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Ciao a tutti.
Oggi voglio parlare del motociclista di ritorno. Ne conosco diversi che, dopo aver rinunciato per anni alla moto, a un certo punto si scaldano e non ce la fanno più.
E mi chiedono: “quale moto consigli per uno come me che è fermo a venti anni fa? Mi ha ripreso la voglia!”.
E di solito indico una media cilindrata di quelle facili, versatile e non troppo costosa, che se l’amico dovesse cambiare idea, e scoprirsi inadeguato, potrà rivendere facilmente e pazienza.
Ma non si pentono. Come si fa a pentirsi di aver ritrovato la felicità? Magari si erano staccati dalla moto per far piacere alla compagna, motivazione che si può anche non condividere ma è diffusa; oppure perché sentivano molto la responsabilità dei figli, o di un lavoro importante, o di tutte le cose insieme. Si capisce: il timore di farsi male e doversi fermare per un po’. Ma col tempo di solito emerge la nostalgia, e a vedere quei gruppi di motociclisti che scorazzano sulle strade a primavera, è difficile restare indifferenti se il fuoco ti brucia dentro.
Ma c’è anche il caso che dalla moto ci si sia staccati per paura. Succede. Ne conosco diversi. Una motivazione irrazionale e per questo più insidiosa. Guardate che non è tanto raro incontrare dei motociclisti che convivono con l’insicurezza. Hanno voglia, passione, ma non riescono a dare del tu alla loro motocicletta. Ne hanno un po’ paura. In questo caso c’è soltanto un consiglio che si può dare: aspetta, lascia passare il tempo, non forzare le cose. Poi di solito passa.
A me è successo tanti anni fa. Correvo in 500, terza stagione con la Suzuki RG, ed ero bloccato. Avevo dei problemi personali, era un periodo difficile, e fin dalle prime gare mi ritrovai incapace di fare i tempi dell’anno prima. Mi sforzavo, ma niente, quel secondo (spesso anche due) non lo toglievo. Poi Imola. Fin dalle prove una bestia. Di traverso ad ogni curva. Partenza dalla prima fila con Lucchinelli , Rossi (Graziano) e Ferrari. Ago e Roberts in seconda fila.
Asfalto umido perché aveva piovuto. Parto come una scheggia che non mi succedeva mai, Roberts prova a passarmi al curvone del Tamburello e io non mollo, resto con i primi per cinque giri, ogni staccata a saltare, ogni uscita di curva con la Suzuki di traverso.
Poi di colpo mi sorprendo a pensare: non ero io quando andavo così piano, ma non lo sono nemmeno ora che vado così forte, e prendendo questi rischi. Mi è venuta paura. Mi sono fermato al box e ho detto basta, smetto di correre. I fratelli Sacchi mi hanno detto va bene, del resto eravamo un po’ stanchi. Magari mi ammazzavo.