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I Gran Premi degli anni Sessanta sono entrati nella leggenda anche per il loro straordinario significato tecnico.
I due tempi hanno subito una formidabile evoluzione per merito della generalizzata adozione ammissione a disco rotante e del sempre più razionale sviluppo delle marmitte a espansione.
A migliorare ulteriormente le cose ha provveduto il raffreddamento ad acqua.
A difendere i quattro tempi sulle piste è rimasta la sola Honda, nelle classi 125 e 250. Ancora i 2T non si avventuravano nelle cilindrate superiori…
Un discorso a sé merita la classe 50, istituita a livello mondiale nel 1962. Qui sembrava addirittura impossibile battere i motori a due tempi e in effetti la stessa Honda in questa classe è riuscita a conquistare un solo titolo iridato.
Nella 125 nei cinque anni che vanno dal 1963 al 1967 i 2T si sono imposti in tre mondiali. Per cercare di contrastarli la Honda ha addirittura spinto il frazionamento fino a limiti incredibili, realizzando uno straordinario motore a cinque cilindri (e nella 250 si è spinta fino a sei) che raggiungeva regimi di rotazione in precedenza impensabili.
Ferma restando la cilindrata la potenza cresce con il frazionamento. Con un identico rapporto corsa/alesaggio, una eguale velocità media del pistone e una stessa pressione media effettiva passando da un monocilindrico a un quattro cilindri la potenza aumenta del 58%; la velocità di rotazione cresce in egual misura.
Per cercare di contrastare le 125 a due tempi il cinque cilindri Honda doveva girare a 18.000 giri/min (e forse qualcosina in più)! Nonostante questo, alla fine ha dovuto cedere le armi. Erogava circa 30 CV ma ormai i migliori due tempi arrivavano a 35 e oltre.
A mostrare a tutti come dovevano essere fatti i due tempi da competizione è stata la tedesca orientale MZ che nel 1961 ha per prima raggiunto una potenza specifica di 200 CV/litro con un monocilindrico di 125 cm3 (erogante appunto 25 CV a 10.800 giri/min).
La chiave di queste eccezionali prestazioni e del futuro sviluppo dei 2T erano fondamentalmente due: lo scarico a espansione e l’ammissione a disco rotante. Quest’ultima, così come era stata realizzata all’inizio degli anni Cinquanta dal preparatore berlinese Zimmermann, è stata adottata dalla MZ per le sue moto da competizione.
La valvola a disco rotante consente di ottenere una fasatura di aspirazione asimmetrica, il che costituisce un bel vantaggio rispetto alla tradizionale ammissione controllata dal pistone (che può fornire solo una fasatura simmetrica).
Per il riempimento della camera di manovella, e quindi le prestazioni, a contare è fondamentalmente il ritardo di chiusura della luce di ammissione rispetto al punto morto superiore (PMS). Se ad esempio è ottimale un ritardo di 55°, adottandolo con una distribuzione tradizionale (detta anche in terza luce o “piston port”) anche l’anticipo di apertura per forza di cose è di 55°. In tutto la fase viene ad avere una durata di 110° e risulta quindi insufficiente per avere una buona respirazione agli alti regimi.
D’altro canto se si adotta una durata maggiore il ritardo di chiusura della luce risulta eccessivo. È chiaro che svincolare completamente il ritardo di chiusura dall’anticipo di apertura risulta sicuramente vantaggioso. Inoltre con la valvola a disco la luce viene aperta e richiusa rapidamente e per quasi tutta la durata della fase di aspirazione il condotto risulta perfettamente libero.
Lo scarico a espansione era già apparso in forma piuttosto embrionale sulle DKW quando è stato ripreso dalla MZ, che per prima ne ha realmente compresa la grande potenzialità.
Il suo direttore tecnico Walter Kaaden aveva lavorato negli anni Quaranta a Peenemunde allo sviluppo dei missili e di fluidodinamica se ne intendeva… Il principio di funzionamento è semplice, anche se riuscire a sfruttare nel modo più vantaggioso le onde di pressione non lo è affatto.
Quando il pistone scopre la luce una forte onda di pressione positiva inizia a percorrere il sistema di scarico. L’aumento di sezione nel tratto divergente della marmitta fa nascere un’onda riflessa negativa che torna alla luce di scarico e migliora il lavaggio richiamando i gas combusti fuori dal cilindro. Continuando a propagarsi, l’onda positiva arriva al tratto convergente del sistema di scarico dove viene riflessa con lo stesso segno e torna verso cilindro.
Se arriva nel momento opportuno, ovvero quando il pistone si appresta a chiudere la luce, non solo può impedire la fuoriuscita di carica fresca ma addirittura può respingere nel cilindro parte di quella già fuoriuscita. In questo modo è possibile ottenere una vigorosa sovralimentazione dinamica. Purtroppo ciò è possibile solo in un ristretto campo di regimi, per il quale lo scarico è “accordato”. Le straordinarie prestazioni dei motori a due tempi sono dovute proprio allo sfruttamento ottimale delle onde di pressione che percorrono il sistema di scarico.
I motori a due tempi che hanno vinto il mondiale negli anni Sessanta avevano tutti l’ammissione controllata da disco rotante.
Per le moto destinate ai piloti privati e i modelli di serie la situazione era diversa e i motori con aspirazione controllata dal pistone hanno continuato a essere i più diffusi, e lo hanno fatto ancora per diversi anni.
Nel decennio in questione vessillifere dei due tempi da competizione sono state la Suzuki e la Yamaha. Per aumentare ulteriormente le prestazioni delle loro moto, dopo essere passate ai bicilindrici anche nella classe 125 e avere adottato il raffreddamento ad acqua, queste due case hanno fatto ricorso a un maggiore frazionamento realizzando motori a quattro cilindri pure in questa cilindrata.
Pare che le ultime Yamaha V4 125 nel 1967 avessero una potenza specifica di 280 cavalli/litro; l’anno successivo, dopo il ritiro della Honda e della Suzuki, la ottavo di litro della casa dei tre diapason ha addirittura superato i 320 CV/litro! Poi anche la Yamaha si è ritirata dalla attività agonistica a livello di campionato mondiale.
Nel 1969 il titolo delle 125 è stato conquistato da una Kawasaki bicilindrica semiufficiale, che erogava circa 250 CV/litro e che è stata ottima protagonista del mondiale anche in seguito.
I costruttori giapponesi hanno dunque preso il testimone dalla MZ, che è rimasta a lungo al vertice dal punto di vista tecnico ma disponeva di mezzi molto limitati e di risorse economiche ancora più scarse e dopo il 1962 non ha partecipato al mondiale che in maniera discontinua.
Negli anni Sessanta in Italia è stato notevole il contributo fornito dal pilota-tecnico-costruttore Francesco Villa che ha realizzato interessanti moto da corsa a disco rotante sia mono (schierate inizialmente come Mondial) che bicilindriche (realizzate per la Montesa). Nel 1966 si è verificato un avvenimento epocale anche in campo fuoristradistico, con la fine dell’era dei 4T di 500 cm3 e l’inizio del dominio dei due tempi. Niente disco rotante, in questo caso… (Continua)