Un arcipelago unico al mondo
Se la Florida fosse stata dipinta, le Keys sarebbero gocce di terraferma lasciate cadere, come a disegnare un arco gentile che separa idealmente le acque dell’Oceano Atlantico dal Golfo del Messico. Si tratta di un arcipelago unico al mondo, una meraviglia naturale formata da 1.700 isole che si estendono dalla punta meridionale della Florida, circa 24 chilometri a sud di Miami. Come la Florida, che fu così chiamata dal conquistatore spagnolo Ponce de Léon perché scoperta durante la Pascua Florida del 1513 ed era in pieno rigoglio floreale, anche le Keys devono la loro etimologia a un termine spagnolo, cayos, che significa isolette. La cosa davvero stupefacente è che queste isolette possono essere infilate una dietro l’altra come perle, senza mai fermare la moto, guidando a livello radente dell’oceano.
Seven Mile Bridge
Merito del sistema dei ponti che a partire dagli anni Trenta hanno sostituito i battelli nell’unirle fra loro e alla terraferma. Il più famoso è il Seven Mile Bridge, lungo appunto sette miglia (cioè quasi 11 chilometri) e con la parte centrale incurvata a dorso, che unisce Knight’s Key alla Little Duck Keys. È quello della celebre sequenza di inseguimento del film «True Lies», con Arnold Schwarzenegger e Jamie Lee Curtis, con tanto di jet che si infila fra i piloni che lo sorreggono. La prima cosa che viene in mente è: come avranno fatto? A costruire il ponte, intendiamo: è stato un lavoro immane, con i piloni affondati nell’oceano per sette metri. La prima serie di ponti fra le Keys era stata voluta dal presidente Roosevelt per il suo New Deal, nell’ambito della serie di lavori di pubblica utilità che avrebbero dovuto rilanciare l’economia americana, rendendo al contempo le risorse del Grande Paese più accessibili a tutti. E alle Keys si va per godere di una vista spettacolare, della natura strepitosa e di un angolo di Stati Uniti assolutamente delizioso.
Con l'Harley-Davidson Heritage Softail sulla Highway 1
Può sembrare banale, ma per godere una vista così unica e raggiungere il massimo coinvolgimento emotivo, non c’è niente di meglio che percorrere pigramente la Highway 1 su una Harley-Davidson. Come d’abitudine, la mattina c’è il consueto scambio di moto e nella terza tappa è il turno della Heritage Softail. Una Harley perfettamente intonata alla situazione, e che sarebbe stata perfetta anche per la «vasca» del sabato sera su Ocean Drive. Lo dice il nome: Heritage significa echi del passato, linee nostalgiche, cromature e un’elegantissima verniciatura bronzo scuro metallizzato.
Il motore Twin Cam da 96 pollici cubi a sei marce interagisce senza sussulti con il telaio Softail, cioè coda soffice. Significa che il forcellone è ammortizzato in trazione, anziché in compressione, grazie a una coppia di ammortizzatori nascosti nella parte inferiore. In questo modo, la triangolazione posteriore del telaio evoca la linea dei chopper hardtail, cioè rigidi. Lo stile non è inferiore al comfort, anzi: con la seduta bassa, i piedi allungati sulle pedane a mezzaluna e il sellino del passeggero a bloccare la parte inferiore della schiena, la Heritage si è dimostrata la più easy delle Harley a disposizione. Completano la dotazione di serie il parabrezza trasparente a sgancio rapido e le borse laterali in cuoio, sempre a sgancio rapido e ornate dei tipici conchos. Non c’è l’impianto stereo della Ultra Classica, ma pazienza: la colonna sonora della giornata sarà il borbottio degli scarichi aperti Screamin’ Eagle, e davvero non si potrebbe chiedere di più.
