Questa settimana torno a parlare di fuoristrada, e il primo pensiero va a Preston Petty, leggenda del Flat Track americano ed inventore dei primi parafanghi in plastica, che purtroppo è in ospedale e ha bisogno dell’aiuto di noi tutti.
Petty, che già da un paio d’anni soffre per un male ai polmoni, non ha purtrppo una assicurazione che paghi le sue cure, e in USA, dove il servizio sanitario non è pubblico, anche la piu semplce delle operazioni di routine può gettare una famiglia sul lastrico. Preston si trova al momento in un ospedale a Menifee, in California, e voglio invitare tutti a dargli una mano, anche solo $10 sono qualcosa. Sebbene sia stato un innovatore ed un pilota di discreto successo, Petty ultimamente si trovava in difficoltà ecomoniche e viveva in una roulotte grazie ad una minima pensione governativa. Per donare seguite il link:https://www.gofundme.com/jvu3uaw4.
Altra brutta notizia arriva dal mondo del Supercross, e riguarda un pilota che nei suoi anni da rookie aveva fatto vedere molte buone cose. Sto parlando di Austin Stroupe, il pilota del North Carolina che per un paio d’anni è stato compagno di squadra di Pourcel nel Team Pro Circut, prima di passare alla Suzuki factory e diventare l’avversario numero 1 del francese. Purtroppo, a causa di una serie di infortuni, Austin non riuscì più a ripetersi ad alto livello, e il suo passaggio alla 450 non portò i risultati sperati. Stroupe era per anni sparito dalla circolazione (mi ricordo di averne parlato con un collega al SX di Daytona nel 2014), ma ultimamente aveva avuto una seconda opportunità di rientrare nel giro che conta, e stava facendo bene in sella ad una Husqvarna nel campionato Arenacross. Conosco Stroupe fin da quando correva nei campionati Amateur, e sinceramente pensavo che fosse sulla buona strada per ritrovare un manubrio, se non nel Supercross, almeno nel National nel giro di pochi mesi.
Purtroppo sogno ed aspettative si sono infranti lunedì mattina, quando la rivista Transworld Motocross sul proprio sito ha per prima diffuso la notizia che Austin era stato arrestato per possesso di eroina e di tutti gli strumenti necessari per fane uso. Devastante. L’intero settore si è infiammato, chi accusava la rivista di aver esposto inultilmente il pilota e l’ambiente intero ad una gogna mediatica globale, chi invece si è scagliato sui vari forum contro il pilota stesso, accusandolo di tutte le solite belle cose che i “guerrieri della tastiera” arrivano a dire nascondendosi dietro a un nickname ed uno schermo.
Beh, anch'io voglio dire la mia, e sto dalla parte del pilota. Austin è solo l’enesima vittima di un sistema crudele che qui in America ti vende sogni e te li fa pagare con tutto quello che hai. Tutto. Il Supercross non è diverso, e sebbene non voglia fare nomi, la stessa identica cosa è successa nel corso degli anni a molti altri piloti, se non ci credete fate una ricerca su Google.
Per capire cosa sia successo a Stroupe, bisogna rendersi conto di quanta pressione ci sia su questi ragazzi, fin da quando hanno 12 o 13 anni e devono sostenere il peso economico di una familgia che ha investito tutto su di loro: casa, lavoro, acconti sulla pensione, TUTTO. Provate voi a scendere in pista ogni santa domenica sapendo che se non vincete l’intera famiglia rischia la bancarotta. Questi sono gli anni in cui le cadute, anche quelle brutte, non lasciano tanto il segno (non a livello visibile), sono gli anni in cui i ragazzini imparano che bisogna correre anche se non senti le braccia, o se riesci a malapena ad appoggiare il piede. E quando questi ragazzi finalmente hanno l’opportunità della vita e diventano piloti ufficiali, hanno già perfettamente stampato nel loro cervello che infortuni e guai vari non sono una scusa per non allenarsi come dei pazzi, o per non gareggiare. Nessuna scusa è sufficiente per rinunciare ad un sogno e deludere chi su di te ha investito tutto. E' qui che iniziano i problemi, è qui che la scommessa “tutto o niente” diventa spaventosa. E pur di correre, pur di continuare, questi ragazzini che nella vita hanno conosciuto solo il camper di famiglia e le piste su cui si andavano ad allenare, sono disposti a tutto. Qui entrano in scena i cosiddetti “pain killers”, ovvero le medicine antidolorifiche ad alto dosaggio, che spesso contengono oppiacei. Già, gli stessi principi attivi dell’eroina, iniziate a vedere la connessione adesso?
Uno studio, i cui risultati potete vedere nell’immagine sopra, dimostra che 4 su 5 nuovi eroinomani hanno una storia di uso massiccio di antidolorifici nella loro vita. Non sono un genio della matematica, ma se non sbaglio parliamo dell’80%, o no?
Non dico che l’eroina non sia da condannare, non dico che le tossicodipendenze siano qualcosa da prendere sottogamba o giustificare ad ogni costo. Dico solo che prima di sputare sentenze tanti di noi dovrebbero almeno fare due ricerche, e concedere il beneficio del dubbio a questi ragazzi che si sono addormentati cullati da un sogno, solo per vederlo trasformarsi in un incubo.
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