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Il nome Aprilia, per tutti gli appassionati, è legato a quello delle corse. Per chi è meno giovane, figlio dei tempi quando i sedici anni equivalevano all’età in cui si saliva su una 125 a due tempi, Aprilia s’identifica anche con la figura del presidente “padrone” ai tempi d’oro: Ivano Beggio. C’era lui vicino ai modelli di maggior successo, lui a fianco dei primi piloti che salivano sui podi del Mondiale.
La situazione attuale è molto diversa. L’azienda veneta è parte del gruppo Piaggio, e molto meno protagonista di allora, sui mercati e sui podi iridati. Una transizione ai più sconosciuta e non certo facile, che ha visto cambiare la compagine societaria di un'azienda protagonista della storia della moto in Italia: la riviviamo insieme a Teresio Gaudio.
Oggi arzillo over-80, Gaudio è noto ai nostri lettori per una carriera ancora viva nel settore automotive. L’ultima impresa: Icona design, azienda impegnata sul fronte della mobilità, anche elettrica, in Cina. Proprio Gaudio, al passaggio del millennio, è stato la persona chiamata a gestire quel momento difficile.
Fine dei mitici anni Novanta, della crescita e delle acquisizioni (Laverda e Moto Guzzi, per inciso piuttosto onerose, ndr); inizio di una fase in cui cambiava il mercato delle "due ruote" a motore, in Europa e soprattutto in Italia. Si prospettava una difficoltà seria per la produzione industriale Aprilia. Quella che avrebbe poi portato, indirettamente, all’acquisizione da parte di Piaggio e all’inesorabile perdita, per gli appassionati, di un filone quasi unico. “In quel periodo, nonostante non fossi più ragazzino e potessi già dedicarmi ad attività da pensionato, ricevetti la proposta di occuparmi di Aprilia da parte di Caretti & Associati. Io che ero abituato a gestire ristrutturazioni aziendali, a lavorare tutto il giorno, mi sono fatto subito prendere dalla cosa, oltre che in parte affascinare dalla passione e dal personaggio che era Ivano Beggio, capace di creare e sviluppare certe idee prima di altri, nel suo mondo”.
Gaudio, al tempo persona con alle spalle una carriera che gli avrebbe permesso di dedicarsi al golf a tempo pieno, prese e andò a trascorrere le settimane in quel di Noale. Facendo i conti con una situazione finanziaria non rosea, per un marchio che tutti gli appassionati conoscevano invece per le belle vittorie in pista. Quelle cominciate nel fuoristrada, e arrivate poi nelle categorie cadette del Motomondiale.
La prima storica di Loris Reggiani con la 250 (1987) è poi stata seguita da molti allori e titoli, dalla consacrazione di campioni assoluti come Biaggi e Rossi, fino ai trionfi con le moto a quattro tempi di Superbike e Superstock, davanti a tutte le rivali.
A inizio secolo però, non ci sono solo quegli allori in Aprilia, anzi. La tendenza di libri contabili e stabilimenti è in netto contrasto rispetto a quella della storia sportiva. L’affollamento di loghi del marchio italiano ha significato ben diverso nei magazzini.
“La situazione che mi sono trovato era la classica di dissesto, potenzialmente serio, per un'azienda che era gestita in quella fase con un’ottica rivolta alla crisi come fosse congiunturale; mentre invece quella era strutturale. Destinata a durare e a incidere. Bisognava far fronte al mercato che cambiava: nuove regole, con limitazioni e costi (anche per via del CdS) ai conducenti e ai passeggeri; che facevano crollare i volumi dei piccoli modelli a due tempi, come cinquantini e 125. Ovvio che così la produzione andava avanti, ma spingendo si saturavano i magazzini di fronte a una domanda calante. Arrivava la crisi di liquidità, il dissesto di fronte a un capitale investito”.
Sembra facile, letta sui libri di scuola e di economia aziendale, ma nella pratica non è così. Quando la filiera è attiva e le moto escono dalle linee di montaggio, ma a valle la domanda cala a oltranza, la frenata è destinata a lasciare segni. “Ho accettato la sfida e sintetizzando, partendo da quella situazione finanziaria tesa, posso vantarmi di avere realizzato uno strumento che ha in parte salvato tutti i conti. Senza buttare via nemmeno una moto e senza aver gravato di nuovi pesi il bilancio Aprilia”.
