Umberto Masetti. Il Duca di Parma

Umberto Masetti. Il Duca di Parma
Così era chiamato quando nel 1950 con la Gilera conquistò il titolo mondiale della classe regina. Primo pilota italiano a riuscirci. Il parmense era un divo, aveva stoffa e voglia di vivere. La sua vita fu un'avventura. E' scomparso, ottantenne, nel 2006
9 marzo 2018

Il tratto di Via Emilia che attraversa cinque provincie da Bologna a Piacenza ha visto a cavallo degli anni Cinquanta il nascere e l'affermarsi di personalità, idoli e in un caso anche un “divo” delle due ruote.
In una Italia che nel primo dopo guerra sentiva il bisogno di emozionarsi, di entusiasmarsi, di sognare ed era alla ricerca di eroi positivi, questi giovani che sfrecciavano veloci in tuta nera e casco, belli, coraggiosi, sorridenti rappresentavano perfettamente questi sogni ed erano l'incarnazione della volontà di rinascita.

Voglio ricordare tra i molti piloti emiliani, iniziando da Bologna, Arcisio Artesiani, a Modena c'era Libero Borsari, a Reggio Emilia Bruno Bertacchini, a Parma Umberto Masetti e Emilio Mendogni e a Piacenza Tarquinio Provini.
Tra questi, l'alloro del “divo” fu senza dubbio appannaggio di Umberto Masetti che fu innanzitutto un grande pilota, primo italiano campione del mondo nel 1950 e vittorioso ancora nel 1952 sempre con la Gilera. Oltre che per le sue doti di pilota si fece apprezzare e amare anche per la sua simpatia, per la voglia di vivere, per il suo volto sempre bello e sorridente; e personalmente posso aggiungere per la sua bontà d'animo e il profondo senso dell'amicizia che possedeva.
Ai tempi occupò le cronache sportive e quelle di costume, era diventato un personaggio pubblico a tutto tondo e compariva su giornali e settimanali, fotografato con la corona di alloro al collo dopo una gara che lo aveva visto vincitore, a caccia con amici e colleghi o vicino a splendide donne.
Erano i tempi della “dama bianca” di Coppi e lui faceva notizia e suscitava curiosità perché era ritratto assieme alla “dama Moira”. Orfei, l'artista del circo.

Gli inizi da "scarciola"

E' però il Masetti pilota che merita di essere ricordato, il ragazzo che mosse i primi passi nell'officina con rappresentanza Gilera di suo padre, la marca a cui si legherà e che gli darà le più grandi soddisfazioni sportive nel periodo più brillante della sua carriera. Grazie alla sua corporatura minuta, “scarciola” era soprannominato, e a una naturale e istintiva precocità di guida si mise subito in luce nelle categorie minori con il Guzzino 65 e nelle gare di “motoscooter” (come si chiamavano ai tempi) con una Lambretta.
Il passaggio alle gare di terza categoria nella classe 500 fu rapido, corse prima con una Gilera “otto bulloni” poi col più moderno “Saturno” e parallelamente partecipò anche alle gare in 125, distinguendosi in entrambe le classi e lottando alla pari con i veterani.

Il suo debutto nel mondiale avvenne con la Morini 125 nel 1949 ma poi, ottenuta la fiducia e accasatosi ad Arcore come in un sogno, l'anno successivo divenne campione del mondo con la Gilera 500 davanti all'astro nascente del motociclismo Geoff Duke e la sua Norton.
Nel '51 Duke lo ricambiò relegandolo in seconda posizione nel mondiale, ma nel '52 Masetti, battendo la concorrenza di Les Graham con la MV, riuscì a laurearsi per la seconda volta campione del mondo dando il via al periodo di affermazione nelle competizioni mondiali delle 4 cilindri. Fu questo l'apice della sua carriera per fama e notorietà, ma non si può dire la stessa cosa anche della sua situazione economica: gli ingaggi e i premi di allora non erano minimamente paragonabili a quelli di oggi e in aggiunta Masetti già fantasioso nel correre e nel vivere ci mise del suo anche nello spendere, non facendosi mancare nulla, e dette fondo sino all'ultimo soldo ai suoi risparmi.
 

