Una Honda CBR1000F davvero speciale

Una Honda CBR1000F davvero speciale
La paciosa ma potente sport-tourer di Tokyo è stata profondamente rivista dal proprietario assumendo le fattezze di una cattivissima streetfighter
11 febbraio 2013

 Bisogna essere non più giovanissimi per ricordare la CBR1000F, sport-tourer che Honda presentò al Salone di Tokyo del 1986 (assieme a quella 600 che sarebbe poi entrata nella storia). Un po' abbondante nelle forme e nei pesi, potente il giusto - i suoi 120 cavalli non erano pochi, allora, ma non facevano gridare al miracolo - era la perfetta rappresentante di un'era in cui le racer dure e pure non oltrepassavano i 750cc, e le poche maxi supersportive brillavano più per le prestazioni in rettilineo che non per la guida.

 

Lo statunitense Ian McElroy però crede molto nelle sue doti, e intraprendendo un progetto lungo quasi due anni ha trasformato una tranquilla turista di mezza età in una streetfighter cattiva, snella ed essenziale con più di un richiamo, nella linea se non nella sostanza, ai tratti tesi e spigolosi che Gerald Kiska ha tracciato sulle "sue" KTM. Non sappiamo se il tributo sia voluto o inconscio, ma se dovessimo scommettere diremmo che l'arancione scelto per serbatoio e codino (uniche sovrastrutture rimaste) non sia stato scelto a caso. 

 

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La linea si gioca tutta su una carrozzeria ridotta ai minimi termini e sulla valorizzazione delle componenti tecniche di motore e telaio. Una scelta di involontaria ironia: all'epoca la serie Hurricane (così venivano chiamate le CBR-F in Giappone ed USA) fu la prima, con la 750 mai uscita dai confini del paese del Sol Levante, a proporre le carenature integrali e sigillate. Che oltre a migliorare l'aerodinamica e a consentire ai designer di sbizzarrirsi permettevano ai costruttori di risparmiare sulle finiture delle componenti nascoste.

 

In questa CBR il telaio viene invece lucidato diventando grande protagonista della linea e facendo da contrappunto estetico al propulsore in total black. Lo scarico corto e minaccioso, puntato verso l'alto, regala una bella manciata di cavalli (il proprietario ne dichiara 130 totali) ma soprattutto pulisce la linea in maniera significativa rispetto allo "scaldabagno" del modello originale. Cattivissimo, anche se probabilmente non efficacissimo, il parafango posteriore in alluminio (che abbraccia uno pneumatico ad occhio ben più largo del Bridgestone Exedra 140/80 originale) ripreso dall'anteriore e dai grintosi paramani nello stesso materiale.

 

Belle, ma forse un po' lontane dallo stile del resto della moto, le pedane arretrate. La strumentazione? Ovviamente ridotta ai minimi termini, per non disturbare il pilota...

 

Fonte: dTail design

 

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