Un salto in avanti di quelli che contano

Il passaggio ai motori da due a quattro valvole per cilindro ha trasformato le moto sportive di serie. Ecco un po' di storia
23 maggio 2021

Negli anni Sessanta a difendere il quattro tempi dall’assalto dei sempre più performanti due tempi nelle piccole cilindrate è stata quasi esclusivamente la Honda.

La MV si era concentrata sulla 500 e sulla 350, classi nelle quali la minaccia dei 2T ancora non si stagliava all’orizzonte, ma nella 250, nella 125 e nella 50 era la Honda a contrastare le sempre più agguerrite moto a due tempi.
Tra le quarto di litro l’impegno della Morini a livello mondiale è in pratica durato un anno soltanto e quello della Benelli (che a un certo punto ha iniziato a impegnarsi anche nella classe 350) non poteva essere portato avanti con mezzi paragonabili a quelli dei grandi costruttori giapponesi.

I grandi rivali della Honda nelle classi minori erano la Yamaha e la Suzuki, con realizzazioni di straordinario livello tecnico la cui potenza aumentava di anno in anno.

Come sono andate le cose lo sappiamo tutti. La Honda ha mostrato al mondo cosa era possibile fare con un frazionamento sempre più spinto della cilindrata e adottando quattro valvole per cilindro.
La lezione è stata recepita rapidamente dai costruttori di auto da competizione e ben presto le teste a quattro valvole hanno iniziato a dominare la scena, soppiantando completamente quelle a due.

Lo stesso è accaduto in campo moto (MV Agusta, Benelli, Paton, Morini, CZ). Occorre dire che le distribuzioni di questo tipo non erano sconosciute in quanto già impiegate su diversi motori da competizione del passato. Si era trattato però di realizzazioni che non avevano certo portato alla affermazione definitiva di questa soluzione e non avevano avuto un seguito passando dai motori da corsa a quelli prodotti in gran serie per un normale impiego stradale. Il merito di avere lanciato definitivamente le quattro valvole per cilindro va indubbiamente alla Honda.

Alla Yamaha va il merito di avere messo in produzione, nel 1974, la prima moto di serie con distribuzione bialbero a quattro valvole. Denominata XS 500, aveva un motore a due cilindri paralleli dotato di due alberi ausiliari di equilibratura. L’albero a gomiti monolitico aveva le manovelle a 180° e lavorava su bronzine. Questa è una delle ultime versioni
Alla Yamaha va il merito di avere messo in produzione, nel 1974, la prima moto di serie con distribuzione bialbero a quattro valvole. Denominata XS 500, aveva un motore a due cilindri paralleli dotato di due alberi ausiliari di equilibratura. L’albero a gomiti monolitico aveva le manovelle a 180° e lavorava su bronzine. Questa è una delle ultime versioni
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All’inizio degli anni Settanta tutti i motori delle moto di serie erano a due valvole. La prima casa a mettere in produzione un modello con testa a quattro valvole è stata, tanto per cambiare, la Honda. Lo ha fatto però piuttosto in sordina: non si trattava infatti di una sportiva ma di una enduro stradale senza particolari pretese prestazionali, azionata da un motore monocilindrico, la XL 250, apparsa alla fine del 1972. Dotata di un albero a camme in testa, questa valida quarto di litro ha avuto una discreta accoglienza da parte del mercato estero. Da noi non si è praticamente vista, per via del contingentamento all’epoca in vigore.

Ha fatto più parlare di sé la Yamaha XS 500 entrata in produzione un paio di anni dopo. Il suo motore era molto avanzato dal punto di vista tecnico, con due alberi ausiliari di equilibratura e, soprattutto, una distribuzione bialbero con quattro valvole per cilindro. L’albero a gomiti era monolitico, aveva le manovelle a 180° e lavorava su bronzine. I due alberi a camme, comandati da una catena laterale, azionavano le valvole per mezzo di bilancieri a dito sdoppiati.

Le prestazioni erano buone e la finitura impeccabile. Si trattava però di una bicilindrica, e doveva vedersela con una concorrenza che di cilindri ne aveva quattro… La Yamaha è tornata alle quattro valvole per cilindro solo nei primi anni Ottanta, con la FJ 1100 e la XT600.

