Pit Beirer (KTM): "Per vincere nulla è lasciato al caso"

Pit Beirer (KTM): "Per vincere nulla è lasciato al caso"
Il responsabile dell’attività agonistica KTM fa il bilancio della stagione appena conclusa e spiega gli obbiettivi per il futuro | M. Zanzani
3 dicembre 2012

Pit, un'altra stagione di successi per KTM.
«Sì, è stata un’annata incredibile perché abbiamo vinto ogni campionato al quale abbiamo partecipato come team ufficiale. E' fantastico, che altro dire, ogni anno andiamo un po' meglio in quanto lavoriamo sodo per migliorare, ma ora che siamo ai vertici dobbiamo trovare il modo di mantenere questo livello perché inizia la parte più difficile. Nonostante le difficoltà generali del mercato ho sempre insistito nel mantenere un forte impegno nelle competizioni, e questo ci sta ripagando perché siamo in una costante crescita. E quest'anno grazie anche al titolo National statunitense e quello su strada possiamo dire che è stata la miglior stagione della nostra storia».


Qual è stato il titolo che ti ha dato più soddisfazione?

«Non voglio offendere nessuno dei nostri campioni perché ogni categoria ha avuto il suo fuoriclasse, ognuno con la sua personalità, quindi non mi sbilancio. Che io sia al mondiale Motocross o a quello Enduro e vinciamo, io impazzisco di gioia così come se sono in un’altra specialità. Anche se sono di estrazione crossistica io faccio del mio meglio per dare il cento per cento di supporto e attenzione a tutte le categorie dove la KTM è coinvolta, non c'è una classe più importante delle altre».

Tony Cairoli
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Cairoli e il suo team ha comunque fatto qualcosa di veramente speciale.
«Sì, questi ragazzi sono stati mentalmente molto forti e consistenti, un esempio per ogni squadra e atleta. Tony ha trovato il giusto mix tra lavoro e tempo libero, si impegna molto ma sa anche prendersi dei momenti di svago trovando il giusto equilibrio per fare tutto al 100%. In gara sa accettare anche un quinto posto senza perdere il controllo, e sa esattamente quando qualcuno si fa sotto in classifica e reagisce bene sotto pressione. La sua eccezionale sensibilità gli permette di fare delle gare perfette per tenere gli avversari a distanza, è veramente il punto di riferimento del nostro sport e non vedo nessuno che possa eguagliare le sua prestazioni».
 
Quest’anno tante volte si è ritrovato in testa al gruppo già alla partenza
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«Il progetto della 350 ha una formula azzeccata, grazie alla sua massa ridotta e alla favorevole distribuzione della potenza muoviamo meno peso da zero al primo metro fuori dal cancello e i risultati si vedono. Tony con il suo peso, la sua conformazione fisica e il suo stile è perfetto per questa moto, alle partenze ha sicurezza, feeling con la frizione e con l’erogazione. Certo che se hai due piloti con la stessa moto il campione sarà davanti e il pilota mediocre resterà indietro, quindi anche la moto più performante ha bisogno del miglior pilota, e Tony è il pilota che fa la differenza dal resto del paddock».

 


Anche Herlings ha fatto la differenza, nella MX2.

«Sì, Tony è l'uomo adulto, Jeffrey il ragazzino a tratti ribelle, caotico, non sempre è facile capire, ma quando vuole arriva al punto e quando c'è un risultato da raggiungere è in grado di farlo. A volte non so neanche come, dato che crea così tanta confusione nella sua vita che al suo posto il giorno della gara io non riuscirei ad avere la concentrazione per correre, sembra quasi che abbia bisogno di essere messo sotto pressione per essere performante. Per quello che fa sulla moto e per come è intelligente nel gestire le sue gare appare più grande di quello che è, ma non dobbiamo dimenticarci che è un ragazzino e che ha ancora bisogno di un po' di esperienza».


Hai qualche rimpianto per questa stagione?

«In generale direi di no, abbiamo però avuto qualche brutto momento come l’episodio in Portogallo tra Jeffrey e Pocock o lo sciopero in Messico, penso che tutto il paddock sia andato un passo troppo oltre. A quel punto ho cercato di fare il punto della situazione e di riprendere le redini della situazione. Ho parlato alle persone che lavorano con noi spiegando loro che erano riusciti a trasformare il loro hobby in una professione, che avevano il loro salario garantito e quindi di cosa si stavano lamentando visto che tuttalpiù chi va in fabbrica ogni mattina può avere qualcosa da ridire. Qui si stavano dimenticando che questo è il nostro lavoro e che siamo fortunati a poterlo fare, questa situazione mi ha fatto davvero arrabbiare. Un'altra cosa che mi ha preoccupato è stato l'incidente in auto che ha coinvolto Jeffrey in Russia, inizialmente piuttosto preoccupante ma per fortuna risoltosi senza strascichi. Questi sono stati i momenti brutti della stagione, dal punto di vista sportivo è stato tutto magnifico ed interessante, Tony ha avuto quelle due brutte manche in Svezia e poi si è rifatto alla grande rendendo il campionato emozionante per tutti».


