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Ci sono moto che possono piacere al primo sguardo e, altre, che proprio non riusciamo a farci piacere. De gustibus non disputandum est dicevano i latini, è tutta una questione di gusti personali. Quindi, che vi piaccia esteticamente o meno, Soiatti ha preso in consegna un brutto anatroccolo di ruggine e lo ha reso un cigno impeccabile.
Negli anni '70 erano tre i tipi di moto che andavano per la maggiore: da regolarità, da strada o da trial. Ciascuna di queste, però, aveva una funzionalità strettamente limitata all'ambiente per cui era stata progettata.
È dalla Spagna che, in quegli anni, arrivano le prime moto polivalenti, adatte ad un uso in fuoristra ma, al contempo, non troppo restie all'adattarsi all'asfalto. Parliamo delle Montesa, delle Ossa e, come in questo caso, della Bultaco.
La nascita di questo modello è dovuta ad una combinazione di fattori: in primo luogo, il mercato sia europeo che statunitense cominciava a cercare delle moto più adatte ai lunghi spostamenti, con una cilindrata consona all'utilizzo e un comfort di guida maggiore; in secondo luogo, e questa è la parte più curiosa della storia, con il crescere dell'utilizzo delle moto in fuoristrada, i soccorsi medici spagnoli costretti ad operare in scenari impervi, necessitavano di mezzi polivalenti.
Manuel Fabregat, fondatore della Brigata Moto Alpina della Cruz Roja, si rivolse direttamente a Francisco Bultò, fondatore del marchio Bultaco. Bultò, così, produsse sei prototipi su base Sherpa 250 Trial che, proprio da dal corpo della Croce Rossa, vennero chiamati Alpina.
Era il 1974 quando entrò in produzione la prima Alpina, 250 la Modello 115, produzione che andò avanti, con un susseguirsi di aggiornamenti meccanici ed estetici, fino al 1980.
Già nel 1980 Bultò lasciò l'azienda e, in contemporanea, si dimise l'intero consiglio di amministrazione. I primi anni Ottanta segnarono un esponenziale calo delle vendite del marchio che sempre più subiva la concorrenza da parte di marchi europei e stranieri, ma anche un sostanziale mutamento nel modo di vivere la moto. Non si era più liberi di correre ovunque; i primi divieti venivano applicati ai percorsi fuoristrada e i clienti iniziavano a preferire moto più fruibili sull'asfalto, ispirate ai rally o comunque con una cubatura maggiore. Nel 1986 la Bultaco, con ormai un'offerta di modelli rimasta pressoché invariata per gli ultimi anni, chiuse definitivamente i battenti.
L'esemplare di cui vi parliamo oggi è un Modello 212 del 1977, l'ultima evoluzione della Alpina prima dell'uscita dal listino. Rispetto alle versioni degli anni precedenti, la Modello 212, assieme alla Modello 213, identica ma con cilindrata 350, arrivava con delle nuove colorazioni con un rosso interno e “racing green”, come in questo caso, nuovi parafanghi in plastica bianca, con l'anteriore basso, come le vere moto da trial.
La moto di cui è preso cura Soiatti era completa ma, a sua detta, una tra quelle messe peggio tra quelle che ha restaurato negli ultimi anni.
La ruggine era estesa a tutto il telaio, carrozzeria e a tutto ciò che conteneva di materiale ferroso. La moto è stata smontata e portata al nudo telaio. Dopo alcune riparazioni - in alcuni punti le saldature erano state fatte malamente – il telaio è stato sabbiato e successivamente riverniciato in grigio.
Sono state poi ripristinate le sospensioni. I foderi della forcella sono stati lucidati, mentre gli steli sono stati cromati. Al posteriore sono state cromate le molle degli ammortizzatori.
I bordi dei cerchi, Akront bollino giallo all'anteriore e rosso al posteriore, hanno la particolarità di avere delle viti autofilettanti ferma copertone. L'alluminio è stato lucidato, mentre i raggi ed i nippli sono stati cromati.
Il motore è stato totalmente ricondizionato. È stato rettificare il cilindro e, conseguente, è stato adottato un nuovo pistone maggiorato. Sono stati poi sostituiti tutti i paraoli e cuscinetti di banco. La particolarità dei dischi frizione, anch'essi sostituiti con un pacco nuovo, è che sono in acciaio, garantendo una durata maggiore. Come si può evincere dalle foto, le viti della frizione sono legate tra di loro con un filo di ferro, impedendo che si svitino.
Una particolarità che, quando si esegue un restauro su una Bultaco è bene tenere a mente, è che tutta la bulloneria è marchiata Bultaco, o si può vedere nella foto in cui è ritratto il supporto del parafango anteriore.
Per concludere il restauro, infine, è stata eseguita la riverniciatura completa delle sovrastrutture nel classico racing green.
Unico particolare che non è ancora stato montato, è il contachilometri, che però è già stato reperito.
Per quanto riguarda la spesa sostenuta per il restauro, come di consueto, si deve fare distinzione tra costi di componentistica e ore di manodopera. Per quanto riguarda i primi, in questo restauro i costi sono stati parecchio alti visto lo stato di conservazione del mezzo. Tra cromatura, pezzi di ricambio, verniciatura e altri lavori, sono stati spesi circa 3.000 euro, mentre le ore di manodopera si avvicinano alle 160.
Avete restaurato anche voi una moto d'epoca? Mendateci le foto e i dettagli del restauro. Le documentazioni più complete verranno pubblicate su Moto.it!