La Honda CX 500, con motore bicilindrico a V trasversale di 80°, è stata prodotta anche in versione turbo (dal 1982); in seguito la cilindrata è stata portata a 650 cm3. Le quattro valvole alloggiate in ogni testa venivano comandate da aste e bilancieri
La Honda CX 500, con motore bicilindrico a V trasversale di 80°, è stata prodotta anche in versione turbo (dal 1982); in seguito la cilindrata è stata portata a 650 cm3. Le quattro valvole alloggiate in ogni testa venivano comandate da aste e bilancieri

Alla fine del 1976 la Laverda ha presentato un modello di serie con una distribuzione a quattro valvole, la 500 a due cilindri paralleli. I due alberi a camme venivano azionati da una catena collocata centralmente e gli eccentrici agivano su punterie a bicchiere.
L’albero a gomiti, che aveva le manovelle a 180° ed era formato da cinque parti unite per forzamento, poggiava su quattro supporti di banco e lavorava su cuscinetti a rotolamento. Questa bicilindrica, che per alcuni anni è stata anche protagonista di un vivace campionato monomarca, andava bene ma le vendite sono state inferiori alle aspettative.

Una moto decisamente anomala, nella storia della Honda, è stata la CX 500, presentata verso la fine del 1977 ed entrata in produzione l’anno successivo. Aveva quattro valvole per cilindro, ma erano comandate mediante aste e bilancieri. Era raffreddata ad acqua ma non era un modello sportivo e non aveva particolari velleità prestazionali, come testimoniato anche dalla adozione di una trasmissione finale ad albero. In quanto all’estetica, è eufemistico dire che lasciava perplessi.
Insomma, non era ciò che gli appassionati si aspettavano per sostituire la gloriosa CB 500 Four. Sotto l’aspetto tecnico comunque, niente da dire. Spiccava naturalmente l’architettura del motore con i due cilindri a V trasversale di 80°.

La CX si è venduta in numeri non molto considerevoli; dal punto di vista commerciale sono andate meglio le versioni con estetica completamente riveduta (e finalmente piacevole) e impostazione granturistica. La cilindrata è stata portata a 650 e sono stati anche realizzati due modelli con motore turbo (500 e 650).

Hanno ricevuto una accoglienza assai più favorevole le quadricilindriche bialbero CB 750 F e CB 900 Bol d’Or, entrate in produzione nel 1978-79. Con loro (e con la CBX a sei cilindri) si è aperta alla Honda l’era delle stradali di alte prestazioni con quattro valvole per cilindro. Il raffreddamento era ancora ad aria e questo obbligava ad impiegare un angolo tra le valvole decisamente elevato (63°).

La Suzuki ha seguito la strada indicata dalla Honda con le GSX 750 e 1100, entrate in produzione rispettivamente nel 1980 e nel 1981. In entrambi i motori vi erano sei supporti di banco ma, mentre in quello di minore cilindrata l’albero era monolitico e lavorava su bronzine, in quello più grande era composito e lavorava su cuscinetti a rotolamento. Pure loro erano raffreddate ad aria; l’angolo tra le valvole era però sensibilmente minore (40°) pur non avvicinandosi ai valori adottati in seguito su tutte le moto sportive.

Alle quattro valvole per cilindro la Kawasaki è arrivata di lì a poco, con la GPz 900 (1984), una autentica pietra miliare nella storia del motociclismo.
Per la prima volta veniva prodotta in serie una quadricilindrica in linea di altissime prestazioni con raffreddamento ad acqua e catena di distribuzione laterale. Entrambe queste soluzioni sono in seguito state adottate da tutti gli altri costruttori. Il motore era dotato inoltre di un albero ausiliario di equilibratura (mai visto prima, sui quadricilindrici) e la distribuzione era bialbero con quattro valvole di ogni cilindro inclinate di 35° e mosse da bilancieri a dito sdoppiati. La potenza era di 115 cavalli a 9.500 giri/min.

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