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A Milano abbiamo incontrato Mr Yoichi Hojo, Presidente e CEO di Showa, che ci ha descritto lo stato dell’arte delle sospensioni secondo il colosso giapponese. Showa ha una lunghissima storia alle spalle; è stata fondata nel 1938, oggi impiega 13.000 persone ed è fornitore delle principali Case motociclistiche (BMW, Ducati, Harley-Davidson, Honda, Kawasaki, Suzuki, Yamaha, Triumph), oltre che di diversi brand automobilistici.
Il Presidente di Showa ci racconta cosa dobbiamo aspettarci nel campo delle sospensioni nei prossimi anni. In futuro vedremo diffondersi la forcella ad aria anche sulle moto stradali, mentre l’elettronica crescerà meno rispetto a quanto visto nelle auto.
Come mai avete deciso di venire all'EICMA a Milano per la prima volta con un vostro spazio espositivo?
«Sì, è la prima volta per noi. È una scelta strategica. Honda è la nostra società principale ed è una società di livello mondiale. Cerchiamo anche noi, come la nostra casa madre, di crescere e di espanderci nel mondo. Showa esiste da 60 anni e ha oggi un ruolo primario nel mondo delle sospensioni. Per questo, pur essendo legati a Honda, guardiamo con molto interesse alle altre aziende di cui siamo in molti casi già partner. Guardiamo in particolare alle Case europee e italiane. Per questo motivo siamo venuti a EICMA».
Quali sono le tendenze future per le sospensioni? Partiamo dal racing.
«Parliamo della MotoGP e della Superbike: qui non è permesso alcun controllo elettronico, quindi puntiamo a raggiungere l’eccellenza meccanica nelle nostre sospensioni. Dov’è permesso l’utilizzo dell’elettronica, siamo sicuramente in possesso di un know how elevatissimo che ci permette di integrare la componente meccanica con quella elettronica, ma oggi questo nel racing incontra ancora molti limiti regolamentari».
Nel motocross le sospensioni ad aria stanno prendendo sempre più piede. Sono il futuro o si tornerà alla molla prima o poi?
«Non si tornerà più alla molla. La sospensione ad aria ha alzato moltissimo il livello delle unità ammortizzanti, consentendo anche una riduzione del peso significativa. Stiamo pensando di estendere l’applicazione anche alle moto da strada più leggere».
La forcella ad aria arriverà anche sulle moto da strada più sportive giapponesi e europee?
«Attualmente l’applicazione sulle moto da strada è prematura perché la forcella è più piccola, mentre si è rivelata perfetta la tecnologia pneumatica per le grandi forcelle delle moto da cross. In futuro non è escluso che l’aria possa prendere il posto della molla nelle moto sportive, ma prima bisognerà testare il sistema nelle corse. Showa da sempre infatti utilizza le gare per fare esperienza e provare le nuove tecnologie che poi andranno sulle moto di serie. Ora però non siamo ancora pronti per la produzione stradale di forcelle ad aria».
Cosa ne pensate delle sospensioni elettroniche con controllo attivo o semi-attivo? Sono più sicure o credete che una sospensione meccanica tradizionale, ma di grande qualità, sia ancora oggi la soluzione migliore?
«Attualmente nelle moto la capacità di controllo del pilota è ancora fondamentale rispetto a quanto accade nel mondo delle auto. Nelle quattro ruote il peso dell’elettronica è diventato oggi essenziale per il controllo totale del veicolo. Nelle moto questo non succede ancora, qui l’integrazione tra il pilota e la meccanica è ancora essenziale, non si può delegare il buon funzionamento della sospensione alla sola elettronica».
Nel segmento delle enduro stradali ci sarà una diffusione delle forcelle con gestione elettronica?
«Troppa elettronica toglie il piacere della guida e il divertimento, non la reputiamo una scelta obbligata, a differenza di quanto accade nelle auto».
Quali sono le innovazioni più importanti di Showa per il 2015?
«Al primo posto direi la nostra forcella ad aria dedicata al motocross che separa nei due steli la parte idraulica e quella pneumatica. Questa soluzione sarà sempre più diffusa e rappresenta il futuro secondo Showa. Il suo funzionamento è nettamente superiore rispetto a quello della vecchia forcella con le molle».
Foto di Matteo Gebbia