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La Yamaha è stata pioniera nel dare il via a quello che sarebbe resto diventato il fenomeno delle enduro stradali con motore a quattro tempi, all’inizio rigorosamente monocilindriche e meglio note, a quei tempi, come “Trail” (sentiero).
L’onore dell’esordio spetta alla leggendaria monocilindrica XT500 presentata nel 1975 e immediatamente assurta a simbolo della categoria. Bellissima ancora oggi, la XT500 vinse le prime due edizioni della Parigi-Dakar con Cyril Neveau (nel ’79 e nell’80), ma poi dovette cedere il passo alle grosse bicilindriche, che con una sola eccezione (la Honda XL600 dello stesso Neveau, nell’82), iniziarono a dominare la massacrante maratona africana. Parliamo delle tedesche BMW GS 800, delle giapponesi Honda NXR 750, delle italiane Cagiva Elefant 650 e 900 con motori Ducati, protagoniste fino al 1990.
E la Yamaha? Nel 1988, la Casa di Iwata presentò la sua versione di maxi-enduro bicilindrica, che, “iperbolizzando” il nome della ormai celeberrima sorella monocilindrica nata nell’85, venne battezzata Superténéré. Una moto fortemente voluta dal forte importatore francese Sonauto, nella persona di Jean Claude Olivier, tutt’oggi influentissimo presso la Casa di Iwata. Olivier, egli stesso bravo pilota da deserto (fu terzo alla Parigi-Dakar del 1985 con la Ténéré 600) e attuale presidente di Yamaha Moto France, è sempre stato un tipo dalle idee molto chiare e spinto da una fortissima passione motociclistica, tanto da costruirsi una versione da rally della famosa quadricilindrica sportiva FZ750 maggiorata a 950 cc, denominata YZT (pesava la bellezza di 300 kg!), che per un paio d’anni utilizzò in gara. Fu dunque Olivier a premere per l’arrivo della Superténéré 750 bicilindrica, che nel tempo si rivelò la moto più vincente e affidabile delle celebri maratone africane. L’epopea vincente della grossa Yamaha iniziò già nel 1991, con l’arrivo vittorioso sulla spiaggia rosa di Dakar del giovane Stephane Peterhansel. Il quale si ripetè implacabile fino al 1998, fallendo il colpaccio solo nel ’94 e nel ’96 quando vinse Edi Orioli, prima con la Cagiva e poi, anche lui, con la Yamaha.
Ma com’era, la Yamaha XTZ 750 Superténéré? Che fosse una bicilindrica l’abbiamo già detto, ma va sottolineato che era l’unica con i cilindri appaiati fronte marcia e inclinati in avanti, mentre la BMW montava il classico boxer con trasmissione ad albero, le Honda (Transalp ed Africa Twin) erano delle “V2” a 52° e le Cagiva sfruttavano ovviamente il desmo Ducati con i cilindri ad L di 90°. Un motore sofisticato, il twin Yamaha raffreddato a liquido da 749 cc alimentati da due carburatori Mikuni da 38 mm, con tanto di distribuzione bialbero a 5 valvole per cilindro: soluzione tecnica tipica, quest’ultima, della casa di Iwata. Curiosa la scelta del cambio a cinque marce, mentre la trasmissione finale era a catena, anziché ad albero cardanico come sulla versione 2010. La potenza dichiarata era di 69 cv a 7.500 giri, con una coppia di 6,8 kgm a 6.750 giri. Quanto a prestazioni, i 200 orari erano a portata di mano.
La ciclistica si basava su un telaio a doppia culla in acciaio, con cannotto inclinato di 26,5° e la generosa avancorsa di 101 mm. Come giustamente generosa era l’escursione delle sospensioni: 235 mm davanti e 215 dietro. L’impianto frenante vantava tre dischi da 245 mm, mentre le ruote – rigorosamente a raggi - erano rispettivamente da 21” e 17” davanti e dietro, con pneumatici da 90/90 ne 140/80. Il piano sella era a 86,5 cm da terra, la distanza del motore dal suolo era di 240 mm e il serbatoio, per la gioia dei viaggiatori, teneva ben 26 litri. Il peso a secco dichiarato (abbastanza ottimisticamente) era di 190 kg.