Vittime dell’evoluzione tecnica

Vittime dell’evoluzione tecnica
Alcuni esempi di schemi e scelte scomparse dalla scena motoristica perché non più convenienti oppure non adatte alle esigenze di potenza o ingombro
24 maggio 2017

Lo sviluppo della tecnica ha portato all’abbandono di diverse soluzioni che funzionavano ma non erano più convenienti o non erano in grado di soddisfare nuove esigenze in fatto di prestazioni o di ingombro. O ancora, che potevano essere soppiantate da altre meno costose o tutto sommato più razionali.

Per erogare potenze specifiche maggiori i motori devono poter raggiungere regimi di rotazione più alti, respirare bene (mica facile, quando i tempi a disposizione sono tanto ridotti), avere un ottimo rendimento termico e avere perdite meccaniche contenute. Per i modelli sportivi sono indispensabili un peso e un ingombro molto limitati. Questo significa tra l’altro che l’interasse tra le canne, se l’architettura è in linea, deve essere ridotto al minimo.
Interessanti schemi tecnici, differenti da quelli utilizzati attualmente, sono stati a suo tempo adottati a livello della testa e degli organi della distribuzione, prima di cadere in disuso.

In passato non sono stati pochi i motori nei quali non venivano impiegate sedi riportate, ovvero inserti anulari montati con forzamento, ma si utilizzava una calotta in ghisa o in bronzo (incorporata di fusione o installata con interferenza) nella quale erano ricavate le pareti della camera di combustione e venivano direttamente lavorate le superfici di appoggio delle valvole. Il primo di questi due materiali presenta una elevata resistenza all’usura e ha il pregio di costare assai poco. Lo hanno impiegato a lungo case come la Gilera (negli anni Cinquanta) e la Honda (per i suoi ottimi bicilindrici della serie Dream negli anni Sessanta e sul CB 450). Fino al 1972 lo ha utilizzato la Laverda sulla sua 750. Vanno ricordati anche alcuni dei primi Mondial da competizione.

 

In questa immagine della testa di una MV 500 quadricilindrica da GP dei primi anni Settanta sono ben visibili le calotte in bronzo (installate con interferenza) nelle quali sono ricavate le pareti delle camere di combustione e le sedi delle valvole
In questa immagine della testa di una MV 500 quadricilindrica da GP dei primi anni Settanta sono ben visibili le calotte in bronzo (installate con interferenza) nelle quali sono ricavate le pareti delle camere di combustione e le sedi delle valvole
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Più adatte a motori di prestazioni molto elevate erano le calotte in bronzo, materiale che ha una conduttività termica di gran lunga superiore a quella della ghisa. Le hanno usate a lungo e con eccellenti risultati i modelli da competizione di case come la Honda (pluricilindrici degli anni Sessanta), la Benelli e la MV Agusta. Un grande vantaggio di questa soluzione era costituito dal fatto che allontanava il rischio di formazione di crepe nella zona tra le superfici di appoggio delle valvole, sempre critica quando queste ultime sono molto vicine tra loro. Tecnicamente la soluzione è ancora valida, come dimostrato da alcune recenti realizzazioni di altissima potenza specifica rimaste allo stadio sperimentale. Non viene impiegata per ragioni di razionalità costruttiva e perché non ce ne è necessità. Inoltre occorre considerare che i moderni materiali per le sedi sono straordinari e assicurano un servizio impeccabile per percorrenze elevatissime, anche impiegando carburanti come le moderne benzine senza piombo.


 

​Una soluzione sulla quale, quando è stata lanciata in grande stile dalla Yamaha, molti tecnici hanno puntato con decisione per i loro motori di prestazioni più elevate è quella che prevede l’impiego di cinque valvole per cilindro al posto delle usuali quattro

Una soluzione sulla quale, quando è stata lanciata in grande stile dalla Yamaha, molti tecnici hanno puntato con decisione per i loro motori di prestazioni più elevate è quella che prevede l’impiego di cinque valvole per cilindro (tre di aspirazione e due di scarico) al posto delle usuali quattro. In effetti dal punto di vista geometrico ci sono dei vantaggi. Le sezioni di passaggio a disposizione dei gas che entrano nel cilindro sono infatti maggiori. In altre parole, lo spazio disponibile, per ogni dato alesaggio, viene sfruttato meglio. La forma della camera però è meno favorevole, rispetto a quella classica a tetto che si ha impiegando quattro valvole. Il vero problema comunque è un altro. Benché le sezioni siano maggiori, il coefficiente di efflusso è peggiore.

I gas che escono dai condotti di aspirazione si ostacolano tra loro. Alla fine della fiera la respirazione del motore ai regimi molto elevati non è migliore di quella che si ha con le quattro valvole, anzi. Se a questo si aggiunge il fatto che il rendimento termico è inferiore a causa della peggior forma della carica, si spiega chiaramente l’abbandono di questa soluzione da parte dei costruttori che l’avevano utilizzata per un periodo più o meno lungo (ottenendo spesso risultati assai validi). C’è anche da dire che la complessità meccanica è logicamente maggiore e il costo più elevato; non si tratta certo di punti a favore, nel caso di prodotti di serie.

 

Il disegno si riferisce a una Honda CB 450 con distribuzione bialbero e consente di osservare i due bilancieri a dito che agiscono su ciascuna valvola: uno serve per l’apertura mentre l’altro è di chiusura e viene comandato da una barra di torsione, qui mostrata in verde
Il disegno si riferisce a una Honda CB 450 con distribuzione bialbero e consente di osservare i due bilancieri a dito che agiscono su ciascuna valvola: uno serve per l’apertura mentre l’altro è di chiusura e viene comandato da una barra di torsione, qui mostrata in verde

Sempre rimanendo nell’ambito della testa, c’è un tipo di molla dalle caratteristiche molto interessanti che ha trovato solo applicazioni assai rare in campo motociclistico. Si tratta delle barre di torsione che, per quanto riguarda la produzione in gran serie, sono state adottate solo dalla Honda per la sua bicilindrica CB 450 apparsa nel 1965. Nella prima versione, con cambio a quattro marce, questa moto era nota come Black Bomber. Le barre di torsione andavano bene ma avevano un ingombro che non le rendeva adatte a motori con più cilindri in linea e il loro impiego era svantaggioso sotto l’aspetto economico, rispetto alla soluzione tradizionale con molle a elica (per via del maggior numero di parti necessarie). Queste ultime funzionavano ottimamente e le aziende che le producevano ne offrivano un’ampia gamma, con svariate caratteristiche e dimensioni, a costi molto contenuti.

Quando sui modelli di serie i motori policilindrici con uno o due alberi a camme in testa hanno cominciato a diffondersi, diventando rapidamente grandi protagonisti della scena motociclistica, per il comando della distribuzione si è subito affermata come soluzione più conveniente quella che prevede l’impiego di una catena, collocata centralmente. Tutto OK, anche in considerazione del fatto che il raffreddamento era ad aria e che la distanza tra gli assi dei cilindri adiacenti era notevole. In seguito è arrivato il raffreddamento ad acqua e infine è diventata prioritaria l’esigenza di ridurre gli ingombri. La catena di distribuzione è stata piazzata lateralmente in pressoché tutti i nuovi motori, e questo ha consentito anche di ridurre la lunghezza dell’albero a gomiti (che risultava ottimamente supportato), con notevoli vantaggi ai fini della rigidezza.

 

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