Nico Cereghini: “Se al TT incontri un canguro...”

Nico Cereghini: “Se al TT incontri un canguro...”
Se al TT incontri un canguro che taglia la strada davanti alla tua moto puoi restare allibito, puoi rischiare di ammazzarti insieme a lui, ma non c’è storia: devi fartene una ragione. Semplicemente, le regole (e la vita) sull’isola sono speciali
27 maggio 2024

Ciao a tutti! Oggi stesso iniziano le prime qualifiche sul Mountain, il nostro Antonio Privitera è partito dalla sua Sicilia, è in viaggio e qualche appassionato italiano lo ha già preceduto. Come l’amico Piero Pieri di Gubbio, autore di libri sul TT, un altro “folgorato sulla via di Douglas” come tanti italiani. Come Stefano Bonetti, come l’indimenticabile poeta e sognatore motociclistico Roberto Patrignani.

Piero alloggia come sempre dalle parti di Sulby Bridge. Ieri era sul tracciato alla guida della sua BMW S1000 RR e mentre percorreva intorno ai 100 all’ora (sul bagnato) la doppia curva di Quarry Bends prima del velocissimo rettilineo di Sulby,  ecco spuntare il canguro dal bosco. Enorme e saltellante, assicura Piero che non poteva nemmeno frenare. La bestia si è fermata per un attimo e lo ha guardato, poi per fortuna ha ripreso i suoi balzi e il nostro motociclista gli è passato dietro la coda, evitando di un soffio la catastrofe.

Piero Pieri si è precipitato in direzione gara per dare l’allarme, ma... sai come ragionano, mi ha confidato. Gli hanno detto che lì nei pressi di Quarry Bends c’è un piccolo zoo e sono cose che succedono, ogni tanto qualche animale scappa. Il nostro scrupoloso compatriota ci è rimasto male, ma poi spulciando in rete abbiamo saputo che le fughe dei canguri sono state numerose, in passato, tanto che sull’isola vive in libertà da trent’anni una colonia di “piccoli canguri”. Quello di Pieri, però, era molto grosso.

Questo è soltanto un episodio, un aneddoto che non passerà certamente alla storia del Tourist Trophy. Ma è un episodio che troviamo significativo: chiarisce che quando sei sull’isola di Man non puoi che accettare il tuo destino. Insomma, al TT non si va per caso, se sei arrivato fino a lì è perché sai cosa ti aspetta. Se sei un pilota innamorato delle road races conosci tutti i rischi e consapevolmente te li prendi, se sei uno spettatore assisti e condividi con entusiasmo.

A chi scrive, il TT non piace, d’istinto. Sull’isola sono andato una sola volta da ragazzo, non sono stato contagiato da quell’atmosfera e scappo a gambe levate sia da quel luogo sia da quella filosofia. Per anni mi sono battuto per la sicurezza dei piloti e per l’adeguamento dei circuiti, a suo tempo ho lottato con organizzatori e federali senza scrupoli. Amo altri tipi di corse.

Ma subito dopo devo ammettere che ho amato e raccontato anche la Parigi-Dakar, quella dei tempi mitici e molto luttuosi, dove alla fin dei conti vigeva la stessa parola d’ordine del TT. “Le Dakar c’est le Dakar...” rispondevano gli organizzatori francesi a chi protestava, esattamente come gli inglesi hanno replicato a Pieri: “Un canguro? Succede”.

Morale? Siamo tutti pieni di contraddizioni: direi che noi motociclisti, soprattutto noi, viviamo di quelle. Correvo i GP in 500 nell’era a.p. (avanti paraschiena) pur inseguendo la sicurezza. E continuo ad andare in moto, come tutti voi, nonostante le cronache siano purtroppo piene di bruttissime notizie. Fossimo soltanto lucidi e razionali, ci fermeremmo.

Probabilmente il TT, stradale velocissimo com’è, comporta una dose di rischio troppo elevata. Ma chi può stabilire oggettivamente qual è il limite del rischio? Chi può farlo d’autorità, meglio e al posto degli interessati?

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