Daytona
Per chi ci arriva la prima volta, Daytona è un’esperienza totalizzante, si resta sopraffatti, quasi storditi dalla quantità di moto, di colori, oggetti, paesaggi e personaggi che attirano lo sguardo. È la magia della Bike Week, un bordello allegro, colorato e bizzarro, per non parlare del livello di decibel decisamente divertente e delle ragazze che fanno il possibile per disfarsi dei loro vestiti. Uno Stato-Disneyworld.
Il Walt Disney di Daytona si chiamava Bruce Rossmeyer. Non perché sapesse disegnare fumetti, ma perché con la sua ambizione imprenditoriale ha stravolto, probabilmente per sempre, l’identità della Bike Week proprio come la Disney a Orlando. Rossmeyer era un discusso e cinghialesco businessman locale proprietario di diverse concessionarie Harley-Davidson.
Nel 2007 ha realizzato il suo sogno: aprire la dealership più grande del mondo. Visto che per motivi economici e politici non ha potuto farlo a Daytona, ha deciso che la montagna, cioè la Bike Week, sarebbe andata a Rossmeyer. Cioè a Destination Daytona, un enorme centro commerciale con bar, ristoranti, negozi e zona concerti che gravita intorno alle Harley-Davidson comparso dal nulla fra i boschi di Ormond Beach, a nord di Daytona. È uno spettacolo impressionante, che non ha calato il sipario nemmeno dopo la morte di Rossmeyer nel 2009, in un banale incidente di moto mentre andava al raduno di Sturgis. Destination Daytona ha trasformato la Bike Week da stanziale a itinerante. Mentre prima tutto il movimento era limitato al centro storico della città, fra la Main e la Beach Street con una puntatina allo Speedway, adesso per vivere il mega-raduno è necessario vagare per decine di chilometri.
Un mondo a parte
La Bike Week è così vasta che c’è un posto per tutti. Ci sono i biker saloon fuori mano come gli storici Boot Hill, Broken Spoke e Last Resort per chi vuole fare baldoria lontano dall’occhio vigile della polizia e dai turisti invadenti. C’è posto per quel che resta di gloriosi bike show del custom, ultimamente in vistoso declino. Ormai rimangono lo storico Rat’s Hole al parco acquatico Lagoon e il Limpnickie Lot, uno skate park trasformato in comunità punk di costruttori di chopper grezzi e vecchia maniera. Assolutamente da non perdere il giovedì lo show old school al Willie’s Tropical Tattoo, dove l’atmosfera è decisamente anni Sessanta e Settanta. Che poi è quella che ha costruito la fama di Daytona fra i biker di tutto il mondo, e che oggi è in parte scomparsa.
La polizia controlla gli Hells Angels. Qui comandano gli Outlaws
Per esempio, è raro vedere i gilet con i colori dei grandi MC come gli Hells Angels. Per due motivi: la polizia li ha vietati per evitare scontri e perché Daytona è territorio del club rivale Outlaws, spalleggiati dagli alleati Pagans.
E quando non se ne può più del caos, per rilassarsi non c’è niente di meglio del Loop, un giro di 22 miglia fra Daytona e Ormond Beach che è un tuffo nella natura rigogliosa incontaminata della Florida, un territorio bellissimo saccheggiato progressivamente dalla speculazione immobiliare fin dagli anni Trenta del secolo scorso. Fra alberi secolari spioventi sulla strada come a formare una galleria vegetale, fiumi e piccole paludi, solo le numerose Harley incrociate lungo la strada ricordano il tumulto fuori da quel piccolo incanto.
C'è poi la Black Bike Week, ma pochi lo sanno...
Al contrario, sono in pochi a sapere che a Daytona nel cuore quartiere nero sulla Bethune avenue si tiene ogni anno la Black Bike Week. È un evento parallelo vivace e ricco di contraddizioni, l’ultimo strano frutto della Florida segregazionista. L’aspetto che colpisce di più è che nel giro di un isolato cambia tutto. Le Harley-Davidson lasciano spazio ai custom e alle sportive giapponesi, preferite dagli afroamericani in contrapposizione culturale alla società bianca. Anziché essere lunghe davanti, sono lunghe dietro grazie al forcellone maggiorato e alle gomme oversize da 240 e 300. E poi la musica: Lynyrd Skynyrd e il rock sudista è spazzato via da un’onda di hip hop, di R&B e reggae. L’atmosfera è festosa, da block party newyorkese: lo spargimento di testosterone lascia spazio alle grigliate, alla voglia di ballare e ai sorrisi. Anche per un italiano in Harley: «Ehi bello, guarda che hai sbagliato bike week», provoca una pantera in tacco 10 e Suzuki Hayabusa. No, perché? Daytona è come la vuoi vivere tu, anche se l’affluenza in calo e sulla vecchia Main Street l’animazione non è più quella di un tempo. Ma è ora di riaccendere il Big Twin, destinazione Miami.
I bianchi hangar della Nasa
La Interstate 1 che porta a sud è un infinito red carpet di asfalto che si stende sotto le ruote della Ultra Classic Electra Glide. Oggi gli amplificatori pompano allegramente «Satisfaction» dei Rolling Stones. Mick Jagger ha scritto le parole proprio in Florida, lungo il bordo di una piscina a Clearwater, durante il primo tour americano del 1965. Pura combinazione, o empatia rock’n’roll? Sarà, ma è proprio «Life», l’incredibile autobiografia di Keith Richards, l’unico libro che vibra nelle borse della Ultra Classic.
Ci sono trecento miglia da ingoiare nel piattume più completo, senza strafare oltre i limiti di velocità. Le uniche distrazioni sono fornite da Cape Canaveral, che dobbiamo saltare per rispettare la tabella di marcia. Peccato, non sarebbe stato male vedere i moduli lunari e i razzi Apollo e Saturno originali, per non dire dello Shuttle e del simulatore di volo. Sarà per un’altra volta, comunque i bianchi hangar della Nasa avvistati da lontano sono impressionanti, stagliati fra il verdino delle paludi e il blu ceruleo del cielo. Sono i capannoni più grandi del mondo, il loro volume può ospitare l’equivalente di tre Empire State Building. Prima di imboccare la Interstate 95 ci salutano le evoluzioni dei Warbirds, la pattuglia aerea acrobatica americana.
South Beach, Miami
Scendendo la statale 1 non si può non pensare al giovanissimo attore Steve McQueen che da New York, alla fine degli anni Cinquanta, avviava con un calcio la sua moto (prima la BSA 500, poi la Harley-Davidson Model K antesignana dello Sportster) e imboccava la Dixie Freeway per vedere le corse a Daytona, felice come un ragazzino, e poi raggiungere Miami a caccia di ragazze. Doveva essere un’esperienza spettacolare, lunga come la vita. La nostra dura tutto il pomeriggio finché, contro un tramonto rosso fuoco, si staglia all’orizzonte la skyline di Miami. Con i suoi cinquanta grattacieli oltre i 120 metri d’altezza è considerata la terza più impressionante d’America dopo Chicago e New York. Abbiamo viaggiato tutto il giorno, siamo tritati dal caldo e dalle vibre, ma la serata nel celebrato Art Deco District di South Beach non può aspettare.
Paolo Sormani
Foto di P. Sormani e Stefano Gadda