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L'arrivo della Yamaha MT-09 rappresenta un nuovo capitolo della strategia Yamaha. In un colpo solo, la Casa numero due al mondo ha riscoperto una cilindrata intermedia (850 cc), un nuovo frazionamento a tre cilindri (schema che aveva abbandonato nel lontano 1981), ha avviato un razionale progetto multiplo e ha risposto alle difficoltà economiche generali contenendo il prezzo finale delle nuove moto che formeranno la serie avviata con la MT-09. Con molta probabilità all'Eicma ci sarà almeno un altro nuovo modello realizzata sulla base della recente tre cilindri. I disegni che vi mostriamo sono libere interpretazioni di Oberdan Bezzi e di Bar Design. Il primo ha immaginato come potrebbe essere la MT-09 in versione stradale classica e super sport, che diventano una carenata R3 stretta parente della R6 e due varianti secondo il noto filone Fazer, vedi il disegno in alto. Il secondo designer, Luca Bar, l'ha invece immaginata in nuova edizione crossover, una sorta di moderna TDM. Ma sfruttando l'ossatura della MT-09 ci sarebbe spazio anche per una GT come per una enduro stradale nel solco della Super Ténéré.
Al di là delle ipotesi più meno fantasiose sulle possibili varianti MT-09 che vedremo, è interessante il nuovo approccio industriale di Yamaha e di altri costruttori attenti alle nuove dinamiche globali e al taglio dei prezzi. Una strategia interessante ma non priva di punti deboli.
L'opportunità di sfruttare parti comuni su più modelli per razionalizzare la produzione e abbattere i costi è stata affrontata da molti anni nel mondo dell'automobile, dove motori e piattaforme comuni sono la norma e dove vengono realizzato stabilimenti appositi per la costruzione di uno specifico modello.
In ambito motociclistico, dove i volumi sono minori ma dove soprattutto viene respinta la serialità e invece premiata la personalità di ogni singola moto (personalità intesa come impianto stilistico ma anche come impostazione di ciclistica e meccanica), raramente differenti modelli sono nati contemporaneamente. Di solito, e questo vale in maggior misura per i costruttori europei, accade che a una moto di successo ne seguano altre versioni con variazioni di cilindrata o allestimento. Un esempio in questo senso è quello della Ducati Monster, che negli anni è diventata un'articolata famiglia partendo dalla prima M900. Diverso il discorso scooteristico, che da tempo prevede la modularità del progetto come punto di partenza.
Altro esempio di multi piattaforma, per così dire primordiale, è quello di Harley-Davidson che realizza linee principali - Sportster, Dyna, Softail, Touring – declinandole in più modelli che condividono molte parti in comune e cambiano lentamente nel corso del tempo. Un'altra variazione sul tema multi disciplina, affrontando cambiando il minor numero possibile di parti, viene ancora una volta da Borgo Panigale che quest'anno ha fatto arrivare in contemporanea Hypermotard, Hypermotard SP e Hyperstrada puntando sull'introduzione del nuovo motore Testastretta da 821 cc e su un unico impianto ciclistico.
Nell'ormai lontano 1993 la BMW è stata tra le prime ad affrontare la modularità, mutuando non a caso l'esperienza delle quattro ruote, realizzando il nuovo boxer (850 e 1.100) portante per le sospensioni Telelever e Paralever. Con la medesima struttura di base nascevano nel giro di breve tempo la 1100 RS, la R, la RT, la GS e poi la S.
In epoca molto più recente, nel 2011, Honda ha affrontato il concetto modulare con l'inedito progetto NC700, e poi 500. Mostrando in particolare con la 700 un approccio puntuale nell'affrontare il contenimento dei prezzi, fra l'altro in un segmento dove la spesa è una voce importante, in un momento economicamente critico e in una categoria capace di accontentare mercati assai diversi fra loro. Con il progetto NC, realizzato con la stessa base di motore e telaio, sono scaturite una moto naked, una crossover e un ibrido moto-scooter: l'originale Integra che ha pure avviato un filone del tutto nuovo.
Ritornando in Italia, e a dimensioni industriali inferiori allo standard giapponese, merita di essere citato l'esempio della MV Agusta. Il suo progetto a tre cilindri è stato ramificato da subito in più versioni di moto e cilindrata (675 cc, 800 cc e con possibilità ulteriore di crescita a oltre 900) cercando la massima intercambiabilità di componenti - circa il 70% - per realizzare la super sportiva F3, la naked Brutale, la crossover Rivale e un altro modello almeno, stavolta a manubrio alto, che potremmo vedere già alla prossima Eicma.
Nel progetto Yamaha MT-09 ci sono affinità con il percorso scelto da MV Agusta. La tre cilindri Yamaha è infatti la prima esponente di altre versioni che sono state concepite in contemporanea e che saranno presentate i sequenza. Come MV ha il motore a tre cilindri di cubatura guarda caso scelta fra media e maxi, così da potere contrastare le concorrenti di entrambe le cilindrate, ha un bilanciato rapporto fra potenza e peso in grado di esprimere prestazioni e guidabilità alla portata di differenti configurazioni di moto, e ha dimensioni intermedie sempre per ragioni versatilità. Inoltre Yamaha ha scelto di operare in una fascia di prezzo che possa abbracciare molti potenziali clienti.
Tutta questa uniformità di base ha l'evidente vantaggio di ottimizzare la progettazione, di razionalizzare i costi di produzione, di contenere i prezzi e redistribuire gli investimenti e i rischi. Magari obbligando chi si occupa di marketing a uno sforzo supplementare per comunicare le diverse anime di moto che alla fine hanno una radice comune.
Ed è questo il lato difficile di tutta l'operazione se non si è più che abili nell'affrontarne gli aspetti tecnici e di stile. Il rischio è infatti quello di perdere carattere e specializzazione. Che sono qualità più facilmente ottenibili con progetti dedicati e capaci di regalare quella personalità, quel non so che, in grado di orientare la scelta di un acquisto.
A meno che modularità non significhi unicamente appiattimento, offra invece l'opportunità di vedere nuove proposte e si trasformi in un taglio dei prezzi. E allora ben vengano progetti come questi.