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Purtroppo, anche dal lato sportivo le cose iniziarono a girare male: l'anno successivo ci fu “l'attrazione fatale” tra Duke e la Gilera, e Masetti, pur fresco campione del mondo, fu relegato di fatto a figura di secondo piano e con un contratto che pare fosse metà di quello dell'inglese. Comprensibile quindi il suo disappunto quando se lo trovò in casa come prima guida.
Pur sentendosi tradito per lo sgarbo ricevuto, Umberto rimase ancora in Gilera per un paio d'anni, senza ottenere risultati brillanti ma anzi con prestazioni deludenti e inspiegabili cadute. Non fu facile per lui convivere con quella presenza, che lo sovrastò sino al 1955 quando il nostro pilota prese orgogliosamente la decisione di lasciare Gilera e di firmare per la MV.
Purtroppo però anche qui le cose non gli andarono molto bene e anche se nel corso della stagione '55 fece qualche podio e vinse a Monza, sfortunatamente per lui a fine anno arrivò in MV “il figlio del vento”, John Surtees, già splendido pilota, velocissimo con ogni moto e su ogni tracciato e famoso per la sua capacità di messa a punto (cosa di cui le prime MV 4 cilindri aveva molto bisogno). I tre anni MV ('56,'57,'58) non videro mai protagonista Masetti, e nelle classi maggiori in ambito Gilera, MV, e Guzzi si sarebbe parlato a lungo in inglese.

 


Dai titoli mondiali al Sud America

Dopo qualche apparizione con la NSU e la Morini, per la mancanza di risultati sportivi, gli sperperi, gli eccessi e la mancanza di tranquillità della sua vita extrasportiva egli stesso realizzò che era meglio lasciare il professionismo in Europa e accettare gli inviti a gareggiare in Sud America, alla ricerca di un nuovo periodo d'oro. Gareggiando nei vari paesi sudamericani intravvide un buon sviluppo delle due ruote in Cile e decise quindi di fermarsi là aprendo una concessionaria Morini.

Ma come spesso avviene nei paesi in crisi, il Governo chiuse alle importazioni di tutti i generi non indispensabili e le moto furono considerate tra i generi superflui. Al buon Masetti non rimase altro che trovarsi un impiego presso la FIAT locale, dove lavorò sino al 1971, anno del suo ritorno in Italia.
Un ritorno favorito dall'invito di un concessionario Guzzi, che gli offrì la moto e il supporto per partecipare alla 200 Miglia di Imola; invito accettato con entusiasmo e guasconeria cui ebbe seguito però una prestazione sportiva incolore, da ex pilota col casco anni Sessanta e la pancetta. Tuttavia l'ingaggio e i due biglietti di sola andata (per lui e la sua compagna) furono per sua stessa definizione «il più lauto ingaggio mai ricevuto per quello che feci», consentendogli di iniziare la sua seconda vita a Maranello con una attività dignitosa anche se molto lontana dai riflettori di un tempo.
 

La sua guida da "ragioniere"

Vorrei comunque ricordarlo per sempre col suo fisico minuto, tutto muscoli e nervi, mentre tiene a bada la potente quattro cilindri; aiutandosi anche con le ginocchia, che riteneva necessariamente di dover allargare in curva al contrario dei puristi dello stile dell'epoca, che invece le stringevano al serbatoio e giudicavano disdicevole il suo stile . Non era ancora facile da guidare quella moto in cui sino ad allora si era privilegiata la potenza del motore: il telaio, le sospensioni e la guidabilità non erano ancora all'altezza e la guida quindi doveva essere estremamente attenta, razionale e giudiziosa, proprio da “ragioniere” come si vantava di essere soprannominato anche per le sue vittorie raggiunte spesso con un minimo margine e senza strafare.

