Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Qualità senza compromessi. Un claim che sa tanto di marketing, ma che quando viene da una casa giapponese ha un sapore particolare. Un po’ perché siamo abituati alla qualità – sinonimo di affidabilità, raffinatezza costruttiva e durata nel tempo – dei prodotti nipponici, un po’ anche perché quando una Casa del sol levante fa una dichiarazione del genere, difficilmente poi lei per prima la prende sottogamba.
Nel corso del nostro viaggio in Giappone abbiamo potuto parlare con i tecnici Suzuki che pensano, creano e fanno crescere le moto di Hamamatsu. Non abbiamo potuto purtroppo visitare la fabbrica, perché in procinto di cambiare sede (sempre nella cittadina della prefettura di Shizuoka, ma più nell’interno, per ampliarsi ed essere più protetta in caso di un nefasto Tsunami), ma parlando con i responsabili dello sviluppo della nuova supersportiva – manca poco, una settimana, e potremo dirvi tutto quello che abbiamo appreso a riguardo perché la foto che vedete è del concept che ha debuttato ad EICMA lo scorso anno – abbiamo avuto modo di scoprire come nascono le Suzuki, a quali test vengono sottoposte e a che livello vengano curate solidità e qualità costruttive.
Non stiamo parlando a caso di solidità, perché le Suzuki – tutte, supersportive comprese – vengono davvero sottoposte ad una serie di test in fase prototipale che farebbero venire brividi di orrore a qualunque proprietario di moto. Una prova di caduta prevede che la moto venga lasciata cadere per terra da un’altezza di un metro (provate un attimo ad immaginarlo) senza subire danneggiamenti di sorta, un’altra effettua un passaggio su un tombino aperto, e poi ancora su gobbe, su una strada allagata per una quarantina di centimetri in altezza, su pavé, discese ripidissime, frenate esasperate, e via discorrendo. Senza naturalmente dimenticare le prove del motore al banco, ripetute poi con tutta la moto per far simulare percorrenze da globetrotter, e in galleria del vento. E, naturalmente, alle centinaia di migliaia di chilometri percorse sulla pista di Ryuyo, un test track velocissimo dove far emergere qualunque problema in termini di guidabilità e maneggevolezza.
Insomma, un processo in cui nulla viene lasciato al caso. Ce ne parla Moriya-san, il chief engineer delle moto sportive della la Casa di Hamamatsu. Un passato come responsabile dell’aerodinamica (ha curato niente meno che quella della GSX1300R Hayabusa) e progettista di telai – suoi quelli di V-Strom ed SV, sia 650 che 1000 – si è occupato in prima persona dello sviluppo dell’importante novità che Suzuki ci svelerà la prossima settimana ad Intermot.
«Il processo di sviluppo in Suzuki viene curato da tecnici che vivono in prima persona da appassionati» spiega Moriya. «Molti corrono, ed ognuno può e deve dare il suo contributo in termini di idee nel processo di definizione e sviluppo di ogni nuovo prototipo. Niente viene considerato sbagliato a priori, perché è proprio dal pensiero laterale, dall’uscire dalle strade battute, che sono nate alcune delle moto che hanno fatto la storia di Suzuki. Penso alla GT 750 tricilindrica a due tempi, ma anche alla RE5 Wankel, alla Katana, o alle soluzioni come il motore raffreddato ad aria e olio della GSX-R 750, e a tanti aspetti della gamma a due tempi».
Il punto fondamentale è pensare sempre prima di tutto alle prestazioni e al comportamento dinamico, senza accettare compromessi in termini di prestazioni. In particolare, fra moto e pilota dev’esserci una connessione più diretta possibile, secondo la filosofia Suzuki. La moto dev’essere prevedibile, comportarsi come il pilota pensa che debba reagire ai suoi comandi: un gioco non semplice in un segmento in cui le ciclistiche devono unire agilità sul lento a stabilità sul veloce, e i motori si devono confrontare con la tradizionale coperta corta dell’erogazione robusta e regolare a tutti i regimi. Ma la caratteristica fondamentale, ci ripetono, è l’accessibilità, che per una sportiva significa prevedibilità. «Sul mercato ci sono alcune moto piuttosto difficili da guidare. Alcuni costruttori la ritengono una caratteristica, un segno di personalità della moto. Per noi di Suzuki è sempre un difetto».
