Vincenzo Gnerre: "Così si distrugge la ricchezza reale e spirituale del motociclismo"

Vincenzo Gnerre: "Così si distrugge la ricchezza reale e spirituale del motociclismo"
Il titolare di Motorsannio, una delle concessionarie di riferimento del Sud, ci racconta la realtà quotidiana del motociclismo meridionale spaziando a tutto campo sui problemi che affliggono oggi la nostra passione
6 marzo 2014

Punti chiave

 Se siete appassionati di moto e vivete in Campania, Vincenzo Gnerre è un nome che non può non dirvi nulla. Uno che tira su dal nulla – e in mezzo al nulla – una concessionaria da oltre tremila metri quadri, che qualcuno all’inizio della sua attività vedeva come una cattedrale nel deserto, un progetto destinato a fallire; uno che porta lo sport (organizzando in proprio un trofeo come il Motorsannio) in una zona d’Italia culturalmente priva di tradizione agonistica nelle due ruote, è un visionario. O perlomeno un appassionato nelle cui vene – come diceva un celebre pilota americano poi diventato team manager – scorre benzina al posto del sangue.

 

In questo momento di crisi abbiamo parlato con Vincenzo della sua realtà quotidiana, dei problemi del motociclismo in meridione (in larga parte simili, sia pure se spesso di gravità differente, a quelli che vivono gli appassionati del nord) e di quanto e cosa si dovrebbe fare per cambiare una situazione che a volte sembra una spirale senza via d’uscita.

 

Partendo dal contingente: cos’ è che oggi penalizza maggiormente il mercato delle due ruote nel Sud Italia?
«Sicuramente le tariffe assicurative, che possiamo quantificare come responsabili di un buon 20% del calo delle vendite. E il problema è tanto più grave in quanto incide in ugual misura sul nuovo e sull’usato: anche se si sceglie la moto di seconda mano si deve sempre fare fronte a spese sproporzionate al valore del mezzo e all’uso che se ne fa»

 

In Campania la passione motociclistica è e resta più viva di quanto non vogliano i luoghi comuni
In Campania la passione motociclistica è e resta più viva di quanto non vogliano i luoghi comuni
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Ma non è tutto qui, perché la situazione in questo caso non sarebbe troppo diversa da quella che vivono i motociclisti residenti nelle metropoli del settentrione, dove allo stesso modo le compagnie assicurative bastonano soprattutto i giovani.

«Certo, bisogna aggiungere come in meridione soffriamo di un problema, forse il più grosso, di mentalità, un problema culturale e comportamentale. Continuiamo a vivere le moto solo da un punto di vista prettamente passionale, emozionale, senza capire come il panorama attorno a noi sia cambiato in maniera radicale negli ultimi anni.  Noi motociclisti del sud facciamo ancora scelte irrazionali, ci emozioniamo per le supersportive senza guardare a cosa servono, e soprattutto a cosa faremo davvero con la moto che vogliamo. E la cosa è aggravata da una sorta di diabolico complesso d’inferiorità, per cui se non possiamo avere la moto che desideriamo, quella da 20.000 euro, piuttosto che accontentarci di un mezzo valido ma meno prestigioso lasciamo lì anche quello da diecimila»


In parte quindi si soffre anche di moto più intelligenti ma meno allettanti?
«Assolutamente si. Prendente le Honda 700/750: sono ottime moto, intelligenti e che all’atto pratico vanno divinamente, ma al sud si vendono poco; mi piacerebbe che Honda facesse una statistica sulla distribuzione delle vendite, ne verrebbero fuori delle belle. Ma io, come concessionario, a Honda chiedo sempre la stessa cosa: datemi moto che ci facciano meravigliare, che ci emozionino! Le moto giapponesi, da anni a questa parte, non ci fanno più meravigliare»

 