Di cosa si trattava? Occorreva qualcosa capace di aiutare anche i concessionari, gravati anch’essi dal peso di moto da vendere. “Ai concessionari erano state spinte troppe moto. In pratica abbiamo creato una nuova società, indipendente, che ha acquisito tutte le moto dei magazzini Aprilia già prodotte e invendute, e soprattutto ha ritirato presso la rete tutte quelle che erano già state cedute, ma sempre invendute. Un sistema che ha permesso di fare bene, risanando i conti di Aprilia senza gravare sulla rete, mettendosi a posto grazie alla rivendita in blocco di quelle moto su mercati in cui erano ancora appetibili (Africa, Est Europa)”.
Una soluzione che non ha certo arricchito la Casa, che si è dovuta in qualche modo alleggerire, ma ha anche evitato di danneggiarne l'immagine e soprattutto i conti. E così Gaudio, in azienda, è stato un po’ come certi team manager delle corse che non salgono alle cronache, ma durante l’inverno, dopo una stagione storta, sanno mettere insieme un bel collage per essere schierati al via del nuovo Campionato.
“Tolti da quel circolo vizioso, negli stock, siamo stati tra i primi a emettere nuovi bond in euro e trovare liquidità in quel modo”.
Cosa è successo poi? “Devo dire che oltre in certi aspetti puramente gestionali, anche in termini di prodotto la mia visione era diversa da quella del management Aprilia a quel tempo. Soprattutto Beggio, che stimo e che rimpiangiamo oggi, era un uomo molto orientato alle corse, più che alla finanza come me. Si sosteneva che dalle corse, Aprilia sarebbe potuta rinascere. Io invece vedevo il contrario. Perché misurarsi contro dei colossi internazionali, come le Case giapponesi, quando la propria capacità e la produzione sono infinitamente più piccole, non può permettere di stare in tutte le classi. Al tempo poi, i piloti top che si volevano schierare, arrivavano a costare già cifre troppo elevate per averne in più di una categoria”.
Eppure, alla nascita della MotoGP come nuova classe regina, la Casa era presente con un modello proprio e tecnicamente diverso dalla concorrenza. Orgoglio nazionale, certo, ma anche un’impresa rischiosa e difficile. “Proprio i risultati e i costi della moto a 3 cilindri 4 tempi, sono esempio di quel rischio che vedevo”.
Com’è andata lo sappiamo tutti: Aprilia non è stata l’unica a dover abbandonare l’avventura della MotoGP, salvo poi tornare, il decennio seguente, con diverso approccio. Quale sarebbe stato un piano alternativo, al blasone e la visibilità delle gare? “Avevo suggerito di lasciar perdere le classi maggiori, di concentrarsi solo sulle piccole cilindrate. Erano quelle appetibili per l’immagine verso i ragazzi, e si potevano tenere risorse per fare rinascere Moto Guzzi. Con dei motori adatti ai tempi. Dico la verità: era un progetto ambizioso che mi piaceva. Io stesso ero andato a parlare con Porsche design, per evolvere il motore Guzzi mantenendo la sua configurazione: in Germania, pur avendo già messo mano a motori moto come quelli Harley-Davidson, qualcuno si leccava i baffi pensando a quel lavoro. Ma quando si fanno correre moto in molte classi con piloti top, che costano milioni di euro, non c'è lo spazio per tutto. Il lavoro sul motore da corsa venne affidato a Cosworth”.
Dopo un triennio di gestione virtuosa, rinsavita rispetto al rischio iniziale, ma ancora difficile in termini di scelte di prodotto, si chiude l’esperienza con le "due ruote" in Veneto. “Sì, a un certo punto ci siamo separati con Beggio che, dal suo punto di vista, pensava non capissi abbastanza di moto da corsa. Dopo pochi mesi, i fatti hanno detto che Aprilia è dovuta passare sotto la proprietà del gruppo Piaggio (dagli ultimi giorni del 2004, ndr)”.
Sulle nostre pagine, parliamo anche di un’altra storia inerente alle aziende in cui Gaudio ha lavorato, durante passaggi critici e avvicendamenti di gestione: Bertone, nome che suscita ricordi e sensazioni forti, anche se non corsaiole come quelle di Aprilia, ma le ruote sono quattro.