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Usciti dal labotorio, inquadriamo subito il Professor Cossalter quando ci chiede se vogliamo sentire della musica di qualità: gira l’angolo e salta sul suo Guzzi Falcone facendolo “suonare” con generose manate di gas! “E' elaborato da me.... bel rombo vero?” . Alla faccia delle lavagne piene di equazioni differenziali!
Diciamolo subito: è un gran personaggio. Da più di dieci anni cerco di decifrare il suo libro di cinematica e dinamica della motocicletta (MOTORCYCLE DYNAMICS, Second Edition), lettura di livello accademico, eppure la prima impressione è quella di aver davanti un motociclista, di quelli fanatici, più che un professore di ingegneria. Mi devo preparare sui tensori d’inerzia o sulle vittorie di Valentino Rossi?
Ci fa accomodare nel suo studio e ne approfitto subito per incalzarlo con mille domande. Si parla di tutto, anche di sport e di corse, ma è un'occasione unica per sapere cosa ne pensa di tanti argomenti un esperto di primo livello, qual è il Professore.
Noi europei invece andiamo più per la nostra strada, e non sempre facciamo la cosa giusta
Faccio la moto col baricentro avanti e basso la moto impenna meno e nel rettilineo vado più veloce. Faccio la moto col baricentro indietro in alto, ho più trasferimento di carico, stacco meglio ma sopratutto in uscita di curva riesco ad accelerare prima perchè ho più carico sulla ruota dietro. Queste cose sono state recepite ad esempio da Aprilia per la RSV1000, che andava benissimo. Ma anche all’interno della stessa casa o reparto corse ci sono tensioni e filosofie diverse, di volta in volta a seconda di chi prevale la moto viene fatta in un modo o in un altro».
Aprilia: non pensa che invece la Cube sia stata troppo avanti coi tempi?
«Forse per la parte motoristica aveva un layout che avrebbe avuto sucesso qualche anno dopo con le 800, aveva le valvole pneumatiche, 3 cilindri, ma la ciclistica aveva scelto un strada troppo estrema ed aveva problemi di trazione. Ma anche altri hanno fatto scelte di assetto che non si rivelano vincenti, senza una cilistica bella regolare. Poi deve considerare che le moto sono un po’ strane, sale Stoner e non gliene frega niente della posizione del baricentro. Ma non ci dimentichiamo che ha vinto in anni in cui Ducati aveva una potenza superiore alle altre moto».
E la questione del motore portante al posto del telaio?
«Secondo me la flessibilità è connessa con la sensibilità del pilota, nel senso che se io faccio una cosa che vibra con frequenze e modi di vibrare strane, il pilota non capisce più niente. Tant’è vero che Valentino ha detto che l’anno scorso è caduto 16 volte, ora è la stessa cosa, non va forte, ma almeno non cade più. Dando per scontato che il telaio deve essere flessibile, bisogna dargli una flessibilità il più possibile lineare e uniforme, una cosa si comporta generalmente bene quando ha un comportamento lineare ed è più percepibile. Non sempre si lavora irrigidendo certe volte si rende più flessibile per cercare uniformità di comportamento. E’ un’opinine, perché queste cose non sono mai state dimostrate, però quella del motore–telaio stressato si sa nel mondo delle corse che non funziona bene, si sa... ma Stoner avrà anche detto che a lui andava bene».
Nel mondo dell’auto l’invenzione della tecnologia ABS ha portato all’ESP ed al controllo attivo della dinamica, è possibile una evoluzione simile per le due ruote?
«Secondo gli elettronici sì, secondo me tutto quello che manca è il controllo di imbardata, ma se devo avere una moto che quando vado in giro mi pinza un po’ di qua e un po’ di là per farmi curvare, io sinceramente vado in giro col mio Falcone! Bisogna vedere cosa vuole il motociclista, la motocicletta non è solo un veicolo, innanzi tutto deve esser bella, deve piacere. La moto è molto connessa con l’arte...».
Si alza, cerca nella sua libreria il catalogo della famosa mostra The art of Motorcycle, Guggenheim 1998 New York.
«La moto è il veicolo in cui il fattore umano ha più importanza, è molto connessa con l’arte, il motociclista si sente un po’ diverso dagli altri, la motocicletta dà una sensazione di libertà che solo il volo può dare. E dopo... perché è bella la motocicletta? Perché è pericolosa, perché è instabile».
Ma quindi lei, luminare della ricerca universitaria in questo campo, dice sostanzialmente che non ha senso spingere l’evoluzione oltre un certo punto perché la moto è passione?
