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Ciao a tutti! Con tutte le sciocchezze che si sentono in giro -come l’uscita di un giovane miliardario che definisce i ragazzi italiani pigri e disinteressati al lavoro, lui che ha ereditato un’industria automobilistica e poi l’ha svuotata- mi viene voglia di prendere la moto e scappare il più lontano possibile. Poi però la stagione sfavorevole raffredda i miei entusiasmi, la cervicale si lamenta, e allora mi limito a viaggiare con la memoria.
Dove volevo andare, quando sentivo dentro tutta quell’urgenza di andare? Dappertutto. Fin dalla quinta elementare, con la biciclettina e le ruote da 14, mi allontanavo da casa il più possibile, fino a non riconoscere più le vie e il mio quartiere. Vivendo in una grande città come Milano, bastava un quarto d’ora per perdermi. E allora mi ingegnavo per trovare la strada del ritorno, puntando al centro città per ritrovare i riferimenti noti. Per anni ho pedalato tanto. Con una bici con il cambio al mozzo, ereditata da uno zio, a tredici anni mi sciroppavo anche cento chilometri in un pomeriggio: Milano- Lecco e ritorno; e a quindici anni, con una bicicletta da corsa in prestito, andai a Loano (Savona) per un fine settimana. Metà salita al passo del Turchino la feci a piedi, il ritorno in treno perché le gambe non rispondevano più. Era amore per la bici? Macchè. Soltanto il bisogno di andare, anche in solitaria, se nessuno voleva seguirmi. E quando finalmente ebbi un motorino allora scoprii la felicità.
Tutti i ragazzini vanno in bicicletta e tutti dovrebbero provare, subito dopo, una piccola moto
Ero uno di quei ragazzi pigri dell’eroico Yaki Elkann? Certo, mi piaceva di più gironzolare a casaccio che affannarmi sui libri di scuola, ma la pigrizia non c’entra. Non era la scomparsa dei pedali ad entusiasmarmi così tanto, ma quell’emozione che tutti voi conoscete bene: l’assenza di peso, una nuova velocità di movimento nello spazio, la libertà allo stato puro. Non serve un missile da trecento all’ora: basta un mezzo, possibilmente scoppiettante, che raggiunga una velocità superiore a quella che potremmo mai toccare con le nostre umane forze. Il mio Vivì 50 di quarta mano era una baracca, tre marce e la seconda neanche entrava più, ma i cinquanta all’ora forse li faceva, e comunque per me era volare. Il passaggio successivo fu quello, epico, quando provai una moto abbastanza potente da potere andar su per le salite senza nessuno sforzo. Sapete cosa intendo.
Dove la moto piccola arrancava e scaldava, ecco una vera moto: nel mio caso una Ducati 350 Desmo che sembrava inesauribile, mezzo gas e faceva paura, prima seconda e terza, cento all’ora anche in salita.
Sono tutte emozioni che noi motociclisti abbiamo dentro. Sensazioni provate una volta e poi sempre cercate. Forse – mi viene da pensare- anche chi vola con il parapendio o con l’aliante prova più o meno le stesse cose. Invece chi si accontenta della realtà virtuale perde una grande occasione. Tutti i ragazzini vanno in bicicletta e tutti dovrebbero provare, subito dopo, una piccola moto.