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Non fatalità, errore umano, incidente causato da distrazione o da un altro veicolo; piuttosto, una morte dovuta ad incuria e mancata manutenzione della strada.
Per la Procura di Roma, ci sarebbero colpe precise che avrebbero generato il sinistro mortale che costò la vita ad Elena Aubry mentre guidava la sua Hornet.
Quindi anche la contestazione di reato agli indagati cambia, passando da omicidio colposo formulata all'apertura del fascicolo, a quella ben più onerosa di omicidio stradale.
La causa dell'incidente, secondo i periti, sarebbe stata la presenza di avvallamenti e radici affioranti che hanno deformato l'asfalto di via Ostiense al punto da renderlo una trappola: per la morte della 25enne sono ora indagate sei persone, responsabili della (mancata?) manutenzione della strada.
Si tratta di due dipendenti del Simu, il Dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana del Comune di Roma (che avrebbero dovuto verificare lo stato della strada con controlli periodici), un funzionario del X Municipio che si occupava del Servizio delle Infrastrutture Stradali, e tre privati, ad iniziare dal titolare dell’impresa vincitrice dell’appalto per la manutenzione del tratto di via Ostiense dove avvenne il tragico incidente.
La PM Laura Condemi titolare delle indagini, ha formulato l'accusa di omicidio stradale per la prima volta nei confronti di dipendenti pubblici perché l’insufficiente manutenzione di via Ostiense vicino al chilometro 25,5, non ha tutelato la sicurezza di quanti (motociclisti, ciclisti ed automobilisti) si sono trovati a transitare sul quel tratto di strada.
E, questo il ragionamento del PM, in base al Codice della Strada, chi gestisce un’arteria ha l’obbligo di tenere il manto privo di avvallamenti o dossi, obbligo che nel caso specifico non sarebbe stato rispettato: così gli indagati rischiano pene fino a sette anni di carcere, mentre con l’omicidio colposo la pena massima prevista è di cinque anni.
Dopo la chiusura delle indagini, spetterà al al giudice la decisione sul rinvio a giudizio degli indagati.
«Spero che dal processo - ha detto Graziella Viviano, la mamma di Elena - emerga quanto dovrebbe essere ovvio da sempre: le strade vanno curate, altrimenti motociclisti e automobilisti muoiono».