«Certo, certo, secondo me no. Chiaro che però ci sono categorie, come gli scooteristi, che vorranno avere quello che trovano sulle automobili».
Ma allora l’ABS, il traction control?
«Il motociclista vuole essere padrone del mezzo, ma questi due sistemi non entrano in funzione normalmente, non sono “invasivi”, sono una comodità che qualora servisse c’è, e tipicamente quando serve c’è una situazione di pericolo».
Penso che anche Valentino Rossi, se facesse un corso di Dinamica e riuscisse a capire perché la moto ha questo comportamento, andrebbe ancora meglio
Quindi non toglie nulla al motociclista, è una mano elettronica che interviene quando serve.
«Certo; ora, io dico una cosa, è vero che la moto è pericolosa, ma comunque non va snaturata, piuttosto le persone devono essere più consce, andare più piano, essere più consapevoli dei propri limiti e dei pericoli dell’ambiente in cui ci si muove, ma soprattutto usare il mezzo per quello che è. Anche la bicicletta da corsa è pericolosa, forse anche di più, ma perchè sulla bicicletta non c’è nessuna sistema di sicurezza?».
Negli ultimi anni il ruolo dell’ingegnere nelle corse ha avuto una importanza crescente anche ai box, rispetto al tecnico, prima per l’ingresso di raccolta dati/telemetria poi per l’avvento dell’elettronica, pensa sia un fattore positivo oltre che un’opportunità in più per tanti giovani?
«Penso di sì, e sicuramente è un’opportunità. Prima era più tutto in mano a questi personaggi, che ci sono ancora, che hanno una grande esperienza e magari hanno anche delle idee sbagliate, però in base alla loro esperienza danno dei suggerimenti. Io credo che la conoscenza dei fenomeni fisici aiuti anche il pilota ad andare meglio e in maniera più sicura. Penso che anche Valentino Rossi, se facesse un corso di Dinamica e riuscisse a capire perché la moto ha questo comportamento, andrebbe ancora meglio. La conoscenza paga sempre. C’è molto folkore, basti pensare a quanto vengono chiamati in causa gli effetti giroscopici.
Siamo in un momento di crisi economica e il neopresidente di Confindustria Squinzi ha subito sottolineato l’importanza della ricerca tecnologica per la competitività dell’impresa italiana; come valuta il rapporto tra le case motociclistiche ed i centri di ricerca universitario come il suo?
«Adesso è il momento della crisi, ma con Aprilia avevamo notevoli contratti di ricerca, con Harley-Davidson e BMW, con Michelin e Dunlop. Bisogna anche dire che i contratti di ricerca sono sempre stati spinti anche da fondi di ricerca statali ed europei. In questo momento oltre alla crisi economica c’è secondo me anche una crisi della motocicletta. Le case hanno inseguito per anni le superpotenze, ma ora non si vendono. Guardiamo il Giappone, quelle moto le comprano per andare in pista. Dopo la corsa per la strapotenza ora si guarda il design, da mezzo di trasporto la moto è più un oggetto posseduto per il piacere di averlo, e i numeri delle vendite calano.
E poi la mortalità... non cala. E’ il mondo delle moto che sembra un po’ in crisi, era un mondo che aveva un target, la potenza, ma ora che è stata raggiunta sembra che ci siamo svegliati scoprendo di aver raggiunto qualcosa che non ci serve. Nella società la moto è ritenuta pericolosa, ma le istituzioni non hanno fatto molto. Non si è mai tenuto conto che una parte della società vuole correre con la moto, si dovrebbe avere in ogni provincia una pista».
Come il campo da calcio.
«Esatto, ma se parliamo di queste cose ai politici dicono: ma come, facciamo una pista per questi quattro teppisti che vogliono correre? Se un ciclista va in discesa a 90 all’ora è bravo, se un motociclista sale in moto alla stessa velocità è un teppista, è un po' una questione di cultura che molti motociclsti hanno contribuito a formare. Ma alla fine la gente che vuole correre lo fa comunque, in strada però. Anzichè riempire di autovelox, basterebbe risolvere l’esigenza di chi vuole correre con la possibilità di farlo in sicurezza».
Avrei continuato ancora a lungo, perché chiaccherare di moto con così tanto piacere non è proprio comune, un’inesauribile fonte di autorevoli opinioni. Ma è giunta l’ora dei saluti.
Grazie mille, la lascio ai suoi studenti; un’ultima cosa, mi autografa il suo libro?
«Certo. A presto».