Rossi contro Marquez, Ranch contro Dirt-Track

I due campioni sfruttano l’allenamento in fuoristrada per affinare le proprie caratteristiche di guida. Similitudini e differenze fra le specialità utilizzate
9 dicembre 2014

Punti chiave

Si è detto diverse volte come la MotoGP offra un paradosso che non si trova in nessun altro sport. I piloti che vi partecipano non possono allenarsi con gli stessi strumenti che utilizzano poi nello svolgimento delle competizioni, ma devono ripiegare su tecniche alternative. Le limitazioni ai test infatti riducono a pochissime le occasioni per i piloti di provare le moto al di fuori dei normali weekend di gara. E il problema è aggravato dal fatto che le MotoGP sono moto talmente estreme da risultare troppo diverse da qualunque altro mezzo utilizzabile su asfalto.

Utilizzare le Superbike, per non parlare dei mezzi stradali, ha senso si e no quando il pilota è in fase di riabilitazione dopo un infortunio, per riprendere confidenza con la posizione di guida e verificare il proprio stato di forma fisica; per il resto le differenze sono tali che tutti i piloti hanno bollato la pratica come poco utile.

Da anni – soprattutto dallo sbarco di quel la generazione di americani guidata da Kenny Roberts – i piloti utilizzano le discipline fuoristrada per allenarsi. Oltre alla possibilità di praticarle quasi in ogni stagione, queste discipline offrono un altro, importantissimo, vantaggio: lo sviluppo, o l’affinamento, delle capacità di controllo del mezzo fuori assetto. Chi sa controllare la derapata su una moto da cross, enduro o dirt track è inevitabilmente avvantaggiato in MotoGP, dove pur con tutti i controlli di trazione del mondo una percentuale di pattinamento delle ruote è inevitabilmente connaturata al raggiungimento del limite di aderenza del mezzo. Per non parlare di situazioni come la celebre curva di Sepang (ma anche la Senna all’Estoril, dove però non si corre più) dove la capacità di mettere di traverso la moto spigolando tantissimo la curva fa risparmiare decimi preziosi.

Dopo un momento di grande popolarità del cross per questo scopo (inframezzato poi da un breve attimo di gloria del supermotard) sono emerse discipline alternative. Il cross, con i suoi salti, è troppo pericoloso come allenamento fuori stagione – lo stesso Valentino Rossi ha pagato a carissimo prezzo la caduta del 2010, in cui ha subito la lesione del tendine della spalla – e il Motard ha causato più polsi e clavicole rotti delle torture medievali a forza di high-side in uscita dalle curve lente.

La cosa ha portato ad una riscoperta proprio di quella disciplina da cui provenivano moltissimi dei piloti di oltreoceano – non ultimo quel Nicky Hayden ultimo statunitense capace di conquistare il Mondiale – e grazie alla quale potevano vantare un controllo della moto in derapata del tutto sconosciuto alla scuola europea, fatta di linee pulite e perfetta gestione del grip disponibile. Il dirt track.

 

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Non è affatto un caso che Valentino Rossi e Marc Marquez lo sfruttino per affinare le proprie capacità e mantenere allenati fisico, riflessi ed aggressività in gara; più curioso, ma a suo modo perfettamente spiegabile, come abbiano invece scelto declinazioni leggermente diverse della specialità.

La famiglia Marquez (compreso quella specie di terzo fratello che è ormai considerato Tito Rabat, campione in carica della Moto2) sfrutta infatti l’ovale di Rufea, una pista da short track del tutto tradizionale. Non è un caso: a suo tempo Kenny Roberts aveva esportato in Spagna (a Montmelò, praticamente a fianco del circuito di Barcellona) il suo Training Ranch originariamente nato a Modesto, California, facendo conoscere e diffondere la specialità del dirt-track fra i giovani piloti iberici.

La struttura che Valentino Rossi ha messo in piedi all’ormai famoso Ranch (no, non crediamo che il nome sia un caso) è invece piuttosto diversa, erede spirituale di quella Cava in cui suo padre aveva messo in piedi il Graziano Rossi Traversing Camp: niente altro se non un impiego alternativo di una cava di ghiaia in disuso in cui divertirsi a derapare con ogni genere di mezzo. La pista del Ranch ricorda infatti più un tracciato da TT/Steeplechase, specialità che fa parte del circuito Grand National statunitense ma con due fondamentali differenze rispetto al dirt track: le moto dispongono del freno anteriore e le curve non sono tutte a sinistra. Lo Steeplechase prevedrebbe almeno un salto, ma non è certo il rigore filologico a guidare l’iniziativa di Rossi – qui vi presentiamo il video dell’edizione 2013 dell’EnduRanch, gara a cui lo scorso anno ha preso per l’appunto parte anche Marc Marquez, per farvi un’idea del tipo di percorso e… per capire quanto della loro guida si rifletta in questo tipo di allenamento.

Fonte: Asphalt and Rubber/Motomatters

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