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Domenica! Libero! Un caffè al passo non me lo leva nessuno… casco, giacca, via l’allarme, su la serranda. Quale prendo oggi? La bianca, la rossa… no, alla fine la mia preferita è sempre la nera, quella con la voce rauca e bassa, che urla quando spalanchi il gas ma sa anche borbottare cupa e tranquilla. Tre ore di libertà, con il meteo complice e la possibilità di scegliere la moto che mi piace di più.
Prima, seconda, vento in faccia – esce il sorriso. La moto è un toccasana anche per chi ci lavora. Pregusto gli sguardi ammirati degli altri, su al passo, quando arriverò. Sono un pavone, mi piace sentirmi gli occhi addosso. Arrivo, parcheggio facile – c’è poca gente, penso – saluto la barista che mi fa il caffè e mi siedo al sole. L’aria è frizzante, ma qui al mattino si sta di un bene…
E l’orecchio cade sui discorsi dei miei compagni di passione. Dei motociclisti come me. Solo che io sono un po’ diverso, perché le moto le uso e le vendo. E non c’è ricerca di mercato migliore di quella sul campo. Sempre al lavoro, come diceva la mia ex moglie, che a un certo punto mi ha mandato a quel paese. E allora tanto vale ascoltare le solite parole. Elogi alla propria moto, che va sempre meglio di tutte le altre, e lamentele su chi le vende – che è avido, antipatico e non molla mai niente. A sentire questi – come a
leggere i forum – siamo tutti incompetenti. Possibile?
Mettiamolo in chiaro subito: la clientela è il bene più importante di qualunque impresa. Senza clienti si chiude, non c’è scampo, per cui bisogna fare di tutto per accattivarseli. Ma allora perché sempre più spesso la principale fonte di lamentele dei motociclisti sono i concessionari? Le case hanno scelto il peggio disponibile sul mercato? Ma poi, chi sono questi matti che scontentano i clienti in un momento di crisi economica? Gente che guadagna tanto da potersi permettere di scremare i clienti? No, purtroppo. Non vivo – non viviamo, io e i miei colleghi – in ville da sogno, e si lavora dieci ore al giorno. La spiegazione non è semplice, non esiste una sola risposta. Proverò a darla, sia pure fermandomi ad un certo livello di generalizzazione e superficialità.
Oggi la competizione sana, fatta sul rapporto qualità/prezzo è morta, si lotta solo sul prezzo
vivacchia e il cliente, felice perché ha risparmiato qualche centinaio di euro poi si trova senza servizi: basta vedere quanti negozi hanno chiuso. E la crisi è appena iniziata.
Il cliente fa la sua parte: i test-ride sono visti come giri in giostra. I pochi che si presentano realmente interessati alla prova non la considerano però un plus offerto al cliente, ma il minimo sindacale. Su circa duecento prove fatte quest’anno arrivo a vantare quindici contratti. Troppo spesso il cliente sceglie la moto provandola, poi l’acquista da chi “gli fa meno”. Allora perché devo farle provare, se alla fine spendo soldi per fare un favore ad un concorrente? Forse è meglio non investire in un mezzo, assicurarlo e fargli il pieno; meglio tenere quei soldi in margine da scontare al cliente. Ho deciso: basta test ride, l’anno prossimo abbasso i prezzi, e la moto demo la uso io, per quel che serve.
Anche le case fanno la loro: per inseguire quote di mercato a tutti i costi aprendo punti vendita uno a fianco all’altro hanno creato una situazione insostenibile. Una buona fetta ha chiuso, qualcuno ha ridimensionato e ridotto gli impegni. Strutture che fino a 4/5 anni fa vendevano 300 moto oggi non arrivano a 50, ben al di sotto della soglia di sopravvivenza. Se si parla con il management delle case si sentono solo discorsi triti e ritriti, poche idee e tanto immobilismo. In questi giorni si legge di chiusure – fallimenti, diciamocelo – di grandi gruppi di concessionarie del centro Italia. Di valore dell’usato in picchiata per tutti. Di chilometri zero che le case negano esistere ma che invece proliferano ed erodono ulteriormente il valore dell’usato, con il risultato che alla fine cambiare moto costa una follia. E le case chiudono. Chi può – Malaguti – fa la scelta dolorosa ma necessaria, chi non poteva – Morini? – è caduta e prova a rialzarsi. Auguri.
Quello della moto in Italia è un mondo piccolo e fragile, con equilibri instabili ed esigenze assolutamente peculiari rispetto al resto del tessuto economico nazionale
assolutamente peculiari rispetto al resto del tessuto economico nazionale. Il mercato italiano quest’anno non supererà i 250.000 pezzi tutto incluso: scooter, moto, cinquantini. Togliendo bimbi ed ultra sessantacinquenni, non si arriva all’1% della popolazione, e anche nei momenti migliori non si è mai arrivati al 2%, vale a dire 600.000 pezzi. Aggiungiamo al problema di massa critica l’assoluta stagionalità di una grossa fetta del mercato che non trova riscontro nella struttura del sistema stipendi italiano. Servirebbero 5 meccanici in estate ed uno è anche troppo in inverno.
E allora? Dove troviamo i margini per mantenere buone strutture, garantire servizi in linea con le aspettative di una clientela sempre più attenta ed informata, rispondere alle volontà delle Case, e dare stipendi decorosi a chi ci lavora? La torta non è grande, se si mangia in tanti si fa la fame. Sarà brutale da dire ma è necessario un ripensamento della rete di vendita a partire dalla quantità di punti. Il nostro mercato si può davvero permettere un rappresentante per marca nelle province piccole?
L’obiettivo primario delle Case dovrebbe puntare alla qualità del prodotto, dell’assistenza, dell’esperienza di acquisto, dell’esperienza di possesso. Gratificazione in fase di acquisto, quando si ritira il “sogno”, gratificazione d’uso, manutenzione, tenuta di valore. Le insegne grandi, i colori “corporate”, tutta la gamma prodotto esposta, continui aggiornamenti: al cliente interessano davvero? Il continuo rinnovamento marginale del prodotto porta svilimento ed invecchiamento precoce del prodotto. Perché dopo sei mesi la stessa moto nera invece che grigio antracite diventa vecchia, come se parlassimo di abbigliamento, con tutto il rispetto per chi lo vende?
E poi l’ultimo argomento, quello delle piccole cilindrate, il tanto auspicato ritorno delle piccole cilindrate, facili, leggere, con costi contenuti, eccetera. Tutto vero. Ma davvero pensate che produrre un pistone da 250cc sia molto più economico del produrlo da 500cc? E soprattutto: che successo hanno avuto tutte quelle moto economiche lanciate sul mercato da dieci anni a questa parte? Siamo italiani, siamo sboroni: moto all’ultimo grido ed iPhone 5, non certo una economica moto anonima o un cellulare da cinquanta euro!
Io? Io speriamo che mi sbagli. Su tutto. Ma la vedo complicata.
Kenshiro Kasumi