Proprio a questo proposito si parla di elettronica, che per Suzuki non deve mai venire utilizzata per risolvere i problemi di una ciclistica o di un motore sbagliati. Dev’essere un supporto, non una cura, capace di lavorare in sinergia con la moto per migliorarne il comportamento dinamico ed aumentarne la sicurezza; ma la sostanza deve essere valida già in partenza.
L'elettronica dev’essere un supporto, non una cura, che lavora in sinergia con la moto per migliorarne il comportamento dinamico ed aumentarne la sicurezza
Una filosofia che non è mai cambiata, a costo di risultare un po’ più lenti della concorrenza nello sviluppo della piattaforma elettronica: l’elettronica può migliorare le prestazioni e supportarle, quindi è stata usata per migliorare prestazioni, accessibilità e sfruttabilità, quella caratteristica che gli anglofoni definiscono user-friendliness e che nasce naturalmente anche dalle gare: molte delle soluzioni che Suzuki ha introdotto nel corso della sua storia – pensiamo al telaio in alluminio della GSX-R, ma anche ai corpi farfallati con doppio iniettore, o anche lo stesso raffreddamento ad olio – sono nate nelle competizioni, e solo dopo trasferite sulla produzione di serie. Per questo (ma ne parleremo meglio più avanti) Suzuki è da sempre molto impegnata nell’Endurance, dove la moto dev'essere soprattutto equilibrata ed accessibile nella sua base, senza ricorrere a “stampelle” esterne di natura elettronica.
Tutto il processo di sviluppo si basa quindi sostanzialmente su un confronto/scontro fra esigenze diverse, per arrivare ad un equilibrio generale nato dall’affinamento e dal confronto continuo fra tecnici e collaudatori, ma anche amministrativi che hanno l’ingrato compito di controllare che il prodotto finale stia sotto il limite di prezzo stabilito per quel modello dai responsabili del marketing – circa 1.200 persone, che nelle varie vesti lavorano qui nella struttura di Ryuyo per pensare, progettare, produrre e sviluppare i nuovi modelli.
Un confronto che a volte diventa uno scontro, perché quella passione di cui abbiamo parlato prima porta inevitabilmente i test rider (i collaudatori, per i quali in Suzuki è previsto uno standard di abilità preciso, ovviamente superiore a quello del motociclista medio) a chiedere cose che i tecnici non vogliono, o non possono, implementare. Insomma, uno scontro di passioni che porta avanti lo sviluppo.
Ma come si risolve il conflitto fra tester e tecnici? Inevitabile che si ragioni volta per volta. Per ogni progetto, ogni singola parte ha un responsabile – dal forcellone all’asse a camme fino alla valvola – che lavorano in confronto continuo con tutti gli altri affinando progressivamente il prodotto finale, che viene dato al tester da valutare. E’ evidente come ad ogni confronto si debba sacrificare qualche dettaglio in favore di un altro per trovare il compromesso ideale fra tutti, che però, essendo appassionati, non vorrebbero mai cedere. Anche se la filosofia Suzuki è proprio questa: ottenere l’equilibrio del prodotto finale trovando un compromesso fra tutte le esigenze.
E la parte economica? E’ molto importante: con la calma tipica dei giapponesi, Moriya-san ci offre come soluzione un altro processo che in un’azienda italiana porterebbe ad un caos ancora maggiore. «I costi sono molto importanti, ma non riteniamo praticabile il compromettere le prestazioni o l’affidabilità per aumentare il nostro margine. I costi di produzione quindi devono venire studiati accuratamente per raggiungere il prezzo che abbiamo stabilito come target, perché è evidente come questo prezzo sia un fattore molto significativo per il successo sul mercato di un modello. Ma in sostanza, siamo disposti ad accettare margini di guadagno ridotti per mantenere il livello qualitativo che ci imponiamo, pur continuando a proporre le nostre moto al prezzo che riteniamo giusto».