C’è chi dice che la gente vorrebbe comprare moto, ma ha pochi soldi in tasca.
«E qui da noi il problema è ancora peggiore. Mi spiego meglio: quell’arte d’arrangiarci che ci ha sempre fatto campare un po’ meglio ora non è più praticabile.  C’è tanta gente che arrotondava lo stipendio con piccoli lavoretti in nero, e così si poteva permettere giocattoli come la moto. Perché, parliamoci chiaro, fuori dalle grandi metropoli dove spostarsi sulle due ruote è una necessità, la moto è un giocattolo oggi superfluo.
Ci sono comportamenti radicati, abitudini generazionali, che a fronte dei cambiamenti sociali non possono più continuare ad esistere, ma la gente (tutti, da chi li subisce a chi dovrebbe venire incontro a queste persone) non lo capisce»

 

La sede di Motorsannio a Calvi (BN)
La sede di Motorsannio a Calvi (BN)

L’altro problema endemico italiano che si aggrava però in maniera sostanziale nelle zone meridionali è costituito dalla burocrazia.
«Vi faccio un esempio: nel 2013 sono cambiate le normative per le patenti, credete che scuole guide e filiali delle motorizzazioni qui si siano adeguate negli stessi tempi che al Nord? Qui a Benevento da privatisti servono tempi biblici, c’è un menefreghismo totale da parte delle istituzioni e chi paga è sempre l’appassionato. Provate ad immaginare: prendete appuntamento per l’esame pratico della patente, ve lo danno dopo un mese se va bene, poi quel giorno voi vi presentate e se va bene tornate a casa con le pive nel sacco perché il dipendente della Motorizzazione stava poco bene e non è venuto al lavoro. Magari poi venite da Avellino, perché i motociclisti che vogliono fare il patentino vengono dirottati qui dato che la MCTC di quella provincia non dispone di un piazzale di dimensioni adeguate a creare il percorso regolamentare. Con che voglia rifate tutto da capo, perché questo vi tocca fare? Hai voglia a parlare di appassionati, sembra che in Italia stiamo tutti facendo di tutto per soffocarla la passione invece che coltivarla!»

«Ve ne racconto un’altra: da quando c’è la patente A2 è necessario fare l’esame con mezzi oltre i 120 cc ma con meno di 25 kW di potenza massima, di fatto uno scooter 400 come quelli di cui si sono dotate molte autoscuole. Così il cliente finale è praticamente costretto ad andare all’autoscuola per ottenere la patente, a meno che non desideri acquistare un modello di quel tipo.  Tra l’altro, acquistandolo prima di conseguire la patente con le difficoltà di cui abbiamo parlato prima. Va bene, stiamo cercando in tutte le maniere di far lavorare le autoscuole, togliendo tra l’altro la possibilità molto più economica di conseguire il patentino a scuola, ma alla fine il conto lo paga il motociclista o i suoi genitori. Fatevi due conti, per mettere un ragazzino in moto servono 3.000 euro. Altro che passione, qui serve lo spirito di un martire!»

 

Teoricamente però ci dovrebbe essere chi ci protegge, e rappresenta i nostri interessi.
«Lasciamo perdere, chi dovrebbe fare i nostri interessi latita completamente, e noi continuiamo a subire legislazioni antiquate ed anacronistiche. Ma ci pensate che un 125 continua a non poter andare in autostrada nonostante abbia prestazioni che glielo consentirebbero agevolmente? Vogliamo dire che non ci possono andare i minorenni? Allora facciamo che i 125 possono entrarci, ma solo se guidati da maggiorenni così come avviene per il trasporto del passeggero. Dovrebbe convenire a tutti: al motociclista che se vuole prende l’autostrada anche con il 125, a chi vende una moto in più e a chi ci lavora sopra, ma anche alle istituzioni che incassano un altro bollo e infine alle autostrade, visto quanto ci spennano. Altro tema su cui chi dovrebbe proteggerci è completamente assente: ma vi pare normale che in autostrada una moto paghi quanto un’auto?»

