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Al Supercross di Oakland ho fatto due chiacchiere con un giovanissimo pilota italiano che si sta facendo le ossa in una delle discipline più tecniche, e per certi versi spietate, nel panorama delle due ruote americano.
Lorenzo Camporese, nato a Padova il 6 aprile 1998, non ha ancora 18 anni ma sta vivendo il sogno americano ai massimi livelli. Ci siamo parlati prima delle sessioni di qualifica, dove Lorenzo ha sfiorato di poco - 1/10 di secondo!!! - il “Night Program” come lo chiamano qui, ovvero la gara vera e propria sotto i riflettori del O.Co Coliseum.
Partiamo dall’inizio: non è la prima esperienza nel Supercross, eri già venuto qui nel 2015.
«Si ero venuto qui l’anno scorso appoggiandomi al Team Rocket del papà di Michael Leib ma anche allora non sono mai riuscito a qualificarmi a causa… che non gli davo abbastanza gas!»
Se fosse così semplice il Supercross non sarebbe considerato la MotoGP americana. Ma da dove nasce questa passione, questa voglia di venire a correre qui?
È un sogno che hanno quasi tutti ma in pochi decidono di farlo diventare realtà. Non credo sia unicamente una questione di soldi: se davvero lo vuoi fare un modo lo trovi, o no?
«L’anno scorso mi stavo riprendendo da un infortunio all’omero molto grave e assieme a mia padre stavamo facendo due conti sul budget per fare tutta la stagione dell’Europeo con il 125 e nel frattempo avevo iniziato a fare qualche gara di Supercross. E quasi per ridere ho detto “Ma perché non investiamo questi soldi per fare un’esperienza americana?”. Li per li quasi ci abbiamo riso sopra, ma da quel momento non ho più smesso di pensarci. Siccome conosco molto bene Andrea Girardello, partner di Race SoCal, ho iniziato a martellarlo perché mi trovasse qualcosa in California, finché mi ha trovato il contatto con questo Leib. A quel punto ho convinto i miei genitori a spedirmi qui e da li è nato tutto».
Eri mai stato negli USA prima? Quale è stato l’impatto per un sedicenne?
«È tutto grande, sembra tutto nuovo, tutto cemento armato, tanta pubblicità, ti mettono tante cose in testa… Nelle piste invece è fantastico, vedi tutti i piloti che hai sempre sognato o visto in TV te li vedi a 50 metri da te e dici” Mi sa che sono nel posto giusto!”. Li trovi a girare con te, a far benzina, anche solo a mangiare fuori, visto che abitano tutti li nella stessa zona (tra Lake Elsinore e Temecula - Nda). Tutto bello però allo stesso tempo mi manca l’Italia per il “tutto vecchio” diciamo… Le nostre strutture, le nostre case, le nostre abitudini. La cosa che proprio non mi piace assolutamente e non riesco ad adeguarmi è il cibo».
Quindi quanto hai fatto in tutto qui l’anno scorso?
«Ho fatto otto mesi, sono stato tre mesi con il permesso da turista, poi sono rientrato in Italia e ho fatto il visto sportivo da sei mesi. I primi tempi che ero qui avevo ancora il tutore al braccio quindi ho fatto un paio di mesi di relax prima di risalire in sella, poi ho ricominciato a fare motocross e soprattutto per la prima volta ho messo le ruote su una pista di Supercross”.
Ah, quindi in Europa non avevi mai provato?
“Si ho fatto un paio di gare con la 125 ma da noi è come correre nel motocross rispetto a qua».
L’impatto com’è? Arrivi qui, entri in una pista di Supercross quando l’unico riferimento è quello che hai visto in Europa e non c’è assolutamente nessun confronto…
“Si, non c’è nessun confronto. Qui non puoi sbagliare. Vedi un panettone e pensi che si, anche se arrivo un po’ lungo o un po’ corto non succede niente e puoi provare per gradi. Qui ti trovi un muro e non vedi di la, e allora ti chiedi “come vado li la? a manetta, non a manetta?”. Ci vuole molta confidenza e soprattutto devi essere abituato. Noi non abbiamo queste cose, non le vedi neanche a Genova o al Motolive dell’EICMA, o persino l’SX Tour in Francia che è comunque un campionato molto impegnativo e di altissimo livello. Chiedi a qualsiasi persona che sia venuta qui dall’Europa di fare un giro di allenamento e ti dirà che le rampe sono dei muri impossibili. E le piste dove ci si allena non sono mai così estreme come quelle che ti trovi negli stadi, che sono ancora peggio. Tra l’altro io sono nel Gruppo C, che è il primo ad entrare e ci troviamo la pista nuova…»
E nonostante quello che si possa credere, la pista nuova e bella tirata non è esattamente un vantaggio.
«No, le rampe e le whoops sono appuntite, non hai riferimenti, non sui dove puoi tirare e dove chiudere perché non hai potuto vedere nessuno prima di te. Non ci sono traiettorie segnate e la pista è ancora morbida e scivolosa, e hai solo 8 minuti per impararla prima di tornare dentro per fare i tempi. Le whoops sono ancora altissime, almeno 10cm più alte di come diventano per il programma serale dopo che hanno girato tutti e le hanno spianate con i bulldozer. E comunque quest’anno sono ancora più difficili, basta vedere in quanti hanno picchiato la faccia ad Anaheim 2. In molti arrivano qui dall’Italia e mi dicono “devi dare più gas, fai come loro”, e mi indicano Webb o Tomac. Caspita quelli sono marziani, sono tra i numeri uno al mondo, Webb al Mondiale a Glen Helen è stato davanti a Cairoli e non aveva mai corso prima con la 450! Io che non ho mai vinto nemmeno un Italiano dove vuoi che vada? Quando in allenamento giro due o tre secondi più lento di Tonus, per esempio, per me è già un bel risultato!»