Le Keys
Lo scenario che si apre quando la terraferma finisce è uno spettacolo che emoziona anche un viaggiatore consumato. Le isolette tropicali puntinate di casette di legno, pontili e palme si alternano a un oceano di tutti i colori possibili. Le sfumature dal verde al turchese, e dall’indaco al ceruleo formano una tavolozza ipnotica come un mantra. La natura è strepitosa, non a caso quasi tutte le Keys hanno una porzione del loro risicato territorio vincolato a parco naturale. La flora e la fauna che convivono su questo lembo di Stati Uniti sono il miracolo della fusione tra i due subcontinenti americani: le aquile calve convivono con i gabbiani e i cormorani, gli alligatori con i cervi e i procioni.
Mano a mano che si scende di latitudine, la temperatura sale con decisione fino ai 30°. Finalmente il caldo vero, quello sognato fino a quattro giorni prima in Italia. Anche se è solo marzo il sole comincia a picchiare duro, la luce è molto chiara e conviene proteggersi, o la tipica ustione da viaggio in moto è assicurata. Le Keys possono pure sembrare una fila di isolette, ma i chilometri da percorrere sono 260 e il viaggio è lungo – e piuttosto noioso. Perché la strada è una sola, dritta come un filo a piombo, e a sole due corsie. Quindi bisogna attenersi ai severi limiti di velocità americani, che variano dai sessanta ai cento chilometri orari, senza avere quasi mai la possibilità di superare.
Un consiglio: negli States non fate i furbi...
Un consiglio: sulle highway americane come la US1, soprattutto quando attraversano centri abitati, non fate i furbi. Niente numeri all’italiana qui: le pattuglie dei vari Corpi di polizia si materializzano come dal nulla e nella dotazione degli agenti, il senso dell’umorismo e la comprensione non figurano. Il problema della Dixie Highway sulle Keys è che, nonostante le varie ricostruzioni dovute agli uragani di passaggio, la sede stradale non è mai stata allargata nonostante sia battuta da centinaia di migliaia di turisti ogni anno, e non ci sono rotte alternative. Questa serie di cose fa sì che il tratto più meridionale della US1 nella Monroe County conti la percentuale più alta di incidenti mortali dello Stato della Florida.
Non oggi, però. Oggi va tutto bene, mentre giochiamo con la manopola del gas della Heritage Softail per goderci il rumore del Big Twin senza accelerare, con lo stesso tipico gorgogliare dei motori V8 delle auto americane. Per non annoiarsi troppo conviene fermarsi un paio di volte, con la scusa del pieno, di un drink o per mangiare un boccone. Anche questo fa parte del divertimento: in ristorante della Isla Morada il menù prevedeva, fra le altre cose, hamburger di delfino e crocchette di alligatore. E visto che il delfino è un campione di simpatia, la scelta non poteva che essere una sola… Ma attenzione: l’alligatore è una bestia pericolosa e coriacea anche da digerire.
Key West
Il viaggio si conclude a Key West, l’isola che da sola raggruppa un terzo degli abitanti dell’arcipelago, meta di turisti da oltre un secolo. È un posto così bello che sembra finto, un connubio armonioso di architettura sudista americana e natura tropicale. Key West è il rifugio dorato dei ricchi pensionati del nord, ed è un paradiso per gli sport acquatici e la pesca. Non si fatica a capire perché anche Ernest Hemingway venisse qui a trovare conforto e ispirazione per i suoi romanzi, alternandola all’Avana.
La distanza non è poi molta: il punto più meridionale degli Stati Uniti è segnato dalla boa che indica come Cuba sia molto più vicina di Miami, un braccio di mare di appena 140 chilometri. La grande boa rossa del Southernmost Point indica idealmente il punto di ritorno del nostro viaggio. La mattina dopo, le forcelle delle nostre Harley-Davidson girano nuovamente a nord in direzione Miami, per una giornata nella perla del Sunshine State. Ma non c’è di che lamentarsene: la serata di Key West sta per cominciare, tra i mille bar e ristoranti della variopinta Duvall Street. Ma non prima di assistere al celebrato tramonto dal molo di Mallory Square, salutato dall’applauso di centinaia di persone.
Paolo Sormani
Foto di P. Sormani e Stefano Gadda