Se ti abbraccio non aver paura, un viaggio in Harley-Davidson alla scopertà della libertà

Se ti abbraccio non aver paura, un viaggio in Harley-Davidson alla scopertà della libertà
Una moto, un'Harley-Davidson, e due persone, padre e figlio, con la voglia di lasciarsi alle spalle tutto e tutti alla scoperta di posti nuovi, condividendo insieme un'unica passione...quella di sentirsi liberi
8 maggio 2012

Se ti abbraccio non avere paura...è proprio questo quello che molte volte noi dovremmo fare nei confronti di altre persone ed è quello che fa tutti i giorni Andrea Antonello, un ragazzo di 18 anni autistico sin dall'età di tre anni, che insieme a suo padre intraprende un viaggio in America a bordo di una Harley-Davidson con solo la voglia di scoprire e di abbracciare persone e posti nuovi.
 

Un viaggio raccontato dal padre, Franco Antonello, allo scrittore Fulvio Ervas da cui ne ha tratto successivamente un romanzo che narra pensieri, emozioni, colori e vicende di un'avventura vissuta tra padre e figlio lunga tutta una vita.
 

Se ti abbraccio non aver paura



Qui di seguito un piccolo estratto di quello che viene raccontato, dal padre di Andrea, nel libro Se ti abbraccio non aver paura:


«Ogni volta che ti scontri con le difficoltà, ogni volta che ti rimbocchi le maniche per risolverle, è
come comperare un biglietto, un piccolo biglietto che ti porti alla fermata successiva.
No, quest’anno no. Se deve essere fatica, che sia per un’autentica avventura.
Siamo sempre in viaggio, anche quando aspettiamo che Andrea torni da scuola, quando lo rincorriamo tra la gente.
È arrivato il momento di prendere il largo. Adesso dobbiamo perderci.
L’idea di un grande viaggio ha cominciato a lavorare dentro, in silenzio. Come un virus. Senza manifestazioni evidenti. Non sentivo il bisogno di un progetto dettagliato. Per Andrea le ore di ogni singolo giorno sono sempre un imprevisto: sarà così anche per me, e andrà come deve andare.
Una mattina sono andato incontro ad Andrea che tornava da scuola, con il suo passo veloce. L’ho visto arrivare e gli ho chiesto se gli sarebbe piaciuto fare una vacanza speciale. Lui s’è lasciato distrarre dai panni stesi nel cortile di una casa. È partito di corsa e ha cominciato a raggrumare le lenzuola, spostare le mollette, raddrizzare i calzini.


“Ce ne andiamo lontano?” chiedevo.
Mi ha guardato di sfuggita, e ha sorriso. “Andrea, andiamo in America?”
“America bella”.
Lì, davanti a quei panni, riordinati come solo Andrea sa fare, mi sono detto: io e Andrea attraverseremo tutte le Americhe possibili e immaginabili, due o tre, quelle che incontreremo. Ce ne andremo a zonzo tutta l’estate, come esploratori.
Stazioni di servizio, rotoli di asfalto, pasti veloci, gente simpatica, gente che scappa, gente ai lati della strada che ci saluta. Via, uno o due mesi, non ci fermeremo finché non saremo stanchi, di qualcosa ci stancheremo, oppure ci troviamo benissimo, magari è un gran posto per uno come Andrea con padre al seguito, sempre che non ci dicano: altolà, che siete venuti a fare? A portare scompiglio?, e che scompiglio portiamo, solo i pezzi di carta che Andrea lascia ovunque e le pance che gli piace toccare e i baci che distribuisce generosamente: va bene, staremo attenti, misurati, non daremo fastidio, America, cerca di essere tollerante!»

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