 

In effetti è una visione piuttosto miope. Nessuno pensa ai giovani, che saranno i motociclisti di domani.
«Tutti gli operatori del settore sembrano incapaci di vedere al di là del proprio naso e andare oltre il lucro immediato. Guardate ai costi dei ricambi imposti dalle Case, che penalizzano tutti. Cosa fa l’ANCMA, che dovrebbe saper vedere in prospettiva dove sta il bene delle aziende che rappresenta?  Moto che vengono prodotte sempre più spesso in paesi con manodopera a costi bassissimi ma i cui prezzi non calano. Case di abbigliamento, che dovrebbero proteggere i motociclisti, che producono in Cina facendo però pagare tutto come se fosse Made in Italy.  Guardate a tutti coloro che lavorano attorno allo sport, le piste, chi vende materiali di consumo, i gommisti: quando una specialità va di moda i prezzi crescono a dismisura, poi magari quando questa moda passa si capisce quanto valeva veramente quello che si pagava. Nel periodo di boom del motard una gomma arrivava a costare 300 euro, adesso lo stesso identico pneumatico lo trovate a 70. E’ ridicolo, tutti vogliono spolpare l’appassionato; il problema è che non si sono resi conto che ormai ci sono rimaste si e no le ossa. Se vogliamo far sopravvivere il motociclismo italiano è necessario che tutti noi (parlo di noi operatori di settore, dai concessionari ai meccanici, dai media agli organizzatori, chiunque abbia un’attività che ruota attorno alle moto) si faccia un passo indietro e si provi a ricostruire. Ma sembra che non ci sia più voglia»

 

E’ ridicolo, tutti vogliono spolpare l’appassionato; il problema è che non si sono resi conto che ormai ci sono rimaste si e no le ossa

Si fatica a venire considerati altro che polli da spennare, tanto da spingere diversi ad abbandonare la moto per chiudersi dentro un’automobile.
«Pensate anche solo ai prezzi delle gare. Vi racconto un aneddoto: ho ricevuto due pass per assistere al Mondiale a Misano Adriatico. Con quei pass potevo teoricamente andare dappertutto, nel paddock, in qualunque punto della pista, tranne che in tribuna, perché anche al pass avrei dovuto aggiungere un supplemento.  Non mi sto lamentando del fatto che mi abbiano chiesto soldi, sono un appassionato né più né meno degli altri, ma della mentalità: anche chi ha un pass deve venire spolpato sistematicamente. Poi si va all’estero e si scopre che là con 50 euro si vede la gara e magari ci sta anche un panino e una bibita.  Chi ce lo fa fare di investire in un settore in cui vendiamo qualcosa di superfluo, se nemmeno chi sul nostro benessere dovrebbe campare, come l’ANCMA, fa nulla per difenderci? Tutto quello a cui pensano le istituzioni è prendere soldi dai motociclisti, dalle aziende alle istituzioni, nessuno investe né sa vedere più in là del business a brevissimo termine. Quello che mi stupisce è che i primi a farlo siano gli addetti ai lavori, che dovrebbero fare di tutto per tenere viva la passione che gli dà da mangiare»

 

La spirale di crisi ha colpito anche l'usato, che spesso viene deprezzato e svenduto all'estero da chi deve realizzare un immediato guadagno, magari per pagare il mutuo di casa.
«Pensate a tutti quei rivenditori che fanno incetta di moto per portarle all’estero. Sul momento guadagnano qualche centinaio di euro, però fanno il male del settore. Se tutti almeno mettessero in circolazione del nuovo in cambio di usato che esce andrebbe ancora bene, ma la realtà è che c’è chi non fa altro se non lucrare sull’acquisto di moto usate, magari strangolando l’appassionato in difficoltà che quindi si adegua a svalutazioni del proprio usato e crea una perdita di valore anche per noi concessionari, che dobbiamo adeguarci ai prezzi praticati dal privato costretto alla vendita per disperazione. Il pubblico spesso dimentica che comprando la moto di chi deve pagare il mutuo e ha finito i soldi magari si risparmia qualche centinaio di euro, ma alle spalle poi non c’è un concessionario ad offrire una garanzia, e che è sempre lì quando ne avete bisogno. Sono situazioni ben diverse, ma il cliente pretenderebbe da noi quello che è un prezzo di mercato che ha perso completamente qualunque collegamento con la realtà»

 