Questo suo modo di guidare non lo ha però esentato da incidenti, alcuni molto seri, ma la fortuna in cui confidava apertamente lo ha sempre aiutato ad uscirne con il minimo danno. Spesso amava ricordare sorridendo con malcelata soddisfazione quella volta che a Imola in un curvone cadde, scivolò per più di cento metri, prese un cumulo di terra che come in un trampolino lo fece volare su un cartellone pubblicitario, prima poi nell'acqua del Santerno ma con pochi danni personali.
Questo ed altri episodi, riflettendo ora sulla pericolosità del correre a quei tempi e sulla pericolosa inadeguatezza dei circuiti, ci portano a comprendere e giustificare anche la sua voglia di vivere sopra le righe (magari inconscia), una specie di voler tutto e subito, la sua esuberanza ed entusiasmo nell'affrontare la vita, il suo intimo piacere e l'orgoglio di essere apprezzato e amato dentro e fuori l'ambiente motociclistico.
 


I suoi rapporti con gli altri piloti e persone dell'ambiente sono sempre stati buoni e spesso sfociati in amicizia pura; definirei quindi una eccezione il suo mancato legame con Duke, per il quale si limitò a parlarne in modo asciutto: “uno dei più grandi, un pilota preciso, calcolatore e inesorabile nel fare gli stessi tempi sul giro”.
La mancanza di empatia tra il “Duca di ferro” e il “Duca di Parma” penso derivasse dal modo con cui era stato scalzato nelle gerarchie della squadra,e poi da alcune dichiarazioni poco amichevoli dello stesso Duke nei confronti di Masetti e di Gilera nel periodo (prima del suo arrivo in Italia) in cui le nostre moto e piloti avevano iniziato a far scendere gli inglesi dai podi mondiali.

Due curiosità su Masetti che mi piace ricordare. La prima, il monumento in suo onore eretto a Denia nella Spagna del sud, dove fece alcune gare e lasciò un buon ricordo a conferma del detto “nessuno è profeta in patria”. Perché non mi pare che in Italia ce ne sia un altro in suo onore e nemmeno che gli sia stata intitolata una via o altro in qualche città. Sarei felicissimo di essermi sbagliato e magari contraddetto.
La seconda è l'effige di Topolino sul casco, che adottò nel finale di carriera. La sua simpatia da bambino per i personaggi dei cartoni e la ricerca di un portafortuna gli fecero considerare quelli di Disney e, tra un cane e la simpatica figura principale e più nota, scelse la seconda da mettere sul casco a scodella tenendoselo caro per il resto della carriera sportiva.

Augusto Borsari


L'autore

Inizia da oggi, con questo gustoso pezzo su Umberto Masetti, la collaborazione di Augusto Borsari con Moto.it.
Augusto è un ex giramondo per lavoro e un grande appassionato della storia della moto, soprattutto quella dagli anni Quaranta ai Settanta.
Una febbre che lo ha preso fin da piccolo: il padre era concessionario Moto Guzzi a Finale Emilia, provincia di Modena, e il fratello Libero, molto più grande, correva in moto e andava forte. Libero Borsari è una vera leggenda: esordì col Guzzino 65 nel 1949 e molto presto passò alle grosse cilindrate. A soli diciannove anni, con la Guzzi 500 Dondolino, fu campione italiano di seconda categoria nel 1951: era una grande promessa, e però purtroppo l’anno dopo fu vittima di un incidente mortale sul circuito di Mestre. Prima o poi Augusto ci racconterà tutta la storia. Intanto, ecco il suo primo racconto.
La sua pagina facebook è un pozzo di storie, ricordi e considerazioni sul mondo delle corse.

N.C.

 

Da Automoto.it