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Nei primi anni Novanta i Supermono hanno conosciuto anche in Italia un periodo di grande fulgore.
Nati come special da pista, con motori “prelevati” da moto da enduro opportunamente preparati, hanno rapidamente catalizzato anche l’interesse di alcuni costruttori.
Un esempio in questo senso l’ha fornito la Gilera che nelle prime due gare della neonata categoria ha schierato un paio di Saturno bialbero con motore preparato per l’impiego agonistico. In seguito la casa di Arcore ha realizzato una moto destinata esclusivamente alle gare Supermono con telaio a doppia trave scatolata in lega di alluminio e motore alimentato da due carburatori (come le sue Nordwest e RC 600) denominandola Piuma.
E ha anche realizzato un nuovo basamento fuso in terra perché in quello di serie al di sopra di determinate prestazioni (e quindi sollecitazioni) tra il supporto di banco destro e l’alloggiamento del cuscinetto dell’albero ausiliario di equilibratura si formava una crepa.
Anche la Yamaha Italia si è impegnata ufficialmente tramite la sua divisione corse (BYRD).
La Ducati non poteva non fare qualcosa. L’occasione era troppo ghiotta e la passione troppo forte. Un monocilindrico però non l’aveva. E allora l’ing. Massimo Bordi, padre dei motori raffreddati ad acqua con teste bialbero desmo a quattro valvole, ha pensato di realizzare un Supermono asportando da un bicilindrico il gruppo testa-cilindro posteriore.
Le soluzioni tecniche sarebbero rimaste invariate e si potevano impiegare molti dei componenti dei motori a due cilindri che correvano nel mondiale Superbike. Ciò avrebbe semplificato notevolmente lo sviluppo della nuova unità motrice riducendo i tempi e i costi.
Per la parte ciclistica sarebbe stato impiegato quanto di meglio disponibile mentre il telaio, sempre a traliccio in tubi, sarebbe stato realizzato ex-novo.
Capo progetto è stato nominato l’allora giovanissimo ing. Claudio Domenicali e i disegni costruttivi sono stati tracciati da Gianluigi Mengoli.
Il risultato è stato un autentico capolavoro.
La tecnica era raffinata e la moto forniva prestazioni eccellenti, al punto che, nonostante l’handicap di cilindrata nei confronti della concorrenza, questa splendida realizzazione si è imposta nel primo campionato italiano Supermono (1993). Anche l’estetica, curata da Pierre Terblanche, era entusiasmante.
A differenza di altri motori, i monocilindrici non possono essere equilibrati semplicemente contrappesando l’albero a gomiti. Per questa ragione vengono di norma dotati di un albero ausiliario dotato di una massa eccentrica (in qualche caso se ne impiegano due).
Nei modelli di grossa cilindrata senza tale equilibratore dinamico le vibrazioni sarebbero assolutamente inaccettabili, in particolare se essi raggiungessero regimi di rotazione elevati.
Poiché il motore Ducati Supermono derivava da un bicilindrico a V di 90°, nel quale le forze del primo ordine sono perfettamente equilibrate, si è deciso di adottare una soluzione diversa.
È stato eliminato il cilindro verticale, ma non la relativa biella, che è stata collegata a una leva oscillante avente funzione di contrappeso, in modo da ottenere una bilanciatura analoga a quella del bicilindrico.
La soluzione, logica e razionale, era assolutamente inedita per il settore motociclistico. In Ducati questo equilibratore dinamico è stato familiarmente chiamato “batacchio”.
Per il resto il motore riprendeva gli schemi costruttivi impiegati nei motori a due cilindri della casa bolognese, a cominciare dalla distribuzione desmodromica. In effetti, poteva essere considerato un 888 Superbike privato di un cilindro e con misure caratteristiche rivedute.
Prima di arrivare alla versione definitiva sono stati realizzati due prototipi di 487 e di 502 cm3, entrambi con un alesaggio di 95,6 mm ma con una corsa rispettivamente di 68 e di 70 mm.
La Ducati Supermono è stata presentata al Salone di Colonia del 1992 destando subito un notevole interesse tra gli appassionati più “corsaioli”. Il motore aveva una cilindrata di 549 cm3, ottenuta con un alesaggio di 100 mm e una corsa di 70 mm, ed erogava 75 cavalli a 10.000 giri/min. Dunque, la potenza specifica era di 136 CV/litro e la velocità media del pistone di 23,3 m/s. Le valvole avevano un diametro di 37 mm alla aspirazione e di 31 mm allo scarico (come sull’888 Superbike).
La moto è stata costruita in due serie (per un totale di 67 esemplari), delle quali la seconda con cilindrata portata a 572 cm3 mediante aumento dell’alesaggio a 102 mm e con una potenza di circa 80 CV a 10.000 giri/min.
Bordi e gli uomini del reparto esperienze della Ducati credevano fortemente nel progetto Supermono, al punto da allestire, oltre al motore già descritto, anche un paio di prototipi raffreddati ad aria, dei quali uno era bialbero a quattro valvole e l’altro monoalbero a due.
Per entrambi era prevista l’alimentazione a carburatore; naturalmente la distribuzione era desmodromica.
Le foto che accompagnano questo servizio consentono di apprezzare l’elevato livello delle finiture e delle fusioni, a giudicare dalle quali sembrerebbe che questi motori fossero addirittura arrivati allo stadio di preserie. Sono state fatte le valutazioni relative ai costi di industrializzazione e alle possibilità commerciali ipotizzabili per entrambe le moto e alla fine si è stabilito di non passare alla produzione di serie.
La decisione di cancellare il progetto è stata sicuramente dolorosa.
Da allora in poi alla Ducati di monocilindrici non se ne è parlato più…