Raffreddare i motori (prima parte)

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Perché e come si sono evoluti i sistemi di raffreddamento delle moto: asportare il calore è essenziale
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
14 settembre 2018

Come trasformatori di energia i motori ad accensione per scintilla non sono granché.

Utilizzano infatti solo una parte relativamente modesta del calore sviluppato dalla combustione della miscela aria-carburante. Una percentuale più o meno analoga, o anche lievemente maggiore, finisce sprecata allo scarico. E una quota del 20 – 30% viene assorbita dalle pareti della testa e del cilindro e deve quindi venire convenientemente smaltita, cedendola al sistema di raffreddamento.

Questo è indispensabile per evitare che componenti come la testa, i cilindri, i pistoni e le valvole possano raggiungere temperature troppo elevate. Se ciò si verificasse le conseguenze sarebbero infatti disastrose. Le dilatazioni di alcune parti diventerebbero eccessive, e questo causerebbe forti tensioni interne (che potrebbero dare origine a distorsioni, anche di notevole entità), oltre a significative variazioni di alcuni giochi e di alcune interferenze.

Inoltre le caratteristiche meccaniche delle leghe di alluminio, con le quali sono realizzati organi come i pistoni, peggiorerebbero sensibilmente. Infine, l’olio potrebbe non essere più in grado di svolgere il suo compito a causa della insufficiente viscosità (che si traduce in una minore capacità di carico da parte del velo lubrificante) e addirittura arrivare, in zone come quelle dei segmenti, a decomporsi termicamente, con formazione di lacche e di incrostazioni.

Da alcuni decenni a questa parte i motori motociclistici di alte prestazioni sono invariabilmente raffreddati ad acqua. Inizialmente questa soluzione era riservata alle sportive, ma in seguito la sua diffusione è aumentata e oggi essa viene adottata da un notevole numero di modelli di tipo differente (supertourer, naked, eccetera).
In passato però nel nostro settore i motori di serie erano invariabilmente raffreddati ad aria. Le eccezioni sono state davvero rare, anche se si è trattato di esempi interessanti.

 

La Scott ha iniziato la sua attività nel 1908 e le sue moto hanno avuto una buona diffusione nel periodo tra le due guerre mondiali. L’azienda costruiva interessanti bicilindriche a due tempi che dal 1912 sono state dotate di raffreddamento ad acqua (prima era “misto”)
La Scott ha iniziato la sua attività nel 1908 e le sue moto hanno avuto una buona diffusione nel periodo tra le due guerre mondiali. L’azienda costruiva interessanti bicilindriche a due tempi che dal 1912 sono state dotate di raffreddamento ad acqua (prima era “misto”)
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Ricordiamo le Scott bicilindriche (qui sopra), che hanno avuto una certa diffusione nell’anteguerra. In tempi assai più vicini a noi ci sono state la Suzuki GT 750 tricilindrica (a due tempi, come la Scott) e le Honda GL 1000 e CX 500. Poi, all’inizio degli anni Ottanta, per i modelli più performanti è definitivamente cominciata l’era del raffreddamento ad acqua, con le BMW della serie K, la Kawasaki GPz 900, le Honda della serie VF e la Yamaha FZ 750. È importante segnalare che oltre all’aumento della potenza specifica è stata la generalizzata adozione della distribuzione a quattro valvole, con graduale riduzione dell’angolo tra di esse, a rendere indispensabile il passaggio a tale tipo di refrigerazione. Per quanto riguarda i 2T, questo il raffreddamento ad acqua si è iniziato a diffondere sui modelli sportivi di 125 cm3 e sulle Yamaha RD 250 e 350 LC, entrate in produzione nel 1980.

Passando alle moto da competizione, occorre ricordare che nel periodo prebellico erano raffreddate ad acqua le formidabili DKW sovralimentate e la Gilera a quattro cilindri, essa pure dotata di compressore volumetrico.

Negli anni Cinquanta e nella prima parte del decennio successivo tutte le protagoniste del campionato mondiale erano raffreddate ad aria (solo le Guzzi 500 a quattro e otto cilindri erano refrigerate ad acqua, ma il loro impiego è stato sporadico e i risultati modesti). Poi per le moto da GP a due tempi è diventato indispensabile il passaggio all’acqua.

Prestazioni più elevate significavano una maggiore quantità di calore da smaltire nell’unità di tempo e facendo ricorso all’aria era difficile mantenere le temperature entro limiti accettabili e far sì che la loro distribuzione fosse uniforme.
Nei cilindri erano presenti condotti e luci (la distribuzione del materiale quindi non era omogenea) e il lato di scarico tendeva ad essere molto più caldo di quello opposto. Era pertanto molto difficile evitare le distorsioni, che avevano come conseguenza un notevole scadimento delle prestazioni (se non addirittura il grippaggio).

A questo si aggiunge il fatto che il maggiore frazionamento della cilindrata e l’adozione di certe architetture costruttive (cilindri in quadrato o a V) non agevolavano certo una adeguata refrigerazione del motore, se si faceva ricorso all’aria, dato che quest’ultima non riusciva a lambire certe zone.

 

La foto consente di osservare chiaramente l’eccellente esposizione all’aria della parte centrale della testa di una Gilera 500 quadricilindrica del 1957, ottenuta grazie alla notevole inclinazione in avanti dei cilindri e all’elevato angolo tra le valvole
La foto consente di osservare chiaramente l’eccellente esposizione all’aria della parte centrale della testa di una Gilera 500 quadricilindrica del 1957, ottenuta grazie alla notevole inclinazione in avanti dei cilindri e all’elevato angolo tra le valvole

 

Nel 1962 la MZ ha adottato il raffreddamento ad acqua per il cilindro, mantenendo quello ad aria per la testa (la cosa era logica in quanto nei 2T oltre il 70% del calore ceduto dai gas alle pareti metalliche viene assorbito dal cilindro). L’anno successivo però anche quest’ultima è stata refrigerata ad acqua. Pure la straordinaria Suzuki 250 a quattro cilindri in quadrato, apparsa alla fine del 1963, adottava tale tipo di raffreddamento.
Nel corso del 1965 tanto la casa di Hamamatsu quanto la Yamaha per le loro nuove moto da GP hanno abbandonato la refrigerazione ad aria passando a quella ad acqua.

Per contrastare queste formidabili due tempi, la cui potenza cresceva di anno in anno, la Honda ha puntato sul frazionamento della cilindrata, realizzando straordinari motori a quattro, cinque e sei cilindri, tutti a quattro valvole e con raffreddamento ad aria. Si trattava di realizzazioni di eccezionale livello tecnico, nelle quali ai fini della refrigerazione risultava fondamentale il contributo dell’olio, che provvedeva ad asportare una quantità di calore molto elevata. Nelle carenature della 125 RC 149 e della 250 RC 165 erano ben visibili le prese d’aria per i due radiatori dell’olio, piazzati lateralmente.

La necessità di raffreddare convenientemente la parte centrale della testa, ossia la zona tra le valvole di aspirazione e di scarico, ove si trovava anche la candela, aveva obbligato i tecnici della casa giapponese ad adottare un cospicuo angolo tra le valvole (circa 70°) e aveva reso opportuna una sensibile inclinazione in avanti dei cilindri. In precedenza entrambe queste soluzioni erano state adottate sulle quadricilindriche Gilera e MV Agusta, che di valvole per cilindro ne avevano due, inclinate tra loro di 100° e di 90° rispettivamente.

Nel corso degli anni Settanta sono scomparse dai Gran Premi le moto a quattro tempi e su quelle a due tempi si è generalizzato il raffreddamento ad acqua.