Norton Manx. La moto mitica

Norton Manx. La moto mitica
La Manx ha formato i più famosi piloti inglesi e ha vinto per vent'anni. Le sue origini risalgono agli anni Trenta, ma la “moto vincente” è del 1949: dieci cavalli più della altre monocilindriche e il famoso telaio letto di piume
4 aprile 2018

In una ideale classifica delle dieci moto da competizione più importanti di sempre va certamente inclusa la Norton Manx, una creazione che si merita tutti i superlativi relativi come: la più prodotta, la più venduta, la più vittoriosa.
Questa moto compariva sui giornali dell'epoca, pubblicizzata con una sicurezza e superiorità tutta inglese come “l'inavvicinabile”, e aveva anche spinto Geoff Duke a dire «E' la migliore moto che abbia mai guidato». Parole di un pilota assolutamente indiscutibile sotto ogni aspetto, che aveva vinto tre titoli mondiali con la Norton e poi altri tre con la fenomenale quattro cilindri Gilera: mi auguro dunque che la sua affermazione fosse determinata da una irrefrenabile motivazione affettiva e quindi scusabile, altrimenti, il pilota inglese più amato in Italia avrebbe meritato d'essere messo dietro la lavagna in castigo per l'ingratitudine, come si usava ai tempi!

Per apprezzare sino in fondo questo capolavoro, che è stato il capostipite delle moto moderne per il suo azzeccato e rivoluzionario insieme di motore, telaio e sospensioni, ne ripercorriamo brevemente la storia ricordando le circostanze e gli uomini che l'hanno creata.
La Norton nasce come società di produzione di parti per mezzi a due ruote nel 1898, ma dopo qualche anno già produce le proprie moto con motori francesi e svizzeri; il suo logo a lettere nere, con la N allungata che rinchiude il nome, fu disegnato dallo stesso "Pa" Norton e dalla figlia Ethel secondo lo stile art decò in voga all'epoca. Nel 1908 Norton produce la prima moto col proprio motore a valvole laterali, e l'anno successivo viene addirittura venduta da Harrods! 

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Nel 1926 il tecnico Walter Moore viene incaricato  di progettare un motore completamente diverso dai precedenti, un monocilindrico che in seguito si evolverà nel Manx; e nel 1927 la Norton entrò nelle competizioni vincendo qualche gara,  ma collezionando anche parecchi ritiri. Gustoso il commento del famoso pilota dell'epoca Stanley Woods, secondo il quale «Moore aveva nel suo ufficio una Velocette e una Charter Lea per ispirarsi, ma nel progettare sicuramente prese solo il peggio delle due».                         

Anche se i due anni successivi furono tribolati, la fama di questo motore e del suo progettista aumentarono al punto che le proposte della NSU, l'arrivo di un importante direttore sportivo come Joe Craig e i dissapori anche economici con la proprietà spinsero Moore verso la Casa tedesca.
Con Moore in Germania, ci furono due Norton: quella tedesca e l'originale, tanto che con uno humor tutto inglese circolò nell'ambiente motociclistico la battuta che NSU significasse “Norton Spare Used”.
In Inghilterra lo sviluppo di moto e motore venne affidato al nuovo progettista Carrol con Craig direttore sportivo, e gli anni Trenta furono pieni di soddisfazioni con la versione stradale denominata Norton International e quella da gara chiamata per la prima volta Norton Manx Grand Prix. 

                                     

Fino al 1939 vinsero in quasi tutti i TT di Man con motori dotati di doppio albero a camme in testa e molle a spillo, mentre la ciclistica anticipando di diversi anni i nostri marchi, aveva già ammortizzatori posteriori a pistone e forcelle telescopiche.
Il Manx fu vincente nelle classi 350 e 500 sino al periodo bellico, resistendo all'arrivo dei motori frazionati, a quelli supercompressi e ai carburanti speciali, e facendo prevalere nei circuiti tortuosi la sua manovrabilità, la stabilità e anche la buona velocità.
In Norton, fedeli per convinzione e per motivi economici al loro monocilindrico aspirato, riuscirono poi a condizionare la Federazione Internazionale fino all'abolizione dei motori compressi. Il primo dopoguerra li trovò ancora vincenti, anche se alla fine degli anni quaranta altri marchi inglesi di grande tradizione e capacità costruttiva si misero in luce: come l'AJS, che vinse nel '49 il mondiale della 500 con la sua bicilindrica “porcospino” (denominata così per la sua singolare alettatura di testa e cilindro) e la Velocette, che si aggiudicò quello della 350 vincendo tutte le gare di campionato.

Questa sconfitta spronò la Norton a realizzare la “moto vincente”: aggiornando il motore con almeno 10 cv in più di tutti gli altri  monocilindrici dell'epoca e montandolo su un telaio realizzato in Irlanda del Nord nella piccola officina di Rex McCandless e del suo socio, il pilota Artie Bell. Il telaio, rivoluzionario per l'epoca, era in tubi d'acciaio Reynolds saldati con un sistema  particolare che gli conferiva rigidità e allo stesso tempo elasticità nei punti di giunzione; gli ammortizzatori posteriori, anche quelli di loro costruzione e molto efficaci, riprendevano quelli della Citroën.

