Per quale ragione i motori necessitano di un sistema di raffreddamento?

Per quale ragione i motori necessitano di un sistema di raffreddamento?
Perché non tutto il calore sviluppato dalla combustione della miscela aria-carburante viene convertito in energia meccanica | Massimo Clarke
18 marzo 2011

 
Una buona parte viene assorbita dalle parti meccaniche lambite dai gas ad alta temperatura (pareti del cilindro, testa, valvole, pistoni), mentre un’altra se ne va assieme ai gas di scarico, ancora molto “energetici” quando lasciano il motore.
Il calore viene assorbito in quanto le pareti metalliche sono a temperatura più bassa rispetto ai gas con i quali vengono a contatto. Ciò comporta un riscaldamento dei componenti in questione, che devono venire adeguatamente raffreddati onde evitare che possano raggiungere una temperatura troppo elevata. Questo è indispensabile per una serie di importanti motivi.
Alle alte temperature le caratteristiche meccaniche dei materiali metallici peggiorano. In particolare, le leghe di alluminio è ben difficile che possano mantenere una resistenza a trazione e una durezza adeguate al di sopra dei 350 °C. Anzi, per alcune di esse bastano temperature nettamente più basse. Anche gli effetti dei trattamenti termici tendono a subire un deterioramento in seguito alla permanenza, sia pure per periodi brevi, a temperature neanche tanto elevate.
In seguito a riscaldamento i materiali si dilatano. Questo porta a un cambiamento dei giochi e delle interferenze di montaggio che, se considerevole, può avere conseguenze deleterie per il motore.
E non è ancora tutto, in quanto anche l’olio si degrada se raggiunge temperature elevate, con grave scadimento delle sue proprietà lubrificanti, perdita di viscosità e, nei casi più seri, formazione di incrostazioni carboniose, lacche o gomme. Inoltre, il rischio che si verifichi la detonazione aumenta notevolmente, al crescere della temperatura…

Quanto calore va asportato?

La quantità che deve essere rimossa, tramite il sistema di raffreddamento (che in questo è coadiuvato in misura considerevole da quello di lubrificazione), va accuratamente valutata, in fase di progetto, in modo da evitare che le parti più sollecitate sotto l’aspetto termico possano raggiungere temperature troppo elevate, in qualunque condizione di impiego del motore. Al tempo stesso però è necessario che il motore raggiunga presto la temperatura più appropriata (cioè “di regime”) e che non funzioni al di sotto di essa se non, appunto, nella fase di riscaldamento, ossia nei minuti che seguono l’avviamento. Dunque, un moderno sistema di raffreddamento deve assicurare, per quanto possibile, un buon “controllo termico” del motore.
In linea del tutto indicativa, la quantità di calore asportata nell’unità di tempo è dell’ordine del 30 % di quella sviluppata dalla combustione all’interno dei cilindri.


Perché è importante raggiungere (e mantenere) la temperatura ottimale?

I motori sono studiati per lavorare all’interno di un certo campo di temperature ideale, piuttosto ristretto. In tale condizione, ovvero una volta raggiunta quella che i tecnici chiamano la “regimazione termica”, i giochi hanno il valore corretto (cioè previsto in fase di progetto) e l’olio la giusta viscosità, il che comporta minori perdite meccaniche e un più contenuto assorbimento di potenza da parte della pompa, rispetto al funzionamento a temperature più basse.
Quando il motore è ancora freddo, ossia durante la fase di riscaldamento, non è solo il rendimento meccanico ad essere peggiore, ma anche quello termico in quanto, essendo più elevata la differenza di temperatura tra i gas e le pareti metalliche, è maggiore la quantità di calore assorbita da queste ultime (sempre con riferimento all’unità di tempo). Inoltre, la vaporizzazione del carburante risulta meno agevole e rapida; vi sono anche seri rischi che si possano verificare fenomeni di condensazione sulle pareti dei condotti di aspirazione.

A quali temperature lavorano i principali organi meccanici?

Quelli che si possono fornire sono solo dei valori indicativi. Come ovvio, nei motori di potenza specifica più elevata le temperature sono generalmente maggiori. Si deve inoltre tenere presente che i motori raffreddati ad aria sono messi peggio di quelli raffreddati a liquido, sotto questo aspetto. Ad esempio, se in questi ultimi le temperature della parte alta e di quella bassa del cilindro possono raggiungere valori dell’ordine di 180 e di 130 °C rispettivamente, nei primi si può salire anche a 210 e a 170 °C. Le pareti della camera di combustione non dovrebbero superare i 230 °C circa, almeno in maniera continuativa (tra le sedi delle valvole comunque in diversi casi si può arrivare anche a 250 °C). Nella parte centrale del cielo dei pistoni (che nei motori di alte prestazioni vengono raffreddati con l’ausilio fondamentale di getti d’olio emessi da appositi ugelli) si possono anche superare i 300 °C e all’altezza della prima cava si può arrivare a valori prossimi a 250 °C; alla base del mantello generalmente si è dalle parti di 120 – 140 °C. Le valvole di aspirazione, che possono godere di un vigoroso raffreddamento in quanto lambite dalla miscela aria-benzina (fresca, e con il carburante che vaporizzando sottrae calore!) lavorano a 330-400 °C, mentre quelle di scarico, direttamente lambite dai gas ad elevata temperatura, possono raggiungere al centro del fungo valori superiori (e non di poco!) agli 800 °C.

