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Nei primi anni Settanta i bicilindrici BMW con distribuzione dell’inconsueto tipo detto “monoalbero sdoppiato” continuavano a dominare la scena agonistica a livello mondiale, contrastati solo dal quadricilindrico bialbero sviluppato da Helmuth Fath (vincitore del titolo nel 1971). Già c’era però chi pensava a utilizzare i due tempi, che cominciavano ad andare davvero forte sulle moto da Gran Premio di 500 cm3. Si trattava di individuare il motore più adatto al diverso tipo di impiego. Anche tra i modelli di serie, ai quali attingevano praticamente tutti i sidecarristi nostrani (solo Dal Toè aveva un BMW RS 54 Rennsport), ce ne erano alcuni che sembravano prestarsi bene, dato che a una notevole compattezza e a un peso contenuto abbinavano eccellenti possibilità di raggiungere, dopo adeguata elaborazione, potenze molto rilevanti.
Tra gli specialisti italiani va ricordato in particolare Ollearo, vincitore del Trofeo Nazionale Sidecar nel 1973 e nel 1974, che ha impiegato dapprima il bicilindrico di 500 cm3 raffreddato ad aria del Suzuki Titan e quindi il tricilindrico raffreddato ad acqua del GT 750 della stessa casa. Di entrambi questi motori esistevano versioni da competizione; ciò significava anche che erano reperibili parti speciali destinate al loro potenziamento. Nel 1973 il Trofeo FIM Formula 750 è stato vinto da una Suzuki; il motore di questa moto, denominata TR 750, erogava 100 cavalli a 8.000 giri/min.
Nel nostro campionato Juniores nella seconda metà degli anni Settanta è stata un'importante protagonista la Suzuki-Bimota con motore bicilindrico raffreddato ad acqua di 500 cm3. In precedenza però per le gare delle “Derivate di serie” la Saiad, importatrice per l’Italia della casa giapponese, aveva approntato una serie di GT 750S Vallelunga, con il motore che erogava 81 cavalli a 7500 giri/min (contro i 67 a 6500 del GT 750 base).
Nella seconda metà degli anni Settanta, seguendo le orme di Ollearo, anche altri piloti nostrani, come Trondoli e Donati, hanno adottato il tricilindrico Suzuki dopo avere constatato che i quattro tempi con i quali correvano in precedenza erano sempre meno competitivi.
Prima ancora però in campo nazionale spicca un altro pilota che aveva dato la preferenza a un motore a due tempi utilizzando un tricilindrico Kawasaki; si tratta di Romairone, che ha conquistato il titolo della montagna nel 1974 e nel 1977.
In campo mondiale le cose andavano diversamente. Anche se i BMW continuavano a farla da padroni, nei primi anni Settanta c’era chi rivolgeva le sue attenzioni ai due tempi, pensando di utilizzare non i motori motociclistici ma quelli destinati ad essere impiegati sull’acqua… Il gruppo svedese MCB produceva moto col marchio Monark e motori per imbarcazioni con il marchio Crescent.
Il 1967 aveva visto la comparsa di una 500 da competizione che utilizzava il tricilindrico a due tempi Crescent. Anche se i risultati ottenuti da questa moto non sono stati esaltanti, ben presto qualcuno ha pensato che, data la compattezza e la disposizione quasi orizzontale dei cilindri, tale motore poteva essere molto interessante per un sidecar da corsa. Si trattava del vulcanico tecnico-pilota svizzero Rudi Kurth, che correva con la splendida Dane Rowe come passeggera. Il suo CAT-Crescent ha esordito nel 1971, destando subito una grande impressione. Si trattava infatti di una realizzazione largamente innovativa, che per di più impiegava un motore a due tempi inedito. La potenza del motore, che aveva un alesaggio di 60 mm e una corsa di 58,8 mm, così come veniva fornito dalla casa era di 64 CV a 7.500 giri/min.
È doveroso ricordare che uno di questi tricilindrici è stato utilizzato in quel di Bologna per realizzare una 500 da GP che, dotata di un telaio Daspa appositamente costruito, è stata portata in gara nella seconda metà degli anni Settanta da Ermanno Giuliano.
Per i sidecar da corsa impegnati nel campionato mondiale l’era dei motori a due tempi è però iniziata davvero grazie al quadricilindrico boxer Konig. Questo motore veniva costruito a Berlino da una azienda specializzata nel settore dei fuoribordo da competizione. Forniva ottime prestazioni e a un certo punto si è pensato di impiegarlo su di una 500 da Gran Premio. Era molto basso e leggero, ma disponendolo con l’asse dell’albero a gomiti trasversale rispetto al telaio (ossia con due cilindri in avanti e due all’indietro) aveva una lunghezza considerevole, e la situazione era peggiorata dal cambio, collocato posteriormente. Questa moto, sviluppata e condotta da Kim Newcombe, ha ottenuto eccellenti risultati. Nel mondiale del 1973 lo sfortunato pilota neozelandese è arrivato secondo, ma si è trattato di un piazzamento postumo; quando è incappato in un incidente mortale era in piena lotta per il titolo.
Il motore Konig ha subito destato l’interesse dei sidecarristi che hanno ben presto iniziato ad impiegarlo. Nel 1974 è arrivata la prima vittoria (nel GP di Germania) e l’anno seguente il primo titolo mondiale, bissato nella stagione successiva, sempre per merito di Steinhausen.
Una interessante particolarità di questo quadricilindrico era costituita dall’impiego di un solo disco rotante che, piazzato sul dorso del basamento, controllava l’ammissione nelle due camere di manovella. Le misure di alesaggio e corsa erano perfettamente quadre (54 x 54 mm) e la potenza dell’ordine di 85 cavalli a 10.000 giri/min. Il basamento era costituito da due semicarter che si univano secondo un piano mediano verticale; nella fusione di ciascuno di essi erano incorporati due cilindri.
Anche in Italia il motore Konig si è rivelato vincente. Zini lo ha impiegato per imporsi nel Trofeo nazionale sidecar nel 1976, nel 1978 e nel 1980 e per conquistare due titoli italiani della montagna (1975 e 1976).