Fare il giro del mondo senza abbandonare lavoro e famiglia è possibile. Grazie a un nuovo modo di viaggiare. Ecco come si fa...
3 settembre 2014
Se siete come me almeno una volta avete sognato di partire in moto e non fermarvi solo perché sono passati tre giorni e ve ne servono altri tre per rientrare… e le ferie sono finite. Il sogno è quello di rimanere a zonzo in moto, ovviamente, ma non tutti possono permettersi il lusso (o la pazzia) di mollare ogni cosa e vivere on the road per i prossimi 4 o magari anche 8 o 12 mesi.
Quindi fino ad oggi il triste refrain è sempre stato lo stesso, viaggiare tenendo ben presente la massima distanza raggiungibile rispetto al punto di ritorno. Se ho dieci giorni a disposizione e ce ne metto 5 ad arrivare in Messico, per esempio, faccio giusto attempo a bermi una tequila e poi via di corsa, di nuovo verso casa!
Ma se è vero che il bello di viaggiare non è la meta ma il viaggio stesso, è anche vero che alla lunga la limitazione di cui sopra ci porta al punto di rottura: inutile di sognare di andare in Nicaragua in moto, a mano di non volare li e noleggiare una moto a chissà quale prezzo (oppure chissà quale vecchio catenaccio scassato). Beh, ultimamente ho notato che sempre più riders aggirano il problema del “tempo massimo a disposizione” suddividendo il viaggio in più tappe.
Qui lo chiamano “chaptering” e in pratica ogni “chapter” è un capitolo del viaggio, una tappa. Il concetto è semplice ed è stato reso ancora più attuabile (ed universale) grazie ai social media, dove trovare appassionati a cui appoggiarsi una volta a destinazione è questione di un paio di messaggi piazzati nei gruppi di motociclisti locali.
Il fatto che si possa stare via poco (e non dei mesi) aiuta a mantenere il bagaglio al minimo e convince anche a non esagerare con la percorrenza quotidiana, favorendo un viaggio più piacevole
In questo modo tantissimi motociclisti stanno ora vivendo delle avventure meravigliose a colpi da 6-10 giorni, gustando in buona parte quello che fino a pochi anni fa era un “piatto” esclusivamente riservato ai globetrotters professionisti o agli avventurieri senza confine.
Il mio primo contatto diretto con questa pratica l’ho avuto durante il mio recente viaggio in Colombia, dove nell’officina di Motolombia - la struttura a cui mi sono appoggiato - c’era ferma una KTM 640 Adventure. Il suo proprietario, l’autista del motorhome di Chad Reed nel Supercross e nel National, aveva lasciato la moto in deposito dopo essere partito dagli USA ed aver attraversato tutto il Centro America. A fine National, ovvero proprio in questi giorni, Joel è tornato in Colombia per finire il suo viaggio fino alla Terra del Fuoco.
Ovviamente non serve fare dei tapponi esagerati, e il fatto che si possa stare via poco (e non dei mesi) aiuta a mantenere il bagaglio al minimo e convince anche a non esagerare con la percorrenza quotidiana, favorendo un viaggio più piacevole, interessante e privo di quegli sgradevoli sintomi che ci fanno sembrare dei babbuini alla fine di ogni “tirata”.
Beh, indovinate cosa vorrei fare l’anno prossimo?
Pietro Ambrosioni