Raffreddamento ad aria: quali i pro e i contro?

Tra i punti di forza vi è ovviamente la semplicità (e quindi anche il costo contenuto). Niente radiatore, pompa e tubazioni. Pure l’estetica del motore può essere avvantaggiata, e la cosa può avere una importanza non trascurabile in certe applicazioni (custom, alcune naked…).
Il coefficiente di scambio termico tra parete metallica e aria è basso (di gran lunga inferiore a quello tra parete metallica ed acqua), e questo obbliga ad aumentare la superficie della testa e del cilindro che viene lambita dal fluido refrigerante, ricorrendo a delle alette, la cui estensione, geometria e disposizione vengono studiate con grande cura. Se il flusso di aria generato dall’avanzamento della moto (cioè il cosiddetto “vento della corsa”) viene ostacolato da una carenatura o altro, diventa necessario adottare una ventola e un convogliatore (raffreddamento ad aria forzata).
Passiamo ora ai punti deboli. Tanto per cominciare, la refrigerazione è meno vigorosa. In altre parole, i vari componenti lavorano a temperatura generalmente più alta, a parità di dimensionamento, caratteristiche generali e di livello prestazionale del motore. Particolarmente difficile è raffreddare bene la zona della testa tra le sedi della valvole. Inoltre, l’ingombro del gruppo termico risulta di norma maggiore, rispetto a quello che si avrebbe con la refrigerazione a liquido. Se il raffreddamento è ad aria naturale, la quantità di calore sottratta nell’unità di tempo è legata alla velocità di avanzamento della moto. Tende ad essere eccessiva alle alte velocità, in pianura e (ancor più) in discesa, e a risultare scarsa nel traffico intenso e (soprattutto) in salita. Con certe architetture di motore (a V, quattro cilindri contrapposti) le teste e i cilindri posteriori, schermati da quelli anteriori, possono non essere raggiunti dall’aria in misura adeguata. Infine, è molto difficile ottenere un'elevata uniformità nella distribuzione delle temperature dei cilindri e delle teste, che tendono ad avere un lato “caldo” e un lato “freddo”.

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Raffreddamento a liquido: quali vantaggi presenta?

Tanto per cominciare, occorre dire che alla fine è sempre l’aria che asporta il calore. In questo caso però non lo fa direttamente, ma indirettamente, tramite l’acqua e un efficace scambiatore, il radiatore. Si parla spesso di raffreddamento a liquido (e non ad acqua) perché nei moderni sistemi refrigeranti non si impiega acqua pura (tranne che sulle moto da corsa, in quanto obbligatoria per l’impiego in pista), ma una miscela contenente antigelo e additivi anticorrosione. Questo fluido di raffreddamento assorbe calore dalla testa e dal cilindro, all’interno dei quali passa in apposite intercapedini ottenute di fusione, e lo trasporta al radiatore, ove lo cede all’aria. I moderni motori di prestazioni molto elevate sono invariabilmente raffreddati a liquido. Particolarmente importante è la capacità di asportare calore dalle zone critiche, inviando il fluido direttamente in prossimità delle sedi delle valvole, dei condotti di scarico e della parete esterna della camera di combustione, anche in presenza di angoli tra le valvole molto ridotti e di una notevole compattezza complessiva. Non è di minore rilevanza la possibilità di ottenere una grande uniformità nella distribuzioni delle temperature nella testa e tutto attorno al cilindro, con conseguente riduzione delle tensioni all’interno del materiale e della tendenza alle distorsioni. Come ovvio, è assolutamente fondamentale la possibilità di asportare una grande quantità di calore nell’unità di tempo, ossia di assicurare al motore un raffreddamento molto vigoroso ed efficace.

Come avviene la sottrazione di calore?

I gas caldi in movimento turbolento all’interno del cilindro cedono calore alle superfici metalliche con le quali entrano in contatto. Per conduzione il calore attraversa le pareti e arriva alla superficie esterna, lambita dal fluido refrigerante, che provvede ad asportarlo. La differenza di temperatura determina il flusso termico, diretto dalla zona più calda a quella più fresca. Al fine di rendere più uniforme la distribuzione delle temperature si può lavorare a livello di intercapedini, facendo passare una maggiore quantità di liquido nelle zone più sollecitate e/o aumentando le superfici di scambio.
Di notevole importanza è il fatto che grazie al raffreddamento ad acqua è possibile ottenere un controllo termico accurato del motore. Il termostato miscelatore fornisce un primo importante contributo, e anche uno scambiatore di calore acqua-olio è vantaggioso. In campo automobilistico sono già impiegate pompe a portata variabile, azionate elettricamente, che provvedono ad aumentare o a diminuire la quantità di liquido che, nell’unità di tempo, va ad asportare calore dalla testa e dai cilindri, in funzione delle esigenze che si incontrano nelle diverse condizioni di funzionamento. L’obiettivo è quello di mantenere sempre costante la temperatura del motore, in ogni sua zona; un migliore possibilità di controllo dei parametri di funzionamento del motore ha anche una favorevole influenza sul contenimento delle emissioni.