Una considerazione sui risultati ottenuti negli Stati Uniti?

«Abbiamo ancora un margine di miglioramento, ma vincere il National 450 è stato un risultato molto importante e sarebbe troppo chiedere di più visto quello che abbiamo già raggiunto in questi ultimi due anni con l’arrivo di Roger De Coster. Con lui si sono aperti nuovi orizzonti, abbiamo avuto la prima vittoria Supercross nella classe regina, il primo titolo in un campionato statunitense, ed ora siamo una parte importante nel mondo sportivo d’oltreoceano. Me ne sono reso conto alla cerimonia di chiusura dell’AMA, perché durante l'anno continuamente e non hai tempo per pensarci, in realtà abbiano vinto la maggior parte dei premi: miglior team, miglior team manager, moto più performante, maggior numero di pole, il campionato con Dungey, il campionato costruttori: è stato incredibile per noi che siamo appena arrivati nel mondo del motocross americano. Alcuni dicono che vogliamo dominare questo sport in America, ma non è così, noi vogliamo semplicemente essere parte di questo grande spettacolo anche se ovviamente vogliamo anche vincere. Siamo già ad un livello in cui possiamo lottare con i nostri migliori avversari, e questa è una pietra miliare nella mia carriera di manager, grazie a Roger che è stato la chiave per aprirci la porta negli Usa così come Stefan Everts lo è stato alcuni anni fa per l’Europa. Otto anni fa quando ho iniziato a lavorare per KTM non sarebbe stato possibile avere subito Roger nel team, ma l’arrivo di Stefan, i successi agonistici e la nostra serietà hanno costruito quella reputazione che ci ha permesso di arrivare a stringere i rapporti con Claudio De Carli, Cairoli e con gli altri personaggi che hanno contribuito ai nostri attuali successi. Senza tutti questi passaggi non avrei avuto la possibilità di convincere Roger a far parte del progetto KTM, perché non è certo il genere di persona che ottieni con il denaro, devi conquistarla con la motivazione e con la convinzione di entrare in una squadra seria e motivata. Ed è quello che è successo, e senza i miei amici del fuoristrada, e sono fiero di chiamarli amici, non sarei potuto arrivare a lui».

 

Pit Beirer
Pit Beirer

Quali obiettivi per la prossima stagione?
«Abbiamo fatto un passo importante unificando recentemente nella sede di Mattighofen la divisione Motorsport, ora tutte le discipline sono a stretto contatto così da poter interagire una con l’altra e potersi scambiare utili informazioni, tecnologie ed esperienze. Adesso ho quindi il 99% del supporto da parte di tutti, così se c'è un problema ci si può concentrare assieme per risolverlo. Ma non bisogna approfittarne troppo perché sennò si rischia di perdere la concentrazione, se si diventa pigri in quanto il sistema funziona e quindi non si spinge più come prima in un paio d'anni si rischia di perdere tutto il lavoro fatto finora. Il mio compito è quindi è di far mantenere alta la concentrazione cosicché tutti continuino a dare il 100% per avere un vantaggio rispetto ad altri team. Ma si impara ogni giorno, io voglio sempre avere un ammortizzatore sempre più perfetto, una forcella sempre più performante, una migliore risposta del motore: è una ricerca continua del miglioramento, ecco cosa sto facendo per il prossimo anno. Basta anche solo un pochino, non vogliamo inventare tutto di nuovo, ma vogliamo perfezionare tutto un po'. Se invece vuoi intendere un grande obiettivo è quello di vincere il supercross 450 negli Stati Uniti».

 
Piani per il futuro?

«In questo momento è importante che l’azienda sia sana, perché senza la risposta del mercato non c’è attività sportiva, e quindi è importante sviluppare i prodotti di serie attraverso le gare per mantenere il carattere sportivo e le performances dei prodotti KTM ed avere successo sul mercato. In questo modo possiamo essere competitivi nelle gare e con dei buoni risultati possiamo influenzare il mercato, per cui è importantissimo mantenere il livello di questo schema. E’ quindi importante mantenere questa situazione, eventualmente possiamo espandere il mercato nel settore stradale perché nell'offroad siamo già fortemente coinvolti in ogni direzione. Penso quindi che in futuro vedremo KTM espandersi in una o due discipline delle gare su asfalto, anche se c'è una regola scritta nel nostro DNA che non subirà influenze: non lasceremo mai i percorsi fuoristrada. I rally sono venuti per primi, poi l’enduro e di seguito il motocross, il tavolo ha tre solide gambe e la quarta sarà quella delle gare su strada, ognuna coi propri obiettivi per il futuro. Ma non posso indicare un nome, un titolo o un obiettivo, posso solo dire che la mia promessa è che lavoreremo il più intensamente possibile».