Restaurando, quarta puntata: Benelli Letizia 98

Restaurando, quarta puntata: Benelli Letizia 98
La rubrica di Moto.it in collaborazione con lo specialista Soiatti Moto Classiche di Novara. Oggi ci occuperemo del "salvataggio" di uno dei simboli del dopoguerra italiano
24 marzo 2017

Chi l'ha detto che i restauri debbano solamente interessare le moto più blasonate e ora tornate di moda? Oggi vi proponiamo il racconto di una motoleggera italiana - nella fattispecie pesarese - nata nel secondo dopoguerra, quando il Belpaese si stava risollevando dalle ceneri del terribile conflitto mondiale: la Benelli Letizia 98. Con l'inizio del boom economico, in Italia si riscopriva il piacere di viaggiare e, perché no, anche di divertirsi in sella ad una moto.

Era il 1949 quando la Benelli mise in commercio la prima versione della Letizia, "madre" del più famoso e conosciuto Leoncino, il modello che fece le fortune della Benelli a partire dal '51. La Letizia 98 aveva una linea molto innovativa per l’epoca, con l'unicità del sellino “staccato” dalla ruota posteriore, che rendeva questo modello molto attraente per il pubblico dell'epoca.

Alcune delle soluzioni tecniche adottate alla Casa di Pesaro sono davvero particolari. All'anteriore, infatti, sebbene sembri fissa, la forcella è invece ammortizzata tramite un singolare sistema di molle interno che è collegato al telaio tramite i supporti faro che passano attraverso delle asole poste sulla forcella stessa. Anche al posteriore, come si può dedurre dalle foto, non c'è un unico sistema di ammortizzazione, bensì due: gli ammortizzatori primari non sono quelli più evidenti, verticali, ma altri collocati all'interno del forcellone. Gli ammortizzatori verticali che collegano il forcellone al telaio posteriore, invece, sono dedicati alla guida con passeggero: nel momento in cui non ci fosse stato il passeggero, il pilota avrebbe potuto svitare l'attacco inferiore degli ammortizzatori posteriori tramite l'apposito pomello e, grazie alla parte superiore basculante, riporli orizzontalmente all'indietro avvitandone le asole inferiori ai lati del supporto faro della luce di stop. Sul braccio destro del forcellone si trova l'allora classica pompa per il gonfiaggio degli pneumatici.

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La moto oggetto di questo articolo, una Letizia seconda serie del 1950, era da 35 anni in un grave stato di abbandono. Non essendo coperta da un telo, e parzialmente esposta ai fenomeni naturali, quando è stata portata da Soiatti la ruggine copriva ogni parte realizzata in materiale ferroso.

La prima operazione effettuata, in modo tale da scoprire quanto il mezzo fosse effettivamente compromesso, è stata ovviamente quella di "mettere a nudo" ogni suo particolare. Come potrete notare dalle foto, lo stato di conservazione era davvero pessimo.

La corrosione era talmente avanzata, che solo per riuscire a salvare il serbatoio si sono resi necessari tre bagni di ramatura per la preparazione ed altrettanti di cromatura. Una volta cromato, il serbatoio è stato verniciato nella giusta tonalità di verde con la peculiarità delle filettature eseguite a mano libera in colorazione oro: davvero un lavoro da certosino.

Il telaio è stato completamente sabbiato e riverniciato. Finiti questi lavori “semplici”, a causa delle particolari soluzioni tecniche utilizzate per la progettazione e costruzione delle sospensioni, anteriori e posteriori, Soiatti ha dovuto creare degli specifici attrezzi non più reperibili sul mercato.

Una volta smontati la forcella e gli ammortizzatori posteriori primari inseriti nel forcellone, si è proceduto alla totale revisione, ricostruzione dei componenti e verniciatura.

Nonostante versassero in condizioni disastrose, i cerchi, caratterizzati da raggi di quattro di misure differenti, sono stati salvati. La prima operazione a cui sono stati sottoposti è stata la sabbiatura, successivamente i raggi sono stati riverniciati in colore nero come da fabbrica.

Il motore a due tempi - inclinato in avanti, con testa in alluminio e cilindro in ghisa, cilindrata di 97 cc, potenza pari ai 10 cavalli e con avviamento a pedivella - è stato interamente smontato e revisionato nel cambio, frizione, albero motore e termica, e lo scarico è stato ripristinato sottoponendolo ad un processo di cromatura. L'impianto elettrico è pure stato ricostruito, lasciando i fili a vista, come in origine, fissati con le giuste fascette metalliche.

La fodera della sella è stata montata nuova, con annessa la nuova placchetta metallica del produttore Radaelli, dettaglio molto particolare.

Non essendo stata possibile la sostituzione, e per mantenere l'originalità del mezzo, sono stati ricostruiti particolari danneggiati come il cavalletto centrale, gli ammortizzatori supplementari, i parafanghi, il portapacchi ed i meccanismi di rotazione dei mozzi.

Il risultato ottenuto è eccellente. Non c'è bullone del quale Soiatti non si sia preso cura. I particolari sono stati curati sotto ogni aspetto, facendo tornare agli antichi fasti una delle moto che hanno segnato la ripresa economica negli anni del dopoguerra.
Voi cosa ne pensate di un lavoro del genere? Secondo voi vale la pena salvare questi esemplari che stanno diventano sempre più rari?

Avete restaurato anche voi una moto d'epoca? Mandateci le foto e i dettagli del restauro. le documentazioni più complete verrano pubblicate su Moto.it.