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Risale al 1887 l’atto con cui la società Rinaldo Piaggio ha compiuto la sua trasformazione nella nuova società in accomandita semplice Piaggio & C.: una storia industriale capace di intrecciarsi a doppio filo con quella del nostro Paese e che festeggia oggi 130 anni.
È per celebrare questa ricorrenza e per gettare uno sguardo al futuro del gruppo che, nella serata di ieri, la Casa di Pontedera ha voluto incontrare, a Milano, giornalisti ed addetti ai lavori. Un evento speciale a cui hanno preso parte Roberto Colaninno, Presidente e AD del Gruppo Piaggio, e Jeffrey Schnapp, Professore di Letterature romanze e Letteratura comparata al dipartimento di Architettura e design di Harvard, e AD di Piaggio Fast Forward, la società del Gruppo fondata nel 2015 allo scopo di dare forma a soluzioni “leggere, intelligenti ed autonome” per la mobilità di persone e beni.
È stato proprio quest’ultimo a presentare alla stampa il libro FuturPiaggio – 6 lezioni italiane sulla mobilità e sulla vita moderna, di cui è autore: un prezioso volume edito da Rizzoli, in tiratura limitata e numerata, caratterizzato da un design unico e da una estrema ricercatezza estetica, e definito senza mezzi termini, dallo stesso Schnapp, come la più completa opera riguardante la storia industriale di un’azienda, mai realizzata.
Un lavoro particolarmente interessante, a cominciare dall’ispirazione grafica – il libro futurista imbullonato di Fortunato Depero, del 1927 – e dal concept sulla base del quale è stato interamente strutturato: un omaggio alle Lezioni Americane di Italo Calvino. Centotrent’anni di storia che spaziano dalla nascita di Moto Guzzi, a quella di Vespa, passando per le più alte espressioni di tecnologia motociclistica firmate Aprilia Racing, per giungere fino ai nuovi concetti di mobilità promossi da Piaggio Fast Forward grazie a concept come Gita: il veicolo autonomo e intelligente presentato a Boston poche settimane fa che – secondo gli uomini di Jeffrey Schnapp – può rappresentare una delle possibili soluzioni per agevolare i futuri spostamenti urbani. Un’interpretazione, quest’ultima, dai tratti perfino scioccanti per chi non sia a conoscenza del lavoro svolto dal professore di Harvard, assieme al suo team. Gita, infatti, come il gemello Kilo, apre un varco in un segmento di mercato del tutto nuovo, che non ha direttamente a che fare con la mobilità delle persone, ma che si rivolge, piuttosto, a favorire quelle degli oggetti che ogni individuo si vede costrette a trasportare nella vita quotidiana. Gita permette, così, di caricare al suo interno una molteplicità di cose, riuscendo, poi, a trasportarle al seguito del suo proprietario, in maniera del tutto autonoma.
Ma perché un’azienda come Piaggio ha deciso di investire le proprie risorse nello sviluppo di un prodotto di questo tipo?
«Con Gita abbiamo voluto in qualche modo creare una Vespa per il ventunesimo secolo, un qualcosa che avesse il suo stesso DNA: un veicolo simpatico, leggero, veloce, utile, funzionale» ci dice il professor Schnapp. «È un oggetto comunicativo – ha un sistema di luci ed altoparlanti – e le dinamiche in base alle quali esso interagisce con l’ambiente circostante sono state ideate per garantire un alto grado di sicurezza. Anche chi non lo conosce deve potersi fidarsi di lui. Dobbiamo poterci fidare dei robot! Se un robot dà l’impressione di voler investire il mio cane, o di volermi finire addosso, quella rivoluzione tecnologica che ora intravvediamo non si compirà mai».
Com’è nato questo progetto, all’interno del Piaggio Fast Forward? È stata Piaggio a chiedervi di concentrarvi in particolare sui pedoni?
«Il nucleo storico di Piaggio Fast Forward comprende architetti, ingegneri, designer. Quando l’azienda è stata fondata abbiamo cominciato a considerare una serie di concept: abbiamo esaminato il paesaggio urbano, la sua evoluzione, gli spazi ben serviti e mal serviti. Ci siamo convinti che i pedoni siano gli utenti che soffrono di più del modo in cui le nostre città si sono sviluppate. È così che abbiamo cominciato a studiare una varietà di veicoli capaci di muoversi all’interno dello spazio che è loro riservato. Qual è la concorrenza per Gita? La gente utilizza carrelli, trolley, ma questo è un veicolo! È un veicolo high performance, molto capace, che analizza e memorizza gli ambienti in cui si trova. I nostri veicoli, lavorando in rete, sono in grado di sviluppare una mappa iper precisa dei luoghi in cui noi, come esseri umani, ci muoviamo. Questo tipo di attività non può essere fatto dalle automobili!».
State lavorando anche a mezzi che siano in grado di trasportare esseri umani?
«Sì è un qualcosa che fa parte della gamma di interessi che abbiamo. Ma siamo partiti da questo settore anche perché volevamo in qualche modo intervenire nel dibattito che è in corso sulla guida autonoma, in cui si parla sempre e soltanto di auto e, soprattutto, della possibilità di sostituirsi alla capacità decisionale di un essere un umano. Noi non siamo così sicuri che, in contesti di estrema complessità come quelli che molti individui si trovano ad affrontare ogni giorno, questo possa essere fatto, che questa sia la strada che valga realmente la pena di perseguire. Penso a città come Mumbai o Hanoi: se quel mondo non viene ridisegnato integralmente, quel sogno di sostituire la discrezionalità umana con quella di macchine intelligenti non si realizzerà. Servono oggetti più leggeri, intelligenti, e in grado di fare leva su quello che noi esseri umani già sappiamo, riguardo al come “navigare” le città.
Il nostro progetto è nato con l’intenzione di modificare il punto di partenza. Invece di concentrarci sulla sfida di creare automobili o camion così intelligenti da girare il mondo senza di noi, ci siamo domandati come sia possibile costruire veicoli capaci di darci una possibilità in più, di liberarci da quei limiti che ci impongono di prendere la macchina. Non abbiamo cercato di risolvere un piccolo problema (il mondo è pieno di innovazioni che si rivolgono alla risoluzione di piccoli problemi): abbiamo cercato di creare una piattaforma aperta, una nuova tipologia di veicoli. Oltre a Gita, abbiamo il fratello più grande, Kilo, e un domani – magari – avremo mezzi in grado di trasportare esseri umani. Non ci interessa fare la guerra a Ford o a General Motors, vogliamo concentrarci su nicchie di mercato e su una visione di città human centered, in cui la qualità della vita sia il fulcro di tutto e in cui sia possibile andare oltre al costante sacrificio di spazi urbani sull’altare delle automobili».