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Anni Ottanta, sesta puntata! Per chiudere ci siamo tenuti qualche chicca come le “due tempi GP replica”, le Turbo e poi un altro fenomeno dell’epoca: il trial. Che già dalla metà degli anni Settanta si stava diffondendo anche da noi e fin dal ’76 aveva un modello-simbolo tricolore: la Fantic Motor 125.
Qui negli Ottanta il trial esplode davvero, e il terzetto spagnolo di Bultaco, Montesa e Ossa viene surclassato da una decina di marchi italiani e dalla Honda. La pioniera Fantic Motor mantiene il vantaggio anche nelle vendite: dal 1980 ha una gamma completa che va dal 50 fino al 200, che poi cresce al 240 Professional e poi al 300 nell’83; ora l’evoluzione è rapidissima, le piccole 50 e 125 diventano dei gioiellini e il top di gamma vince le gare ed è aggiornato anno dopo anno. Il modello 303 dell’88, per esempio, replica la moto che Thierry Michaud ha portato al titolo l’anno prima. E sono tre i titoli della Fantic Motor con il francese tra l’85 e l’88. Bisogna però dire che la prima casa italiana a conquistare il campionato mondiale trial fu la SWM, con Gilles Burgat nell’81. Fu un’impresa, perché le spagnole dominavano la scena ininterrottamente dal ’68!
Molto attiva fu anche l’Aprilia, che ha già il suo bellissimo 340 nell’81 (ma il titolo, il primo per Aprilia, arriverà soltanto dieci anni dopo con Ahvala e la Climber raffreddata a liquido, nata nell’89); a Noale seguono cin molta passione anche il progetto del 50 per i ragazzini. E non si riesce a citare tutte le trial italiane, purtroppo, perché sono decine: ma bisogna ricordare la Beta e almeno la sua bella TR 34 260 dell’86, campione del mondo con Jordi Tarres dall’89 al ’91; la Italjet con la 350T dell’82 e una delle più belle “Motoalpinismo”: la Scott Excursion 350 dell’87. Poi la TRL 329 della SVM (ex SWM), la Garelli Trial 320 Section, la Cagiva TR 350 DG, e l’artigianale Villa 348 Everest.
Naturalmente le case spagnole, seppure in difficoltà, reagivano al fermento italiano: le Montesa Cota erano un classico, belle soprattutto la 123 C e la 348T dell’83; le Ossa Yellow 250 e 350 (o la TU YO 350 da moto alpinismo) sono ricercate anche ora, come del resto le Bultaco Sherpa nelle due cilindrate 250 e 350. Ma fu la Honda a stupire. Fin dalla metà degli anni Settanta la Honda aveva in catalogo due quattro tempi – le TL 125 e 250 -, che però per potenza e soprattutto per il peso non potevano competere con la concorrenza europea. La svolta arriva nei primi anni Ottanta, quando Eddy Lejeune, giovane e forte pilota belga, prende a vincere le gare con modelli Honda sempre più efficaci. Tre titoli di fila per lui, dall’82. E allora vi presento almeno una Honda, è la RTL 250S del 1984 con il suo efficiente monoammortizzatore progressivo al retrotreno.
Ma le turbo hanno suscitato ancora più entusiasmo e ora vi porto a Colonia, 1980. Al salone tedesco, Honda propone la prima moto sovralimentata: la preziosa CX 500 Turbo, bicilindrica a liquido, a V trasversale di 80 gradi, aste e bilancieri, 4 valvole per cilindro e cardano, accreditata di 82 cavalli a 10.000 giri. L’impressione è enorme e la rincorsa pronta: l’anno dopo arrivano anche la Yamaha XJ 650 T, e poi la Suzuki XN 85, entrambe a quattro cilindri. La Yamaha è piuttosto deludente: mantiene gli ammortizzatori al retrotreno, scalda parecchio, non offre grandi prestazioni: soltanto 10 kmh in più della moto aspirata… La Suzuki, con la sua XN 85 650, propone due meraviglie ciclistiche dell’epoca: la ruota anteriore da 16 pollici e l’antidive alla forcella. Due soluzioni che diventeranno di moda in quel periodo ma si riveleranno poco consistenti. La sigla 85 indica i cavalli della potenza massima, e questa Suzuki si fa apprezzare anche per la maneggevolezza e la precisione di guida.
Nel settembre 1983 arriva anche la Kawasaki GPZ 750 Turbo: è la più sportiva, ha una bella linea e altissime prestazioni, è la più potente delle turbo con 112 cavalli, la più veloce, ma anche la meno brusca nella risposta del turbo; bialbero due valvole per cilindro, è raffreddata ad aria e pesa 225 chili.
