Ride in the USA. Il rispetto per la natura

Ride in the USA. Il rispetto per la natura
Per non smentire la mia vocazione di vagabondo, questa settimana vi scrivo… dall’Italia. Il ricordo del Sudafrica rimane però ancora vivo nella mia memoria e persino nel mio corpo
9 settembre 2015

Nemmeno tre giorni dopo essere rientrato dal Sudafrica (e le famose 16 ore del volo non-stop Johannesburg-Atlanta) sono saltato su un altro volo Delta che in 10 ore mi ha portato (non-stop, ovviamente) da Atlanta a Milano. Mi fermerò poco, perché tra poco più di un mese c’è l’AIMExpo di Orlando e io devo preparare un sacco di cose per quella che attualmente è la fiera più importante in America.

Il ricordo del Sudafrica rimane però ancora vivo nella mia memoria e persino nel mio corpo: sono infatti una di quelle persone geneticamente predisposte a sviluppare i calcoli renali, ed ogni giro in moto più lungo di un gita domenicale finisce per innescare il processo che mi porta a “passarne” uno o due, immancabilmente. Quest’ultimo giro non ha mancato di sortire il solito effetto, così come mi era già successo lo scorso anno sia dopo la Colombia che dopo il Brasile, dove in entrambe le occasioni ho percorso intere giornate in fuoristrada veloce.

Ma torniamo al Sudafrica. Il grande vantaggio di viaggiare in moto è la maggiore esposizione all’ambiente che ti circonda, e di conseguenza una maggiore sintonia con popolazioni e posti che visiti. Ma anche il gran cameratismo che si forma quasi immediatamente tra compagni di viaggio e guide, con le quali ho passato diverse serate a parlare di tutto e di più davanti al fuoco, quando la maggior parte degli altri componenti del gruppo erano già andati a dormire. È proprio in queste occasioni che saltano fuori le storie più interessanti e le informazioni più utili. Come ad esempio il fatto che gli organizzatori del nostro tour (Family Adventures) offrano giri indimenticabili che, partendo da Johannesburg, arrivano fino in riva all’Oceano in Mozambico. TUTTI IN FUORISTRADA attraverso paesaggi da sogno affondando nella terribile sabbia rossa di questa parte del continente africano. Oppure, sempre in fuoristrada ti portano a nord in Botswana ed anche fino in Zimbabwe. Spero proprio di poterci tornare prima che il mio ginocchio e la mia spalla dicano definitivamente basta.


 

Parlando attorno al fuoco mentre pernottavamo al confine con il Kruger National Park ho saputo che il rinoceronte, animale maestoso che ha saputo sopravvivere a centinaia di migliaia di anni di evoluzione, è arrivato ormai alla soglia dell’estinzione

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Sempre parlando attorno al fuoco, mentre pernottavamo al confine con il Kruger National Park, ho saputo che il rinoceronte, un animale maestoso che ha saputo sopravvivere a centinaia di migliaia di anni di evoluzione, è arrivato ormai alla soglia dell’estinzione. Solo nel 2014 sono stati sterminati più di 1200 esemplari, e sebbene la tendenza sia in calo in tutto il Sudafrica, gli abbattimenti illegali sono in aumento proprio nel parco Kruger. Forse non lo sapete, ma il rinoceronte viene abbattuto dai bracconieri per privarlo del corno, ritenuto un potente afrodisiaco da molte popolazioni asiatiche. Il corno del rinoceronte in realtà è composto di creatina, come i capelli e le unghie umane, e quindi le sue proprietà mediche di qualsiasi genere sono state ampiamente smentite. Ma la strage non si ferma e addirittura l’aumento della domanda sembra dovuta alle dichiarazioni di un medico vietnamita, il quale nel 2014 avrebbe dichiarato di essere in grado di curare il cancro con una pozione che, appunto, conterrebbe anche polvere di corno di rinoceronte.