E la situazione è ancora più grave se si considerano le conseguenze, che non si limitano alla semplice svalutazione di mezzi che hanno un valore intrinseco ben diverso dalle quotazioni che si praticano, come ben sa chiunque abbia provato di recente a vendere una moto sportiva.
«La pratica di esportare le moto verso paesi poveri ma più ricettivi è disastrosa, perché esaurito il guadagno di poche centinaia di euro del commerciante di pochi scrupoli si rivela un danno che solo chi non vede oltre l’oggi non può capire. Si è appiedato un motociclista, ma soprattutto si è tolto lavoro in Italia: chi lavorerà per fare assistenza a quella moto? Non certo un italiano. Chi incasserà il bollo di quella moto? Non certo lo stato italiano. Chi venderà ricambi? Le domande sono infinite, la risposta è sempre la stessa. Così non si crea motociclismo, così il motociclismo, e la ricchezza, reale e spirituale, che questo sa generare, lo si distrugge. Tra l’altro sarei davvero curioso di sapere quanto controllo eserciti lo stato su questi soggetti, che spesso campano a cavallo fra due nazioni senza pagare le tasse in nessuna di queste»

 

Il sommerso è un altro problema.
«Parlando di assistenza viene da mettersi le mani nei capelli. Internet, oltre che un grande mezzo di comunicazione e un canale per farci conoscere, è diventato un facilitatore per chi vuole giocare sporco. La vendita di materiale rubato ha trovato lì il suo canale preferenziale, grazie al relativo anonimato unito alla grandissima diffusione ed accessibilità di annunci e informazioni. Qualche mio cliente mi ha detto a che prezzi si trovano i ricambi attraverso certi canali, non è possibile che siano di provenienza lecita. E’ che una volta chi si rivolgeva ad un ricettatore (chiamiamole con il loro nome, queste persone) sapeva cosa stava facendo e lo decideva, adesso ci può finire per errore, magari credendo che i ladri siamo noi rivenditori che invece non facciamo altro che applicare un normale prezzo di listino guadagnando il giusto. Si è anche persa questa concezione, che il concessionario debba guadagnare il giusto: si cerca il prezzo migliore online o per telefono, e poi si fa il giro delle concessionarie a vedere chi è disposto a vendere a quel prezzo. Senza capire che se si strangola il concessionario questi domani non ci sarà quando dovrebbe invece dare assistenza, sostenere il cliente, portare avanti i suoi interessi con la casa madre. Anche qui, si pensa solo all’immediato»

 

Viene da fare un bell’esame di coscienza.
«Non lo dico perché sto parlando con voi, ma c’è un motivo se ho sempre lavorato con Moto.it. Sul vostro sito si parla di motociclismo, non è una semplice collezione di annunci. Si parla di passione, non ci si limita a fare business; parlando, divulgando, si crea interesse e cultura di base del motociclismo. E’ così che nascono gli appassionati, è così che si formano i motociclisti di oggi e di domani. Dobbiamo creare questa cultura di base e tornare al rispetto reciproco fra motociclisti e addetti ai lavori, perché ragionare solo sull’immediato, sul prezzo, è una politica suicida»

 

E’ raro avere la fortuna di ascoltare un’analisi tanto lucida di problemi che, come dicevamo in apertura, saranno anche esacerbati da condizioni ambientali in meridione, ma alla fin fine sono gli stessi che viviamo in tutta la penisola. E viene spontaneo chiedere a Vincenzo se abbia anche una risposta. Cosa possiamo fare?

«Dobbiamo rivedere tutto il nostro modo di pensare, dobbiamo essere meno individualisti. Dobbiamo trovare qualcuno che porti avanti i nostri interessi in politica, far vedere che siamo tanti e che votiamo: noi appassionati non ci siamo mai organizzati come hanno fatto all’estero per trovare qualcuno che ci protegga nei luoghi della politica.  Pensate alla proposta europea di introdurre le revisioni a cadenza annua: se non ci facciamo sentire, troveremo solo gente che pensa a fregarci denaro per arricchire le lobby come quelle degli apparati di revisione. Dobbiamo farlo per noi e per tutti, perché se non ci decidiamo ad essere uniti, ci perderemo tutti!»

 

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