Ma le Turbo sono state meteore. Soltanto la Honda si dedicò all’evoluzione del suo modello proponendo la CX 650 T da 100 cavalli per la stagione ’83. Eppure queste quattro moto hanno catalizzato l’entusiasmo di stampa e appassionati per almeno due stagioni; la promessa era quella di ottenere le prestazioni di una supermoto da una media cilindrata e ci avevamo creduto. Ma poi ci hanno delusi il peso eccessivo, i consumi elevati, difficile fare più di dieci km con un litro, e soprattutto l’erogazione: i cavalli arrivavano di botto alla ruota, e per di più con un certo ritardo alla risposta. In curva, a moto piegata, erano cavoli amarissimi…
In Italia soltanto la Moto Morini inseguì questa illusione: la 500 da 70 cavalli fu presentata a Milano nell’81 ed era già funzionante, ma poi non se ne fece nulla. Peccato, anche perché si dice che furono proprio le sue ricerche internazionali di una piccola turbina a incuriosire e scatenare i tecnici della Honda…
E le due tempi da competizione portate sulla strada? A Parigi 1983, da non credere, il simbolo della fantasia e del coraggio degli anni Ottanta entra nella storia e si chiama Yamaha RD 500 LC, la prima replica a due tempi delle moto da Gran Premio. Una meraviglia che ti trasforma in Kenny Roberts: V4 di 50° raffreddato a liquido, distribuzione lamellare e valvola allo scarico, 88 cavalli a 9.500 giri. Con magnesio e leghe leggere pesa 188 kg a secco, telaio a travi d’acciaio (alluminio solo per il Giappone), tre dischi, ruote a razze da 16 e 18 pollici. E’ la replica della OW 70 del mondiale, solo con le lamelle al posto della valvola rotante. La proviamo per primi in Italia, Tanca, Gissi ed io, ed è l’unica volta che fatichiamo a passarcela. Supera i 220, si guida bene, ha una voce fantastica, ottiene un grande successo: tremila moto costruite in tre stagioni.
Questa volta la Honda arriva seconda: la sua NS/R 400 è però più efficace su strada. Tre cilindri a V di 90°, uno solo verticale all’opposto della 500 da GP che era stata di Spencer, questa due tempi ha le lamelle all’aspirazione e il sistema ATAC allo scarico che migliora la progressione ai bassi. 72 cavalli a 10.000 giri, 163 chili a secco, e il telaio d’alluminio che si rivela ottimo. Gran moto, più umana e più versatile della RD 500. E infine per la stagione 1985 arriva la Suzuki RG 500 Gamma, la più evoluta di tutte.
La Gamma è la più vicina all’originale da Gran Premio e vanta 95 cavalli a 9.500 giri, che è la stessa potenza della prima RG campione del mondo 1975 con il grande Barry Sheene; e poi pesa soltanto 158 chili a secco, trenta chili meno della Yamaha. Ha i quattro cilindri disposti in quadrato, l’ammissione a disco rotante, sfiora i 240 con tutta l’adrenalina dell’erogazione racing. Telaio in tubi quadri e forcella Kayaba con l’antidive; dei tre dischi, la coppia anteriore ha già le pinze a 4 pistoncini. Verrà prodotta fino al ’90, in quasi diecimila esemplari. E molti non possono dimenticare la bellissima sorella minore, la Gamma 250 che è persino precedente alla mezzo litro. Prima con il bicilindrico parallelo da 46 cavalli nel telaio bitrave d’alluminio, poi ancora più affascinante nell’88: la RGV 250 Gamma, motore a V di 90°, 58 cavalli a 10.000 giri, 128 chili a secco. Quel delizioso bicilindrico equipaggerà più avanti anche la Aprila 250 RS.
Le emozioni degli anni Ottanta sono state tante, lo avete visto in questo viaggio in sei puntate, e le due tempi “replica” sono state, per quasi tutti noi, le più emozionanti in assoluto…
Guarda la quinta puntata dedicata agli anni Ottanta: dagli scooter 50 alle super GT
Guarda la quarta puntata dedicata agli anni Ottanta: le "Dakariane"
Guarda la terza puntata dedeicata agli anni Ottanta: le super sportive
Guarda la seconda puntata dedicata agli anni Ottanta: Le 125 sportive
Guarda la prima puntata sugli anni Ottanta: Un decennio fantastico