Vins Duecinquanta. La Lotus delle due ruote

Vins Duecinquanta. La Lotus delle due ruote
Siamo andati a Maranello a trovare i ragazzi di Vins, che hanno sollevato tanto clamore ad EICMA. Per conoscere meglio la loro storia, e naturalmente la loro 250 a due tempi
22 novembre 2017

“Buongiorno. Sono qui per una targa prova”. “Certo. Officina, concessionaria…?” “Costruttore”. “Come ha detto, scusi? Aspetti, devo chiedere, è la prima volta che mi capita...”. Il sorriso di Vincenzo Mattia, amministratore delegato di Vins, mentre racconta l’episodio, la dice lunga sulla soddisfazione e l’orgoglio che i ragazzi di Maranello stanno provando in questi giorni. Sentimenti del tutto giustificati, perché non è cosa da tutti i giorni dare il via ad un progetto come il loro, soprattutto qui in Italia e in questo periodo storico.

Entrando nella sede di Maranello, a due passi dalla Ferrari da cui provengono i cinque ragazzi che hanno dato vita all’operazione, si respira entusiasmo. Un piccolo capannone, sintesi fra la passione delle officine di una volta e l’efficienza delle fabbriche più attuali, che Davide, Giuseppe, Nicola e i due Vincenzo hanno attrezzato con tutte le apparecchiature che servono per costruire la Vins Duecinquanta: una sportiva a due tempi che ad EICMA ha letteralmente fatto furore.

Il "team Vins". Da sinistra Vincenzo Doino, Nicola Trentani, Vincenzo Mattia, Davide Perino. Assente purtroppo Giuseppe Evangelista...
Il "team Vins". Da sinistra Vincenzo Doino, Nicola Trentani, Vincenzo Mattia, Davide Perino. Assente purtroppo Giuseppe Evangelista...
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Costruire, non assemblare – anche se naturalmente diverse componenti e alcune lavorazioni vengono svolte all’esterno – perché la Duecinquanta è tutta figlia del genio e dell’esperienza di questi ragazzi. Stampante 3D, un paio di macchine a controllo numerico, un banco per le verifiche dimensionali, una camera bianca a norma ISO-6, un’autoclave (perché tutto il carbonio che vedete sulla Duecinquanta viene realizzato in casa) e un banco prova a correnti parassite con tanto di apparecchiature per l’analisi delle emissioni allo scarico. E poi un ufficio, dove la squadra progetta e fa crescere l’azienda Vins, e un paio di moto sparse qua e là – guarda caso, c’è una Mito EV.

A marzo, questo era un capannone vuoto in cerca di affittuari. Sbarro gli occhi quando Davide e Vincenzo iniziano a raccontarmi un po’ di storia della Vins.

«Abbiamo dato le dimissioni più o meno sotto natale 2016, poi ci siamo messi in cerca di un posto dove lavorare. Quando abbiamo trovato il proprietario di questo capannone e gli abbiamo raccontato il nostro progetto, ha fatto più o meno la stessa faccia che stai facendo tu adesso, ma ci ha detto subito “devo aiutarvi a tutti i costi”, ed eccoci qui. In meno di nove mesi abbiamo pulito, ristrutturato, attrezzato il capannone e poi ci siamo messi a lavorare "a limitatore" per mettere insieme i due modelli da portare ad EICMA. Non sappiamo bene neanche noi come ce l’abbiamo fatta».

Il progetto, i concetti tecnici della moto sono però nati prima.

«Naturalmente si» risponde Vincenzo. «L’idea ha iniziato a girarmi per la testa nell’estate del 2014, ed è cresciuta progressivamente arrivando ad avere una buona approssimazione di dove volevo arrivare e come arrivarci da un punto di vista tecnico. Poi ho iniziato a parlarne con gli amici, e siamo arrivati al punto in cui abbiamo preso la decisione di farlo davvero, iniziando a capire come muoverci».

Al momento attuale, ai cinque tecnici – Vincenzo Mattia sarà anche l’amministratore delegato, ma è prima di tutto un progettista – si è aggiunto Attilio Giuliani, forte di un vissuto in grandi aziende automotive, in qualità di responsabile marketing e vendite, per capire come impostare la strategia di vendita e comunicazione. Però Davide, CFO, ci spiega come la società sia tutta nelle loro mani.