Ho cercato in tutti i modi di verificare l’informazione, e purtroppo ci sono delle conferme: il “medico” non è mai stato rintracciato, ma la situazione creata da questa leggenda si è rivelata talmente grave da spingere il governo vietnamita ad intervenire. Comunicati congiunti del Ministero della Salute e della Medicina Tradizionale del Vietnam e della Vietnamese Cancer Association sono stati rilasciati per smentire le proprietà miracolose del corno di rinoceronte, fatto che mi convince ancora di più dell’estensione del problema.

Ho sentito poi storie dell’orrore di come vengano trattati i bracconieri quando vengono presi (vi risparmio i dettagli) e sulle orribili tecniche che usano per impossessarsi del corno del rinoceronte. Inseguono l’animale finché riescono a ferirlo o farlo cadere esausto, dopodiché gli tagliano il corno con una sega elettrica e lo lasciano lì a morire dissanguato e nelle sue feci, in un’agonia che può durare anche diverse ore.
Il governo e diverse associazioni come l’Endangered Wildlife Trust stanno facendo molto per educare le popolazioni locali e per difendere i rinoceronti, ma a questo ritmo potrebbe non esserci più tempo per invertire la tendenza ed impedire l’estinzione.


 

Questa riflessione sui rinoceronti mi porta ad un altro ricordo che mi disturba da diversi giorni: in Sudafrica moltissime strade passano nel mezzo della savana, nel nulla totale. Uno si aspetterebbe di potersi muovere libero in un panorama che sembra avere solo il cielo come confine. Invece no. Per decine e decine di chilometri queste strade sono affiancate da una rete elettrica impenetrabile, che demarca il territorio dei vari “game ranch”, ovvero delle riserve di caccia private dove i turisti vengono da tutto il mondo, e specialmente dagli Stati Uniti, per sparare a zebre, leoni, elefanti e chi più ne ha più ne metta. Così, per puro divertimento. Li ho visti questi ciccioni vestiti con le loro giubbe mimetiche all’aeroporto di Atlanta. Li ho visti portare le lunghe custodie nere dove tengono i loro fucili. Li ho visti anche sul volo di ritorno, fare i gradassi e vantarsi degli animali che hanno abbattuto, con tanto di foto sul telefonino e coro di “oooh, aaaah” invidiosi dei loro compari. Insopportabili.


 

Tutto questo mi ha mandato un po’ in crisi di coscienza. Persino mentre ero li in moto a divertirmi e a bruciare benzina sul mio cavallo d’acciaio vestito come un marziano non potevo evitare di notare le condizioni della popolazione locale

E sinceramente tutto questo mi ha mandato un po’ in crisi di coscienza. Persino mentre ero li in moto a divertirmi e a bruciare benzina sul mio cavallo d’acciaio, vestito come un marziano non potevo evitare di notare le condizioni della popolazione locale. Vedere che erano costretti a fare decine di chilometri, spesso a piedi, perché non possono tagliare per i campi delimitati dalle reti elettriche. Perché li vengono gelosamente custodite le vittime dei codardi con lo schioppo che vengono ad abbatterle per poi vantarsi su facebook, quello è business e nessuno senza un pacco di dollari a disposizione ci deve mettere piede.

E mi sono sentito a disagio, mi sono sentito come l’ennesimo occidentale che viene qui a godersi le bellezze di casa altrui senza pagare il dazio. La maggior parte della gente ti saluta e fa festa quando passi, ma io mi ricordo gli sguardi penetranti di alcune donne che camminavano nel mezzo del nulla trasportando sulla testa una fascina enorme di legna, degli sguardi che nemmeno la visiera scura del casco ha impedito che mi penetrassero.

Ebbene si, alla fine in una sola settimana l’Africa ha cambiato anche me. E voglio tornare, fare meglio, fare di più. Noi che abbiamo il privilegio di viaggiare abbiamo anche il dovere di informare, di aiutare, di difendere, di fare qualcosa.
E questo mio breve articolo vuole essere l’inizio del mio piccolo contribuito, che spero di poter un giorno allargare ed ampliare, e rendere più concreto.

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