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C’era una volta un ragazzino di nome Roberto, giovanissimo ma già molto attratto dalle motociclette. Robertino andava spesso a trovare due giovanotti molto più grandi di lui, due fratelli che con le moto ci vivevano: anche a loro erano entrate nel sangue fin da ragazzini, quando aiutavano il papà e lo zio, bravi piloti di gran fondo nell’immediato dopoguerra, nell’officina di famiglia sita in un paesino della Brianza vicinissimo al leggendario autodromo di Monza. I due fratelli, Alvaro e Guido, erano tanto innamorati delle moto da diventare addirittura piloti di motocross: Guido arrivò perfino a correre nel mondiale 500. Malattia di famiglia, dunque, che peraltro aveva colpito anche due loro celebri cugini, i fratelli Frigerio, che non molto lontano, nel bergamasco, costruivano moto da cross e regolarità (l’enduro si chiamava così, allora) col celebre marchio Puch.
Alvaro e Guido erano già famosi nell’ambiente, e negli anni ottanta correvano con le svedesi Husqvarna, marchio al quale furono legati anche commercialmente. Roberto, quindi, era giustamente orgogliosissimo di avere amici così. Bene, oggi che Roberto Roncalli è diventato un imprenditore di successo, la passione per le moto non gli è certo passata. Anzi, al contrario, tant’è che ne possiede più d’una, e mica robetta. Ma da un po’ si è accorto che le moto "banalmente" acquistabili dai concessionari non gli bastavano più, e ad un certo punto ha iniziato ad elaborare un’idea decisamente un po’ pazza, specie di questi tempi: lui voleva farsi costruire una moto su misura per lui, partendo letteralmente da zero. Ma veramente da zero, cioè da quel classico "foglio bianco" spesso citato quando nasce una nuovo moto, anche se oggi si progetta usando il CAD. Una moto con componentistica super ma con motore e telaio progettati completamente ex-novo. Eh già, Roberto voleva una naked leggerissima, con motore V2 da un litro di cilindrata, e naturalmente sapeva benissimo chi poteva realizzare il suo sogno: certo, i suoi amici Alvaro e Guido erano perfettamente in grado di costruirgli “dal pieno” una bella bicilindrica, compatto, tecnicamente raffinatissima, potente e piena di coppia, ma soprattutto leggerissima. E assieme ad un gruppo di giovani ingegneri loro amici, Alvaro e Guido potevano senz'altro realizzare anche un bel telaio in alluminio, anch’esso il più leggero e solido possibile. E lui era felice di poter dar loro una mano a portare avanti la loro piccola azienda, in tempi difficili come questi.
Sembra una favoletta, questa, invece è realtà. Una realtà peraltro non comunissima, perlomeno nell’ultimo quarantennio: sul momento ricordiamo infatti ben pochi esempi di motociclette stradali create dal nulla da bravi tecnici, senza avere alle spalle capitali smisurati. Bene, quella che ci piace definire “la moto che non c’è” (ispirandoci chiaramente alla fantasiosa isola cantata da Edoardo Bennato) oggi esiste, è decisamente "viva", e Roberto l’ha battezzata Infect.
Non sappiamo quanto sia potente esattamente, la Infect 1000 V2, ma sappiamo bene com’è fatta e quanto sia leggera – tutta titanio, ergal, fibra di carbonio, pesa solo 145 kg! – e ci abbiamo fatto anche un giretto, breve ma comunque sufficiente a capire di che pasta sia fatta. Ma non è tutto: la Infect sta per avere una sorellina supersportiva, una superbike stradale che sta già nascendo. E più avanti dovrebbero arrivare anche una enduro stradale (per la quale è previsto un telaio misto in tubi di titanio e piastre in Ergal), e, crepi l’avarizia, anche una maxi-motard, perché non si sa mai. Dulcis in fundo, maggiorando l’alesaggio il suo motore può salire a 1.100 cc, e aumentando anche la corsa si può arrivare a quota 1.200. Nel senso che se qualche facoltoso appassionato avesse già in mente di farsi costruire a sua volta una replica di una o più di queste moto, potrebbe magari scegliersi anche il motore che preferisce.
Non ho proprio voluto esagerare in sella ad un costoso prototipo del genere, lungo quelle curvette di collina dall’asfalto poco convincente (soprattutto con le Michelin Power Supersport HP ben poco propense a scaldarsi, a quelle andature), però una tiratina lungo un rettilineo non lunghissimo non me la lasciata scappare: il motore rombava imperioso (lo scarico però non era il definitivo), ansioso di scatenarsi, con una notevole spinta fin dal primo tocco di gas, con vibrazioni decisamente ridotte e con l'avantreno che, manco a dirlo, faticava a toccar terra perlomeno fino in terza marcia. Naturalmente la moto era settata da pista (Roberto l’aveva portata a girare al circuito di Franciacorta), quindi parecchio reattiva, a maggior ragione grazie anche alle leggerissime ruote in fibra di carbonio. Ed è pure superfluo sottolineare che a quei freni, su strada, non è salutare dar molto del tu.
Pur andandoci letteralmente a spasso, insomma, la Infect dei mitici Vertemati mi ha emozionato: certo anche perché avevo avuto il privilegio di salire in sella ad un prodotto unico (perlomeno per ora), ma credo che in sella ad una moto con una cavalleria certamente superiore ai 100 cv e col peso di una Superbike di qualche anno fa ci si possa veramente divertire un sacco, potendola usare come si deve. Dopo averci preso le necessarie misure, naturalmente.
Comunque sia, il nostro percorso conoscitivo sulla Vertemati Infect 1000 V2 non finisce qui. Quindi, come si suol dire, “stay tuned”…