«Al momento della partenza abbiamo valutato diverse soluzioni come assetto societario, perché non è stato semplice finanziare la partenza del progetto. Però, anche se ne abbiamo avuto la possibilità, abbiamo preferito rischiare qualcosa di più in prima persona, piuttosto che legarci ad una venture capital, per avere il pieno controllo delle nostre operazioni. Crediamo che una cosa come quella che stiamo facendo abbia senso solamente in condizioni di totale libertà tecnica: non vogliamo dover rendere conto ad un finanziatore, ad una proprietà esterna, delle scelte che compiamo. Non puntiamo a produrre una moto di serie, con tutti i vincoli che l’industrializzazione comporta, ma a creare qualcosa di diverso da tutto il resto con la massima libertà d’azione».

La moto

Però, lo ammettiamo, siamo venuti per vedere con calma, da vicino, la Duecinquanta. Nel capannone Vins ci sono i due esemplari – una Sport e una Competizione – esposti ad EICMA. Entrambi già venduti, come dimostrano le due targhette sulla carrozzeria in carbonio, che stanno ricevendo le ultime attenzioni prima di venire consegnati ai legittimi proprietari.

La Duecinquanta Sport esposta ad EICMA: la numero 1... già venduta!
La Duecinquanta Sport esposta ad EICMA: la numero 1... già venduta!

Com’è nata l’idea per la Duecinquanta? E perché il due tempi?

«Facile: siamo tutti innamorati delle vecchie 125 e 250 che abbiamo guidato da ragazzi. Se continuiamo a guidarle oggi c’è un motivo: non esistono più moto così leggere, gratificanti, agili, precise. Il quattro tempi comporta peso, erogazioni più distese, meno emozionanti. Quindi, quando abbiamo deciso di fare la nostra moto, il due tempi è stato una scelta quasi obbligata. Non possiamo ancora darvi tutti i dettagli perché ci sono diversi brevetti in fase di registrazione, ma non appena tutto si sarà stabilizzato vi racconteremo tutto».

Più facile parlare della ciclistica. Perché la scelta di soluzioni non convenzionali?

«Per la ricerca ossessiva della massima leggerezza. Tutto quello che vedete è figlio di uno studio meticoloso dell’aerodinamica e della leggerezza: abbiamo integrato tutti i componenti che potevamo, abbiamo studiato i flussi aerodinamici pensando molto a quello che abbiamo imparato sulle automobili, e il risultato è questo».

Andiamo con ordine. All’avantreno troviamo una sospensione Hossack…

«Esatto» risponde Vincenzo. «Sono tra l’altro un grande fan del compianto John Britten, e sono convinto che lavorandoci sopra si ottengano grandi benefici. Nel nostro caso la scelta è stata per una questione aerodinamica e di leggerezza: è una soluzione intrinsecamente più rigida e molto più leggera rispetto ad una forcella con i suoi due steli, e perturba meno il flusso d’aria che attraversa la moto, liberando tra l’altro la zona radiatore».

Al retrotreno invece c'è qualcosa di completamente inedito per le moto, ovvero una soluzione push-rod. Sembrerebbe un desiderio di complicarsi la vita.

«Anche qui, abbiamo attinto alle nostre esperienze sulle auto – non abbiamo fatto nulla solo per essere diversi, tutto ha una motivazione tecnica. Usando una soluzione convenzionale avremmo dovuto forare il forcellone per fare passare il monoammortizzatore, e quindi aumentarne il peso, perché serve più materiale per ottenere la rigidità ottimale, oppure ricorrere a soluzioni laterali che però sbilanciano la moto e comportano complicazioni notevoli di packaging delle varie componenti».

La sospensione posteriore pushrod trasversale
La sospensione posteriore pushrod trasversale

«Con il nostro sistema, invece, non otteniamo che benefici. Il forcellone (che è una massa non sospesa, ricordiamocelo…) è più compatto e leggero, lo scarico può avere un andamento molto più rettilineo, i flussi d’aria all’interno della carenatura e sotto il codone passano senza disturbi e oltretutto il doppio azionamento dell’ammortizzatore lo rende anche più preciso e coerente nell’azione».

