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La penultima realizzazione pluricilindrica con l'aquila dorata sul serbatoio non fu chiamata nella tradizione di Mandello ma in modo piuttosto impersonale e distante: era per tutti, per via dei suoi natali capitolini, “la romana”.
Le sue origini sono in qualche modo legate a fatti e persone di vent'anni prima, quando nel 1936 l'ingegner Piero Taruffi si presentò a Mandello per offrire la quattro cilindri cilindri Rondine, una moto che sentiva molto sua: l’aveva portata alla vittoria in gara e più avanti, con un altro marchio sul serbatoio, l’avrebbe salvata dall'oblio di un buio magazzino.
La quattro nella prima versione pronta per la pista
Pare che Enrico Parodi trovò l'offerta interessante, ma il suo amico Carlo Guzzi fu di parere opposto; egli rispose con un netto rifiuto, sottolineando che “anche loro erano capaci di farsi le moto”! Fu così che La Rondine fece il suo “nido” in Gilera e dette origine alle fortune del marchio e alle più veloci e potenti quattro cilindri dei vent'anni successivi.
Ebbene, l’ingegner Piero Remor, uno dei due progettisti della Rondine assieme a Carlo Gianini, oltre alla collaborazione in Gilera disegnò anche un analogo motore per MV; e quando queste due moto, diventate vincenti, relegarono le Guzzi a posizioni di rincalzo, allora nacque in Parodi il disappunto per l'occasione sfumata.
Fu così che lo stesso Carlo Parodi prese l'iniziativa e tenendo all'oscuro il suo staff tecnico contattò l'altro progettista della Rondine, l'ingegner Gianini. In breve, gli commissionò direttamente una moto che avrebbe dovuto essere “nuova” e diventare l'antagonista delle sue prime creature.
Inizia così la nostra storia assai complicata, in cui tecnica e aspetti umani si intrecciano senza portare al risultato atteso, nonostante gli anni spesi e l'impegno tecnico ed economico profuso.
Gianini padre e figlio, con l’aiuto di un disegnatore, nel 1948 cominciarono a progettare questo quattro cilindri in linea disposto longitudinalmente, un motore che rimarrà un “unicum” nella storia della moto del dopoguerra. La gestazione tra progetto e realizzazione fu piuttosto lunga e complessa, ma nel '52 la moto fu finalmente presentata. Ricevette anche gli apprezzamenti dalla stampa specializzata per il “suo felice connubio tra tecnica motociclistica e automobilistica”.
Il cuore pulsante della “Romana”
La disposizione del motore, il raffreddamento ad acqua, la distribuzione sul lato anteriore, il gruppo cambio e frizione e la trasmissione a cardano erano soluzioni nuove per i tempi. Purtroppo non si sarebbero poi dimostrate vincenti in pista.
Senza dilungarci sui particolari costruttivi, segnaliamo che un’altra delle sue peculiarità era, almeno nella prima versione, un complicato sistema di alimentazione ad iniezione con l’impiego di un piccolo compressore Roots.
Questo sistema venne poi abbandonato e sostituito con i tradizionali carburatori, perché poteva essere inteso come una specie di sovralimentazione non più accettata dai regolamenti del dopoguerra.
Lo scollamento tra Roma e Mandello fu evidente sin dagli inizi della storia del motore; gli elaborati di Roma venivano mandati in stabilimento per la realizzazione e venivano implementati senza alcuna valutazione o condivisione tecnica. Carlo Guzzi si era defilato dal settore tecnico e aveva lasciato spazio all'ing. Carcano, che “subì” la decisione della proprietà circa il progetto “romano”.
Giulio Cesare Carcano aveva in mente altre idee: le sue ambizioni in quel momento erano concentrate sull'aggiornamento del bicilindrico.
La moto fu comunque costruita e le prime prove a Monza dimostrarono che era più veloce del bicilindrico di un paio di secondi a giro, che era stabile e veloce sul diritto, però impegnativa in curva forse per la novità nella guida: i piloti non erano avvezzi alle reazioni combinate di motore e cardano.
Questa moto, nata lontano, non venne mai accettata a Mandello e spesso i due tecnici si trovarono su posizioni diametralmente opposte.
I primi test con Anderson pilota, tester e direttore sportivo Guzzi
Parodi oltre che proprietario assunse, per il bene del progetto, anche le vesti di arbitro e mediatore tra Gianini e Carcano e così, essendo considerato l'unica interfaccia autorevole, fu coinvolto in triangolate disquisizioni tecniche.
Emersero divergenze su tutto: dalle dimensioni delle ruote alle carenature, dai circuiti dove andare a provare fino a dove stabilire i record. Talvolta si arrivò anche alle bizze, come quando venne organizzato un incontro in Ferrari per verificare la convenienza di sostituire i cuscinetti di banco a rulli con i più moderni Vandervell.
Alla riunione presenziò l'intera squadra Guzzi mentre Gianini disertò, dicendosi impossibilitato a sostenere un lungo viaggio con le alte temperature di quel periodo.
Nonostante tutto, alla fine la moto venne presa in carico tecnicamente, anche se con una certa riluttanza, dal reparto corse di Mandello. A quel punto iniziò la sua evoluzione: il telaio fu ridisegnato, la carena fu studiata meglio e divenne a campana, venne realizzato un sistema di frenata compensato tra anteriore e posteriore.
L'ultima evoluzione pronta per la pista
Nonostante i grossi sforzi di un reparto corse peraltro già impegnato su molti fronti, i risultati attesi non arrivarono, e due anni di gare si chiusero con due sole vittorie, a Hockenheim e Siracusa.
Il motore per potenza e prestazioni non fu mai all'altezza di Gilera e MV, la guidabilità ancora più distante dalle avversarie, nei circuiti misti la moto aveva reazioni diverse nelle pieghe a destra e in quelle a sinistra.
La grinta e la decisione di Anderson nelle ultime gare con la quattro
In Guzzi presero atto del divario con la concorrenza, insistere sembrò a quel punto inutile e così si prese la decisione di spedire la “Romana” al museo.
Qualcuno provò del rammarico, altri sollievo e soddisfazione. Si chiudeva così una storia di speranze, di sogni irrealizzati, di grande impegno e anche di delusioni.
Come in tutte le storie c'è però il risvolto positivo e qui il fallimento motivò Carcano e lo spinse a ideare davvero qualcosa di competitivo: non un altro quattro cilindri, che subito non sarebbe risultato vincente, o un sei cilindri che a quel tempo era impossibile compattare in dimensioni accettabili.
Il suo genio trovò come unica e naturale soluzione quella di un otto cilindri a V con ingombri e dimensioni simili al quattro.
E così, meraviglia, dopo pochi mesi dall'ideazione la moto era già pronta e rombante in pista e fu soprannominata “l'astronave”, ammirata da tutti.
* E' un ex giramondo per lavoro e un grande appassionato della storia della moto, soprattutto quella dagli anni Quaranta ai Settanta. Una febbre che lo ha preso fin da piccolo: il padre era concessionario Moto Guzzi a Finale Emilia, provincia di Modena.
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