Come è fatto un tipico circuito di raffreddamento?

Il liquido refrigerante viene messo in movimento da una pompa centrifuga, che di norma è azionata meccanicamente. Il calore viene ceduto dal liquido all’aria per mezzo del radiatore, formato da due vaschette convogliatici e da una matrice di scambio, costituita da una serie di tubetti paralleli appiattiti che vanno da una vaschetta all’altra e che sono uniti da numerose alette (in effetti, si tratta di vere e proprie lamine) aventi la funzione di aumentare la superficie lambita dall’aria stessa. Il flusso può essere trasversale o verticale; nel primo caso le vaschette sono disposte lateralmente mentre nel secondo sono piazzate una sopra e un’altra sotto la matrice di scambio.
Il termostato provvede a rendere più rapido il raggiungimento della temperatura di regime, dopo un avviamento. A freddo è chiuso e di conseguenza il liquido non passa dal motore al radiatore e viceversa. A partire da una certa temperatura inizia ad aprirsi e questo consente un graduale inizio della circolazione normale. Nelle esecuzioni moderne questo dispositivo non agisce nella sola fase di riscaldamento, dopo un avviamento a freddo, ma è spesso in grado di modulare la miscelazione tra il liquido caldo e quello a temperatura più bassa anche durante il normale funzionamento del motore (termostato miscelatore).
Molti sistemi di raffreddamento prevedono l’impiego di un serbatoio di espansione, nel quale il liquido entra quando nel circuito la pressione supera un certo valore; il contrario accade, ovviamente, quando la situazione si inverte. Una pressione più alta di quella atmosferica nel circuito consente di mantenere l’acqua in fase liquida a una temperatura superiore a 100°C. A sua volta questo rende più vigoroso lo scambio termico con l’aria, permettendo l’impiego di radiatori più piccoli, a parità di energia termica ceduta nell’unità di tempo.

Quanto liquido circola?

Nei moderni motori motociclistici la quantità di acqua contenuta nel circuito non è elevata. In un monocilindrico 450 da cross può anche essere soltanto del’ordine di 1000 cm3. In un quadricilindrico di altissime prestazioni come il BMW S 1000 RR il circuito ha una capacità totale di 2,9 litri. Nei motori a quattro tempi la testa assorbe una quantità di calore di gran lunga superiore, rispetto al cilindro (nei due tempi avviene il contrario). È per questa ragione che la maggior parte dell’acqua che “attraversa” il motore viene inviata alla testa. In un motore come il BMW K 1300 S/R la pompa ha una portata di 140 litri al minuto, a regime nominale. Mediamente tra la temperatura del liquido refrigerante all’entrata e quella al’uscita del motore vi è una differenza dell’ordine di 4 – 7 °C.

Cos’è il raffreddamento interno del motore?

L’acqua che circola nelle intercapedini della testa e del blocco cilindri non è il solo fluido che asporta calore dal motore. Molto più importante di quanto non fosse in passato è oggi il contributo fornito dall’olio. Basta pensare ai getti di lubrificante emessi da appositi ugelli e indirizzati contro la parte inferiore dei pistoni, da tempo assolutamente indispensabili per assicurare un adeguato raffreddamento a tali organi. In un moderno motore motociclistico la quantità di olio inviata agli ugelli può essere anche superiore al 20% della quantità totale che viene immessa nel circuito di lubrificazione, e questo la dice lunga sulla importanza di tale soluzione ai fini del raffreddamento. In certi motori raffreddati ad aria il contributo dell’olio è tale che si parla, più propriamente, di raffreddamento “misto”.
A questo si deve aggiungere il cosiddetto “raffreddamento interno”, assicurato dalla vaporizzazione del carburante, che ha luogo almeno in buona parte all’interno del cilindro e che come ovvio aumenta mano a mano che la dosatura della miscela diventa più ricca. Assai più efficaci della benzina, sotto questo aspetto, sono il metanolo e l’etanolo, che non solo sono presenti in misura maggiore, in rapporto all’aria (la dosatura stechiometrica è rispettivamente pari a 6,4 e a 9, contro circa 14,7 per la benzina), ma soprattutto hanno un calore latente di vaporizzazione assai più elevato di quello della benzina. Se con quest’ultima si ottiene un abbassamento di temperatura di 20 – 25 °C, passando alla alimentazione a metanolo si arriva a oltre 120 °C!

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