Il fascino della Baja California mi attanaglia da sempre. Ho una serie di amici che ogni anno vanno a seguirla come meccanici o come driver dei mezzi di assistenza, e che invariabilmente, al loro ritorno, mi fanno una testa così sul fatto che dovrei andarci anche io, che sarebbe un viaggio incredibile, una esperienza unica, chissà che foto, blablabla...
È vero: dovrei andarci. Nei primi anni 90 ho fotografato la Baja da Aragon a Zaragozza, in Spagna e già a suo tempo Danny Laporte (in gara con una Kawasaki bianca a due tempi se non ricordo male) mi diceva che la gara vera era quella in Messico.
Poi, dopo quasi 15 anni, nel 2005 è uscito il famoso film “Dust to Glory” di Bruce Brown (è su Netflix) dedicato alla Baja 1000. E la mia vita non è più stata la stessa. Voglio dire, come fai a guardare un documentario del genere e non sentirti il sangue ribollire nelle vene? Per uno come me, cresciuto nel mito di Malcolm Smith, Al Baker, Larry Roeseler e - molto più recentemente - Johnny Campbell, “Dust to Glory” ha avuto lo stesso effetto che “On Any Sunday” ha avuto sulla generazione che mi ha preceduto: probabilmente anche sullo stesso Danny Laporte, che tra l’altro di Baja 1000 e 500 ne ha vinte parecchie.
Settimana scorsa, prima di lanciarmi nell’ennesimo viaggio coast to coast sul mio pick-up (lasciamo perdere….) ho finalmente rotto gli indugi e mi sono messo su Google Maps a pianificare la mia prima “Baja ride”, in solitaria.
Partirò in modo molto sottomesso, e per questa mia prima esperienza in Messico cavalcherò la Valorosa, ovvero la mia fida Honda PC800 Pacific Coast. L’itinerario è già deciso e non dovrebbe riservare sorprese, visto che non potrò fare del fuoristrada: ingresso in Messico a Tijuana, poi giù fino a Ensenada, traversata dal Pacifico al Golfo di California fino a San Felipe, poi su verso Mexicali per deviare a sinistra attraverso la zona dei vigneti e rientrare negli USA dal valico di Tecate.
Sono circa 700 miglia (più o meno 1000 km) che voglio fare con calma in 5 o 6 giorni, magari un paio in più se c’è abbastanza caldo da godersi il mare. Ovviamente, se stessi a sentire i miei amici americani in Messico proprio non dovrei nemmeno metterci piede: troppo pericoloso, dicono. Ma se stessi a sentire cosa dicono in TV mi sarei perso alcuni dei viaggi più belli della mia vita da motociclista, come la Colombia o l’interno del Brasile. Qui sono paranoici e pensano che dietro ad ogni cactus in Messico si nasconda un’intera banda di banditi pronta a fartene di tutti i colori.
Tra quelli che invece ci sono già andati, americani o no, il consenso è unanime: posti meravigliosi, strade quasi perfette e gente super amichevole. Non avevo dubbi. Viaggiare apre la mente e il cuore: sarà per quello che chi è pronto a sputare giudizi e a snocciolare raccomandazioni al limite del ridicolo in realtà non si muove mai dal proprio divano? Boh, per ora su Airbnb ho già trovato due posti perfetti dove pernottare, sia a Ensenada che a San Felipe, con tanto di Wi-Fi e parcheggio chiuso per la moto (dai, non si sa mai…).
Mi manca solo da decidere le date di partenza e rientro, visto che non voglio diventi troppo caldo ma ho degli altri impegni che mi terranno lontano dalla California per un po’.
Ovviamente lo scopo finale è quello di tornare in compagnia di qualche rider smaliziato e su una moto da off road, ma per iniziare mi accontenterò di un piccolo assaggio. Dopotutto, per imparare a correre bisogna prima camminare, e io per quanto riguarda la Baja sono un vero pivello.
Nel frattempo, come ulteriore incentivo (io piuttosto lo chiamerei buttare sale sulla ferita) il regista Dana Brown, figlio del mitico Bruce, in collaborazione con YETI ha appena pubblicato
un mini documentario che, se siete appassionati del genere, non mancherà di farvi sbavare copiosamente. Si chiama “Lost and Found: Baja” ed è visibile su Vimeo .