Duke al TT del 1950
Duke al TT del 1950


La moto, testata in segreto sull'isola di Man e su veloci circuiti in Francia, si rivelò subito il prototipo della moto moderna, che sarebbe diventata uno standard per tutte le altre che sarebbero seguite negli anni successivi. Portò anche fortuna al giovane Duke, che con questa moto che sembrava fatta apposta per lui impiegò solo un paio di settimane a scalare le gerarchie in Norton, diventandone la prima guida. Per la storia, con Duke arrivò la prima vittoria nell'aprile del 1950 della Manx “featherbed” (letto di piume), e tante altre seguirono sino al '70, permettendo ad altri grandi piloti di farsi le ossa, mettersi  in luce, e diventare pluricampioni del mondo  anche con altre marche, e qui citiamo assi come Hailwood, Surtees, Redman, Phil Read e Luigi Taveri
L'origine del  nome “featherbed”, con cui venne identificato il telaio, deriva dalla stupefatta esclamazione dell'anziano pilota Harold Daniell dopo uno dei primi test, in cui gli era parso di guidare come su un “letto di piume”, paragonandolo al precedente modello “cancello da giardino”: la definizione fu colta dai cronisti che legarono per sempre il termine a quel tipo di telaio.
Successivamente McCandless e un suo saldatore si trasferirono presso la Norton, e realizzarono una decina di telai Manx Featherbed che cominciarono a vincere su tutte le piste. Dato il successo di vendita, e non potendo soddisfare internamente la necessità di telai, Norton ricorse in silenzio a una produzione esterna, dando così inizio alla sua storia che durò vent'anni con più di mille esemplari prodotti e vincenti in tutto il mondo. Tra le monocilindriche la Norton non aveva rivali, e solo le potenti Gilera a quattro cilindri le negarono il primo posto, quando potevano scatenare tutta la loro ”cavalleria”.


La fama si diffuse, e la Manx divenne il mezzo più popolare ed accessibile per i piloti privati: gli ordini fioccarono e, primi al mondo, nel reparto corse organizzarono un servizio di rotazione motori per il supporto mondiale ai piloti privati.
Quella leggendaria moto nata nell'inverno del 1949 fu assemblata sino ai primi giorni del 1963 con gli ultimi ricambi esistenti in magazzino: brillò per l'ultima volta nel GP di Jugoslavia del '69, vincendo con Godfrey Nash nelle 500, complice la mancanza di Ago e della MV Agusta. 

Il suo periodo d'oro fu negli gli anni dal 1950 al 1953, con molte vittorie e buoni piazzamenti benché ormai fosse evidente l'impossibilità di sostenere a lungo la concorrenza delle quadricilindriche italiane. La Norton cercò di trovare la strada per realizzare un motore frazionato di questo tipo, ma le difficoltà economiche e tecniche la dissuasero dal percorrerla. Fu più facile ottimizzare quanto fatto e diventare leader tra i privati, grazie anche alle migliorie adottate come la geometria della parte termica, passata dall'originale "corsa lunga" degli inizi alla evoluzione, nel 1954, in corsa corta per la 500 e quadra per la 350. 
Altri aggiornamenti furono sperimentati, come la distribuzione desmodromica, la doppia accensione, il cambio a cinque o sei rapporti, ma non trovarono applicazione definitiva. 
L'ultimo sogno di Craig fu la sostituzione del tradizionale Manx con il modello “F”, un monocilindrico orizzontale come quelli delle Moto Guzzi  (la sua ossessione) che, pur realizzato e testato, non partecipò mai alle competizioni a causa del ritiro dalle gare ormai ufficializzato. Amareggiato per questa decisione aziendale, Craig decise di lasciare la Norton dopo 25 anni di collaborazione.  

 

Nel  frattempo, complici gli ingaggi più interessanti e il richiamo delle più performanti moto italiane, a partire dal 1952 la folta pattuglia di piloti di lingua inglese, che si erano forgiati ed erano diventati famosi con la mitica Manx, migrò alla spicciolata ad Arcore, Mandello e Cascina Costa. Qualche nome a caso, oltre al già citato Geoff Duke: Leslie Graham, John Surtees, John Mc Intyre, Bill Lomas, Ken Kavanagh, Roy Amm, Dickie Dale, Derek Minter, John Hartle
Detto questo, e tornando all'inizio, in quale posizione mettereste la Norton Manx nella vostra ideale classifica delle moto capolavoro che hanno fatto la storia delle due ruote ?
Non piazzatela al primo posto però.... quello è già riservato alla “meraviglia di Mandello”!...

Augusto Borsari

 

L'autore
Augusto Borsari è un ex giramondo per lavoro e un grande appassionato della storia della moto, soprattutto quella dagli anni Quaranta ai Settanta. Una febbre che lo ha preso fin da piccolo: il padre era concessionario Moto Guzzi a Finale Emilia, provincia di Modena, e il fratello Libero, molto più grande, correva in moto e andava forte. Libero Borsari è una vera leggenda: esordì col Guzzino 65 nel 1949 e molto presto passò alle grosse cilindrate. A soli diciannove anni, con la Guzzi 500 Dondolino, fu campione italiano di seconda categoria nel 1951: era una grande promessa, che però purtroppo l’anno dopo fu vittima di un incidente mortale sul circuito stradale di Mestre.
La pagina facebook di Augusto è un pozzo di storie, ricordi e considerazioni sul mondo delle corse.

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