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Una soluzione che da tempo si è affermata sui motori di elevate prestazioni, diventano addirittura “obbligatoria” al di sopra di una certa potenza specifica, è quella che prevede l’impiego di due valvole di aspirazione e di due valvole di scarico per ogni cilindro, con i relativi condotti ricavati nei lati opposti della testa. Da una parte c’è quello di aspirazione, che a un certo punto si divide in due “rami”, ognuno dei quali raggiunge la propria valvola. Dalla parte opposta ci sono due condotti di scarico, ciascuno dei quali proviene da una valvola, che di norma si uniscono poi a formarne un solo, di maggiore sezione, che esce dalla testa per collegarsi al tubo che porta i gas combusti verso l’uscita nell’atmosfera.
La camera di combustione ha quindi una forma a tetto, con due valvole da una parte e due dall’altra e con la candela collocata centralmente. La testa tende ad avere un lato “caldo” e uno “freddo”. Grazie a un accurato studio della disposizione dei passaggi per il fluido di raffreddamento, a una accorta disposizione del materiale e all’impiego di un metallo con elevata conduttività termica, è possibile però ottenere ottimi risultati per quanto riguarda la distribuzione delle temperature e contenere entro valori più che ragionevoli gli stress termici e meccanici.
Se l’adozione di quattro valvole per cilindro si è affermata da tempo come soluzione complessivamente più vantaggiosa, non sono mancati gli esempi di tecnici che si sono spinti più in là, progettando e talvolta anche realizzando e impiegando con risultati più che buoni teste nelle quali il numero di valvole era superiore. Il caso più eclatante, sicuramente ben noto a tutti gli appassionati, è quello della Yamaha che ha sbalordito il mondo nel 1984 presentando la FZ 750, dotata di un potentissimo motore quadricilindrico che di valvole ne aveva ben venti. All’impiego di più di quattro valvole per cilindro avevano pensato anche altri in precedenza, ma si era trattato di pochi casi, che non erano andati oltre lo stadio sperimentale. È stata la casa dei tre diapason a lanciare le teste a cinque valvole, adottandole sulla serie FZ/FZR e poi su modelli come la XTZ 750, la TDM 850 e la XTZ 660.
La Yamaha è rimasta a lungo fedele a questa soluzione tecnica, che le ha consentito di ottenere ottimi risultati anche in campo agonistico. Al punto che altri costruttori hanno preso in seria considerazione questo tipo di distribuzione, realizzando e utilizzando per diverso tempo teste a cinque valvole. La Rotax ne ha impiegata una sul suo monocilindrico “655”, montato a partire dal 1992 sulla Aprilia Pegaso 650. In seguito però questo motore è stato dotato di una testa di tipo tradizionale, con quattro valvole.
Pure nel mondo della Formula Uno ci sono stati motori con 5 valvole, tra il 1988 e la metà degli anni Novanta. Spicca la Ferrari, il cui V12 andava davvero forte
Pure nel mondo della Formula Uno ci sono stati motori con cinque valvole per cilindro, nel periodo compreso tra il 1988 e la metà degli anni Novanta. Spicca in particolare la Ferrari, il cui V12 andava davvero forte. Tornando alle moto vanno ricordati alcuni prototipi realizzati da costruttori come Aprilia e Gilera. In seguito però la soluzione è stata abbandonata, in favore di quella a quattro valvole. La Audi ha però costruito a lungo motori con cinque valvole, nei quali questo tipo di distribuzione veniva impiegato non per aumentare la potenza ma per migliorare l’erogazione ai regimi medio-bassi.
La Yamaha è passata alle quattro valvole per cilindro nella sua MotoGP nel 2005 e un paio di anni dopo anche nella sportivissima stradale R1 (entrambi questi modelli erano nati con teste a cinque valvole).
Grazie all’impiego di tre valvole di aspirazione e due di scarico è possibile disporre di sezioni di passaggio più ampie per la miscela aria-carburante che entra nel cilindro. La camera di combustione però ha una forma leggermente peggiore, rispetto a quella classica a tetto, il che è svantaggioso ai fini del rendimento termico. Inoltre, se è vero che le sezioni di passaggio sono maggiori, è anche vero che il coefficiente di efflusso è lievemente più basso di quello che si può ottenere impiegando la tradizionale distribuzione a quattro valvole. Insomma, alla fine dei conti quest’ultima risulta preferibile. E infatti la usano tutti.
Come accennato, qualcuno si è spinto ancora più in là. Poco dopo la comparsa della Yamaha FZ 750 la Maserati ha ottenuto un brevetto relativo a una testa bialbero con sei valvole per cilindro. Non risulta però che la casa modenese sia poi andata oltre lo stadio sperimentale (tutto ciò che si è visto in fondo sono state alcune foto. Il prototipo era comunque contrassegnato dalla sigla 6.36). Pure la Yamaha aveva preso in considerazione teste con un numero maggiore di valvole (fino a sette), prima di puntare decisamente sullo schema a cinque. Del resto il grande tecnico Robert Eberan-Eberhorst, padre della famosa Auto Union D, monoposto da Gran Premio con motore posteriore a 12 cilindri che ha corso nel 1938 e nel 1939, condotta anche dal mitico Tazio Nuvolari, aveva indicato in sette il numero di valvole che consentiva il miglior sfruttamento dello spazio disponibile in una camera emisferica. Dal punto di vista della fattibilità però riteneva che la strada più razionale, in quanto effettivamente praticabile senza incappare in una eccessiva complessità, fosse quella delle cinque valvole.
La storia dei motori con più di quattro valvole per cilindro non sarebbe completa se non parlasse anche delle teste ideate e realizzate da Francesco Romanelli, un vulcanico tecnico e imprenditore italoamericano che ho conosciuto di persona nella sede della famosa scuderia NCR nella seconda metà degli anni Novanta. Per la prima applicazione su di un motore motociclistico delle sue teste con sei valvole, azionate da due alberi a camme e richiamate da molle a elica, aveva infatti pensato a un bicilindrico Ducati. Le teste erano state fuse e lavorate a Bologna. In ciascuna di esse erano alloggiate due valvole di scarico, con i relativi condotti ricavati in due zone opposte. Per intenderci, con riferimento al cilindro verticale, un condotto andava in avanti e l’altro all’indietro.
Nella parte superiore della testa, tra i due alberi a camme, passavano due condotti di aspirazione del tipo “downdraft”, ciascuno dei quali si divideva in due “rami” che andavano alle relative valvole. In totale quindi nella camera di combustione si affacciavano quattro valvole di aspirazione, due di scarico e due candele. Ciascuno dei due alberi a camme era dotato di tre eccentrici. Veniva impiegato un iniettore per ogni condotto di aspirazione (e quindi ce ne erano due per ogni testa). I pistoni avevano il cielo perfettamente piano, eccezion fatta per gli incavi in corrispondenza dei sei funghi valvola. Le lunghe prove su strada alle quali è stata sottoposta la moto dotata di queste teste hanno fornito risultati interessanti.
Romanelli, che era stato per anni importatore canadese della Ducati e della Guzzi, ha anche tracciato dei progetti di massima relativi a un motore di Formula Uno di 3000 cm3 a W, con tre bancate di tre cilindri ciascuna, e a un tricilindrico per MotoGP, dotati del suo sistema di distribuzione. In seguito ha realizzato un bicilindrico a V di 75° di 965 cm3, sempre con teste a sei valvole.