OK. Ma le soluzioni non convenzionali spesso hanno dato qualche problema di feeling al pilota. Avete già fatto sicuramente qualche prova…

«Si. Qualche volta ci è capitato di farne anche nel fine settimana e non vi dico le facce della gente che ci vedeva passare con la moto tutta strumentata, piena di cavi che portavano allo zaino…» ride Vincenzo. Maranello, per i non “locali”, è il punto di partenza della strada che conduce al passo dell’Abetone, percorso d’elezione per tutti gli smanettoni della provincia modenese. «Una premessa: non sono un pilota ma un semplice motociclista, però la mia esperienza è quella di una moto che dà subito una grande confidenza. Ci si trova subito a spremerla, si ha subito fiducia nella moto e nella sua ciclistica. D’altra parte, quando è così leggera è più facile, certo».

Ma siete proprio sicuri del monodisco anteriore? Dopotutto una moto con rapporto peso/potenza 1:1 non dovrebbe arrivare piano in fondo ai rettilinei.

«Si frena la massa, non la velocità, ricordatevelo» scherzano i ragazzi di Vins. «Su una moto così leggera un disco è più che sufficiente. Metterne due avrebbe significato aggiungere un disco, una pinza e relativo raccordo, usare una pompa più grossa, tutta roba che costa e soprattutto aggiunge peso nel posto peggiore in cui lo si possa fare: la ruota anteriore. Perché aggiungere inerzia giroscopica se non ce n’è bisogno? Comunque, quando ve la faremo provare – dovete avere un po’ di pazienza – ci direte cosa ne pensate».

Il frontale della Vins Duecinquanta Sport. Cosa vi ricorda?
Il frontale della Vins Duecinquanta Sport. Cosa vi ricorda?

Ovviamente non vediamo l’ora. Ma parliamo anche un po’ dell’estetica con Nicola. A cosa ti sei ispirato?

«Devo dirvi la verità? Al mondo delle auto, con superfici il più possibile lisce, efficaci e semplici. Mi piace il minimalismo, il teorema secondo cui la forma deve seguire la funzione. Ho cercato di fare qualcosa di completamente diverso da tutto quello che c’è in giro, e direi di esserci riuscito…».

In effetti guardando la Vins si trovano mille somiglianze, che è come dire che non se ne trova nessuna. C’è qualcosa della Yamaha R6 di inizio millennio, alcuni tocchi ricordano le Buell 1125 – sarà il monodisco anteriore a trarci in inganno – mentre la parte superiore del codino ci riporta alla mente l’Aprilia RSV4. Quello che è sicuramente unica e inconfondibile è la qualità delle lavorazioni, perché le superfici in carbonio, le parti in alluminio, sono assolutamente perfette. Roba da supercar da millemila milioni di euro.

E domani?

E’ impossibile non diventare supporter dei ragazzi di Vins dopo un pomeriggio passato in loro compagnia. Soprattutto da addetti ai lavori, abituati a sentir parlare di numeri di vendita, obiettivi, e temi finanziari e produttivi oggi importantissimi, ma che – diciamocelo – sono la tomba della passione motociclistica. A Maranello invece si respira passione, determinazione, competenza.

Siamo sicuri che molti tecnici di tante Case blasonatissime invidiano i cinque ragazzi di Vins per la possibilità di fare quello che vogliono tecnicamente, senza l’assillo di dover riconciliare le loro scelte con il prezzo stabilito dal marketing o i costi imposti dagli amministrativi.

La Duecinquanta Competizione al banco
La Duecinquanta Competizione al banco

«Chissà, magari un giorno ci saremo fatti davvero un nome, e qualche Casa costruttrice ci chiamerà per commissionargli qualche sviluppo» butta lì, fra il serio e il faceto, Davide. «Nel frattempo però pensiamo a costruire i nostri giocattoli» dice Vincenzo. «Perché è inutile raccontarsela, la moto come la intendiamo noi è un giocattolo bellissimo: non è quella che serve per spostarsi dal punto A al punto B, per fare quello ci sono altre soluzioni fatte da persone che le sanno pensare e realizzare meglio di noi. Noi preferiamo fare quella che fa divertire da matti durante il tragitto. Leggera, performante ma soprattutto divertentissima – una Lotus delle due ruote, se volete».

Come dargli torto?

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