno in qualche modo condizionati? Forse sì, ma eravamo soprattutto degli appassionati: potevamo restare tiepidi davanti a quelle meraviglie tecnologiche? Perché le moto europee, purtroppo, erano dieci anni indietro.

Anni difficili per BMW

Per BMW, gli anni Ottanta sono stati difficili: con la innovativa G/S 80, di cui parleremo nelle prossime puntate riservate alle enduro, troverà una bella soluzione alla crisi del boxer; ma le stradali sono rimaste al palo, non bastano più la classica R 100RS o la 65 LS con il cupolino alla Katana. E allora al salone di Milano dell’83 arriva la serie K per la stagione 1984. Inaspettatamente una 4 cilindri 1000, motore raffreddato a liquido e sdraiato di 90° sulla sinistra, a sogliola, due valvole per cilindro, iniezione elettronica, novanta cavalli e 230 chili. Prima c’è la Base, poi arriveranno la RS da 220 orari, la RT, la LT, e dall’85 anche la tre cilindri 750 da 75 cavalli, la K 75 che fischia di meccanica. La serie K stenta a convincere, per molti non ha una gran personalità, ma alla distanza si impone per l’efficienza e l’affidabilità. Nell’88 proprio sulla K appare il primo ABS nella storia della moto, dell’89 è il modello K1, 4 valvole da 100 cavalli. Ma a metà anni Ottanta la BMW rischiò addirittura la chiusura del reparto moto, questa è la verità.

Ducati 851
Ducati 851

 

Gli italiani a inseguire

E le sportive italiane, in quegli anni, purtroppo perdono il passo. La crisi lascerà poche speranze alla Laverda, la 1200 TS è dell’80, la RGS 1000 dell’81, poi la proprietà si spacca ed è crisi nera. Moto Guzzi si salva con la affermata serie Le Mans, la II dell’82 piace ancora oggi; fu un mezzo disastro la Le Mans 1000 con le ruote da 16, ma nell’88 tornarono le 18. Poi c’è la T5 860 con le ruote da 16, e la V75 dell’86 con il motore più piccolo e leggero, il capostipite delle 750 attuali. Delle Custom parleremo in una puntata successiva.

Anche le Ducati sono obsolete:la proprietà è statale, dell’Efim, e i concessionari sono molto preoccupati. Uno di loro mi confida che prima di consegnare la moto nuova è costretto a smontarla tutta e rimontarla. “Non ce n’è una uguale all’altra –mi dice- il controllo qualità non esiste”. La Darmah 900 e la MH 900 (poi 1000) aprono il decennio; dalla base del Pantah 600 si fanno le derivate per le corse, arriva la 350 nel 1981, la 750F1 nell’85 anche in versione Laguna Seca e Montjuich. Poi finalmente intervengono i fratelli Castiglioni, colpisce la Paso 750 disegnata da Tamburini nell’86, mentre la famosa 851 nasce nell’88 con l’ambizione di correre il campionato Superbike: c’è la versione Strada e quella kit con i tromboncini; la 750 Sport ad aria è dell’88. Con la stessa linea sigillata della Paso, e la carenatura della Freccia C9, c’è anche la Dart 350: è l’87 e la Moto Morini entra pure lei nel gruppo Cagiva.

La Bimota di Rimini spicca per creatività, decine di sigle per tutti i motori giapponesi: KB1, SB3, HB2, YB5. Ma anche la Bimota va in crisi e il modello che la risolleva è la DB1 dell’86 con il bicilindrico Ducati 750: leggera e agilissima, sfiora il traguardo dei 500 pezzi prodotti. La Bimota, con Virginio Ferrari e la YB4R, conquista nell’87 il mondiale TT della Formula 750 con tre successi parziali.
Prossima puntata, le Enduro!

Guarda la prima puntata dedicata agli anni Ottanta: Un decennio fantastico
Guarda la seconda puntata dedicata agli anni Ottanta: Le 125 sportive
 

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