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In Marocco sono stato in moto per 12 ore al giorno: con scarsi collegamenti internet e scarsi aggiornamenti televisivi era difficile capire cosa stava succedendo in Italia e in Europa. Inoltre, un po' per il clima estivo (a Marrakech c'erano 30 gradi di giorno e 27 la sera), e un po' per l’aria di vacanza con migliaia di turisti in arrivo e partenza da mezzo mondo ogni giorno, non mi ponevo il problema delle possibili difficoltà per il rientro in Italia.
E non avevo prenotato l’aereo perché non sapevo quanto tempo avrei impiegato a fare le ricognizioni delle sei o sette tappe.
Dopo sei giorni in moto sono stato riportato alla realtà dalle mie collaboratrici, che dall’Italia mi hanno aggiornato e mi hanno fatto sapere che il console italiano a Marrakech aveva detto di farmi rientrare immediatamente in Italia - possibilmente il giorno stesso - perché da un giorno all’altro avrebbero chiuso il paese.
Ho così unito la ricognizione di due tappe e sono rientrato in giornata a Marrakech, dove il clima era normalissimo, vacanziero, come se nel mondo non fosse successo nulla e tanto meno potesse succedere lì.
In realtà alcuni casi di coronavirus c’erano già stati in Marocco.
I voli e le navi per l’Italia erano nel frattempo stati annullati e diversi paesi europei stavano chiudendo le frontiere. La soluzione era arrivare in Svizzera e poi cercare di rientrare in Italia in treno o in auto.
I voli diretti per la Svizzera, peraltro pochissimi, erano arrivati al costo di 1.600 euro. Sono riuscito a trovare un volo per Lisbona, con un collegamento per Zurigo e poi se tutto avesse funzionato avrei dovuto cercare di prenotare un treno per avvicinarmi all’Italia.
In tutto questo son riuscito a perdere la scheda telefonica italiana, che avevo sostituito con una di solo dati marocchina.
Arrivato a Zurigo quasi a mezza notte, ho preso un taxi per andare all’hotel che mi avevano prenotato. Davanti all’hotel, in una zona isolata, ho scoperto che l’accesso era possibile soltanto inserendo dei codici, codici che non avevo potuto scaricare dalle mail. Fortunatamente a 500 metri di distanza c’era un altro Hotel aperto: è incredibile come possono cambiare le cose se solo non ti funziona il cellulare, pazzesco.
Il mattino dopo sono ritornato all’aeroporto, dove tutti voli per l’Italia nel frattempo erano stati annullati. Quindi ho preso un treno per la stazione centrale di Zurigo, ma anche lì nessun treno per l’Italia, e non erano nemmeno indicati come annullati. Ho preso allora un treno per Lugano, dove avrei potuto essere recuperato da mio cugino che vive lì. Sul treno eravamo in tre: in Svizzera si sentiva già la preoccupazione per il virus.
Alla stazione di Lugano c’era un treno in partenza per Milano Centrale con fermata a Como: perfetto per arrivare dove abito. Ho chiesto alla polizia della stazione se avessi potuto entrare in Italia, avendo con me l’autocertificazione. Mi hanno risposto di si, che la Guardia di Finanza mi avrebbe controllato alla fermata di Chiasso e mi avrebbe lasciato entrare. Così è stato: c’ero soltanto io sul treno...
Ero riuscito a comunicare con il mio ufficio con una radio speciale che abbiamo testato in Marocco e che, attraverso le reti telefoniche internazionali, ti tiene in collegamento con tutto il mondo se necessario.
Insomma, meno di 4 ore per andare in Marocco e due giorni per ritornare in Italia...
Renato Zocchi