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Contenuti spettacolari, certo, ma spesso realizzati violando in modo grave il codice della strada e mettendo a rischio la vita propria e altrui.
Da mesi la Dirección General de Tráfico (DGT) e la Guardia Civil hanno potenziato le loro unità digitali, con un obiettivo chiaro: monitorare le piattaforme social alla ricerca di prove utili per identificare, denunciare e in certi casi arrestare questi automobilisti spericolati. "Le prove che forniscono loro stessi sono spesso schiaccianti", spiega un portavoce della polizia stradale. "Volti in chiaro, targhe ben visibili, località riconoscibili: per noi è come un’autodenuncia in video."
L’ultima operazione, a fine aprile, ha portato all’identificazione di un ventiquattrenne che aveva pubblicato su TikTok una serie di video mentre guidava una moto a oltre 220 chilometri orari su una superstrada nei pressi di Valencia. Il ragazzo è stato denunciato per reati contro la sicurezza del traffico e rischia una multa salata, il ritiro della patente e persino il carcere.
Il fenomeno ha assunto proporzioni tali che le autorità hanno lanciato anche una campagna di sensibilizzazione con l’hashtag #NoTeLaJuegues (Non rischiare), nel tentativo di disincentivare la spettacolarizzazione di comportamenti pericolosi. Ma la sfida è complessa: “Molti cercano visibilità o follower, non percepiscono la gravità delle loro azioni”, commenta un esperto di comunicazione digitale.
L’uso dei social come strumenti investigativi non è nuovo, ma la Spagna sembra averne fatto un'arma strategica nella battaglia per la sicurezza stradale. Secondo i dati della DGT, nel 2024 oltre il 15% delle sanzioni per eccesso di velocità è scaturito da contenuti pubblicati online.
Nel mirino, oltre agli autori, potrebbero finire anche influencer e canali che diffondono regolarmente questo tipo di video, contribuendo a normalizzare comportamenti estremi al volante. Le autorità stanno infatti valutando se perseguire anche chi pubblica o monetizza contenuti che promuovono la guida pericolosa.
In un’epoca in cui i like possono valere più del buon senso, la Spagna ha deciso di rispondere col pugno duro – ma anche con algoritmi, hashtag e task force digitali.