Nico Cereghini: "Rosberg come Stoner"

Nico Cereghini: "Rosberg come Stoner"
Ritiro a sorpresa per tutti e due, quando avevano ancora molte vittorie davanti. Il sogno è realizzato, ha detto Nico, ma poi ha parlato di una pressione enorme, diventata per lui insopportabile. Lo sport sta cambiando e per qualcuno il prezzo da pagare è troppo alto
6 dicembre 2016

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Ciao a tutti! Quando ho saputo che Nico Rosberg, appena vinto il titolo, lasciava la F1, la prima reazione è stata: grande, non è da tutti fermarsi quando si è al vertice. Poi ho letto le motivazioni e scoperto che anche in questa vicenda le cose sono più complesse. Nico ha detto subito che diventare campione del mondo della Formula 1 era il suo sogno fin da bambino, quando a sei anni si è messo al volante di un kart, e una volta realizzato questo suo sogno non c'era tanto senso a continuare. E questa frase mi è parsa molto bella. Poi però ha parlato anche di una stagione molto tesa e difficile, ha detto di aver dovuto attingere a tutte le sue energie fisiche e mentali, di aver vissuto domeniche terribili, di aver chiesto tanto alla moglie e alla famiglia; che non avrebbe potuto sopportare un anno ancora di Formula 1 e che le ultime tre stagioni sono state devastanti. Il mio rispetto per Nico Rosberg resta alto, cresce anzi parecchio quando leggo che abbandonando l'abitacolo della sua Mercedes rinuncia a un contratto biennale da cinquanta milioni. Naturalmente la scelta è soltanto sua e della sua famiglia, ma una considerazione si può anche fare.

Quelli che piantano di punto in bianco baracca e burattini cominciano a diventare tanti. In tutti gli sport. Per noi, pochi anni fa, c'era stato il caso di Casey Stoner: ventisette anni, il titolo 2011 della MotoGP appena vinto con la Honda, talento da vendere e però una stanchezza insopportabile nei confronti dell'ambiente, dei colleghi, la Dorna e tutto. Stoner arrivò in Francia per la quarta gara del 2012, aveva appena vinto in Qatar e in Portogallo, e a sorpresa annunciò il ritiro a fine stagione. Sembra di capire che tra Rosberg e Stoner ci sia almeno un comune denominatore: entrambi hanno cominciato prestissimo, da bimbi proprio, con il papà che li ficcava appena possibile sulla sella di una motoretta o sul sedile di un kart. E ormai si fa così, questa esperienza è comune a quasi tutti i loro colleghi, certo. Ma per loro l'impegno si è rivelato molto gravoso, insopportabile proprio, e quando il primo pensiero di ritiro si è fatto strada sotto il casco allora ciao. Per il trentunenne Nico Rosberg parliamo di venticinque stagioni di gare e undici di sola F1, per Stoner di almeno vent'anni di competizioni. La pressione è diventata altissima in F1, nella MotoGP, nel tennis, nel nuoto e in tutti gli sport individuali. Troppe gare, troppi soldi, troppe attese, troppa tensione. C'è chi è naturalmente attrezzato per sopportare tutto questo e vive il suo sport con leggerezza, c'è chi non ci riesce e si scopre già logoro a trent'anni.

Ed è un fenomeno recente. Penso a certi campioni di qualche anno fa, quelli che ho conosciuto personalmente. A Nello Pagani, classe novecentoundici, che fu il primo pilota italiano a conquistare un titolo mondiale nella velocità, Mondial 125 nel '49, e che ancora nel '70 e nel '71 quando lo vidi, si divertiva a disputare la 500 km di Monza con una Laverda 750. Aveva sessant'anni, l'entusiasmo di un ragazzo e nessuna voglia di andare in pensione. O anche a Walter Villa, che dopo i quattro titoli nelle classi 250 e 350 con le Harley di Schiranna e la doppietta del 1976, continuò per pura passione ancora per quattro stagioni di mondiale e poi avanti ancora imperterrito: tra le Supermono e i collaudi per la Pirelli arrivó alla soglia dei cinquant'anni senza mai attaccare veramente il casco al chiodo.

Max Biaggi ha vinto il suo sesto titolo mondiale, secondo nella SBK dopo il poker della classe 250, a quarantuno anni di età. E lui è forse l'ultimo rappresentante di una generazione simile a quelle di Pagani e di Villa, quelle che si comincia tardi (nel suo caso a diciotto anni con la 125 sport production) e non si vorrebbe mai staccare la spina. Che sia più facile sopportare la pressione della gara quando hai salvaguardato le tue energie mentali? La leggenda dell'enduro Alessandro Gritti, Franco per gli amici, fece la sua prima gara a diciotto anni, con la sua Morini 100. Era il 1965, poi i titoli italiani (tredici), quelli europei (cinque), le Sei Giorni (quindici con dieci medaglie d'oro, tre d'argento e tre assoluti) fino al 1997, quando aveva già cinquant'anni. Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi, nello scorso ottobre ha deciso di fare ancora una Sei Giorni e si è presentato in Spagna con una Honda 250 e Piero Gagni come assistente. Il meno giovane della storia, per quella gara internazionale: sessantanove anni e mezzo. Ha chiuso al posto 307, mettendosi dietro centottanta piloti. Perché va sempre forte e si diverte.

Lo so che lo sport è cambiato, il livello si è alzato, la concorrenza è più agguerrita e cominciare da piccoli è sempre più indispensabile. Ma niente è gratis.

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