Le sospensioni sono ovviamente fondamentali per il Supercross, ma nella 250 fa tanta differenza anche il motore, vero?
«Oh si. Le moto ufficiali fanno paura… non dico che con quelle moto io farei molto meglio perché è sempre il pilota a fare la differenza, ma comunque la moto conta tantissimo. Per farti un esempio, quando li vedi arrivare sui salti e scrubbare, tenendo la moto bassa è perché sono usciti a cannone dalla curva, in molti casi la fanno anche a 10km/h più forte di me. E li il motore diventa fondamentale per gente come me, perché uno come Webb ha la tecnica e il ritmo per fare la curva con una marcia in più mentre io ho davvero bisogno del motore per uscire veloce e affrontare il salto successivo».
Quindi alla fine, come nel motocross, anche nel Supercross è la curva che fa la differenza?
«Ah si, curva e whoops fanno la differenza, a parità di salti. Poi ci sono piste dove chi ha coraggio fa magari triplo-triplo-quadruplo o magari anche solo tre-tre-tre e ti prende tre o quattro secondi a giro».
Per te la parte più difficile, come ogni europeo, sono le whoops?
«Si, da noi non c’è niente di simile e oltretutto io sono anche abbastanza basso e quindi svantaggiato perché non riesco a stare bene indietro sulla sella. Generalmente sono alte, lunghe e larghe, non ci puoi stare dentro, non puoi smorzarle e appena sbagli sei per terra. Poi ho qualche problema su alcune serie appena fuori dalle curve perché spesso esito a dare tutto il gas per non scompormi e magari saltare storto. Quindi se c’è un triplo appena fuori dalla curva ci metto un po’ a prendere confidenza e il tempo a disposizione non è mai abbastanza. Se invece è in mezzo al rettilineo non ho problemi, ad esempio se c’è un doppio e poi subito un triplo dove devi dargli tutto e anche tirare su la moto per andare di la non ho problemi, perché non ho paura di farlo».
Dimmi come sei organizzato qui, che tipo di supporto hai…
«La FM mi aiuta con l’abbigliamento e mette a disposizione la struttura di FM USA assieme a Walter Lolli di Lainer Suspension, che mi porta la moto alle gare e organizza la presenza nel paddock. Le moto le ho comprate io ma l’MB Team mi aiuta fornendomi molti pezzi e ricambi. Poi ho Bell che mi da i caschi, Gaerne che da sempre mi supporta e mi da anche gli stivali, Tech per le plastiche, The Bos per le grafiche e Penta Power per gli integratori e i sali minerali. La persona più importante per me qui è pero senza dubbio Mauro Raitieri, che mi fa le sospensioni e segue la moto, oltre che lavarla, guidare, cucinare… hahaha è un tuttofare!»
E la tua vita quotidiana com’è, a parte i giorni delle gare?
«Grazie anche al supporto di Mauro, soprattutto morale, mi sto impegnando ad allenarmi quasi tutti i giorni. Mi alzo presto e faccio una corsetta, colazione, poi carichiamo la moto e andiamo a girare, generalmente mezza giornata in pista. Poi si torna a casa e almeno due o tre volte alla settimana faccio esercizi specifici che mi ha passato il mio preparatore atletico. Mi concentro più sulla resistenza perché il Supercross è soprattutto fiato più che forza».
Ricordo che una volta parlai con Tommy Searle che era appena arrivato dall’Europa per fare il Supercross e gli chiesi quale fosse la maggiore differenza nella guida. Lui mi disse che faceva fatica a ricordarsi di respirare, succede anche a te?
«Oh si, non dico che resto in apnea per 30 secondi ma credo ci manchi poco perché ad un certo punto sento che non ho più aria nei polmoni e mi devo imporre di respirare! Nelle prove libere sono abbastanza rilassato e non mi succede, ma nelle cronometrate, a causa dello stress di fare il giro veloce, arrivo che ho le braccia dure e la schiena piantata perché non mi arriva abbastanza ossigeno!»
Come esperienza cosa ne “tiri fuori” da tutto questo?
«Senz’altro più feeling sulla moto e più esperienza, e ovviamente il fatto di essermi allenato in California con un clima decisamente favorevole. Al di la di questo in realtà non ci sono molti vantaggi perché la preparazione ed il tipo di sforzo fisico tra motocross e Supercross sono completamente diversi. Tornando poi al discorso delle piste, anche quando correrò il Supercross in Europa i tracciati saranno talmente diversi che non potrò attingere a molto di quello che ho messo in pratica qui. Non sto dicendo che non ci sia differenza tra chi viene a corre qui e chi no. Dico solo che se uno viene a gareggiare qua non è che poi torna a casa ed è Campione del Mondo o ha automaticamente abbassato i suoi tempi sul giro di tre o quattro secondi. Ovvio che se mi potessi portare in Italia un’intera pista su cui mi sono allenato qui per tre mesi allora si potrei essere anche 5 secondi più veloce al giro. Ma visto che da noi non abbiamo nulla di simile, nel Supercross o nel motocross, alla fine ogni volta è un po’ come ricominciare da zero».
Programmi per il futuro?
«La mia ultima gara di Supercross quest’anno sarà la seconda di San Diego il 13 febbraio, perché Dallas è a 1400 miglia da qui e logisticamente è un incubo arrivarci dalla Costa Ovest. Una volta tornato in Europa farò tutto l’Italiano Motocross con l’MB Team e magari proverò anche qualche gara di Europeo, e in più farò tutto l’SX Tour in Francia e qualche gara dell’Italiano SX”.
Pensi di tornare l’anno prossimo?
«Finché troverò il budget per farlo proverò a tornare senz’altro».